5 Dicembre, 2025
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La bella ‘Mbriana

La bella della Meridiana

Quando la meridiana sospira l’ora più bella e la luce si fa seta sulle cose, se una tenda si dovesse muovere lievemente, senza vento, come accarezzata da dita invisibili, avvicinati piano. Se poi, tra le pieghe del silenzio, apparirà una farfalla o un piccolo geco ti osserverà con occhi di smeraldo, non temere e sorridi. È venuta da te la Bella del Mezzogiorno, creatura di luce e mistero, che porta fortuna a chi sa vedere la magia nascosta nei gesti minimi. Lei non lascia tracce, solo un fremito nell’aria, un battito d’ali, un istante in cui il mondo si ricorda di essere incantato.

 

L’amore non era leggenda

Accadde molti anni fa, in un tempo in cui l’amore non era leggenda, ma respiro profondo, che a Napoli, tra i vicoli profumati di fiori di limone e il mare che sussurrava segreti alle barche, vivesse una fanciulla la cui bellezza sfuggiva alle parole, come la luce che danza sull’acqua o il profumo di un sogno al risveglio.

Era figlia unica, nata da un amore raro e custodita come un tesoro da genitori la cui ricchezza non si contava in oro, ma in palazzi che cantavano al sole e giardini dove il tempo si fermava a contemplare. Chi la vedeva, anche solo per un istante, sentiva nel cuore un tremito dolce, come se l’antico incanto dell’amore avesse ancora voce nel mondo.

La fanciulla, incanto vivente tra i profumi di Napoli, era cresciuta libera e si era innamorata. Non di un principe, ma di un giovane del popolo, gentile come il primo sole del mattino, e il suo amore era ricambiato con la stessa intensità con cui il mare abbraccia la riva. I genitori, toccati dalla purezza di quel sentimento, non opposero resistenza. Desideravano solo vederla felice e così acconsentirono alle nozze.

Furono fissate per mezzogiorno, in un giorno di maggio. Il mese in cui la natura stessa pare benedire l’amore. Il mese in cui le farfalle, appena nate, aprono le ali come veli nuziali e danzano di fiore in fiore, mentre i gechi, custodi silenziosi dei muri assolati, tornano a vegliare le pietre antiche con occhi di luce.

 

Il giorno atteso

Il giorno atteso giunse come una promessa sussurrata al cuore. Il sole di maggio accarezzava la città e la fanciulla, vestita di bianco come una nuvola che sembrava avesse deciso di camminare, invece che volare, avanzava verso l’altare. Intorno a lei, un giardino di fiori sbocciati per amore e sorrisi che brillavano come stelle diurne, testimoni silenziosi di una felicità che non chiedeva altro che essere vissuta. L’aria stessa sembrava trattenere il respiro, per non disturbare la grazia di quell’istante. L’amore, in quel momento, aveva un volto e camminava tra i petali, verso il sì che avrebbe fatto fiorire l’eternità.

Come una sacerdotessa della felicità, la ragazza aveva preparato lei stessa ogni cosa, con mani leggere e cuore ardente. Nulla aveva lasciato al caso: ogni fiore, ogni tessuto, ogni luce era stato disposto con cura per riflettere la bellezza che abitava il loro amore. L’ordine non era ostentazione né rigore, ma poesia: una danza silenziosa di dettagli che parlavano di gioia, di tenerezza, di dono. Ogni gesto, ogni scelta, era un atto di gentilezza, perché lei e il suo amato avevano cuori che non conoscevano altro che la generosità. Quel giorno non era solo una festa, ma un incantesimo tessuto con fili di attenzione, dove la cura diventava luce e l’amore si faceva spazio in ogni angolo, come se il mondo intero avesse deciso di sorridere con loro. Le navate, ornate di teli leggeri e fiori di campo, sembravano respirare insieme agli invitati, mentre la luce filtrava dai vetri colorati come carezze divine, dipingendo il pavimento di riflessi che danzavano al ritmo della gioia. I banchi erano profumati di zagara e tuberosa, intrecciati con nastri color crema e piccoli rami d’ulivo, simboli di pace e promessa. Sui gradini dell’altare, petali di rosa erano sparsi come benedizioni silenziose e ogni angolo sembrava sussurrare: “Che l’amore vi accompagni sempre.”

La campana suonò il mezzogiorno, tutto si fermò per un istante: la chiesa, i cuori, il tempo. Come se il mondo intero avesse deciso di inchinarsi davanti a quell’amore gentile come un gesto che non chiede nulla e generoso come chi sa donare senza misura.

Ma sull’altare, dove l’amore avrebbe dovuto compiersi, lui non c’era. La fanciulla, vestita di luce e speranza, era sola, tra i fiori e gli sguardi, ignara che il destino, crudele e malvagio, aveva già scritto un’altra pagina.

Lungo la strada, il giovane sposo, vestito a nozze, con il cuore colmo di promessa, aveva incrociato due figure oscure, piegate sull’innocenza di un’anziana donna, che tentavano di strapparle quel poco che ancora le permetteva di sopravvivere. Lui, non esitò. Si gettò tra il male e la fragilità, come un angelo senza ali, come un uomo che sa amare e quindi non resta solo a guardare. Ma il mondo, spesso, non sa riconoscere la bellezza e la giustizia. Una lama lo colpì al petto, fermando il battito del cuore che avrebbe dovuto proseguire solo per lei.

La fanciulla, splendida come l’aurora e innamorata con tutta l’anima, attendeva sull’altare. Il suo cuore batteva come un canto, gli occhi cercavano il volto amato tra i sorrisi e i fiori, mentre il tempo scorreva lento. Ma lui non giunse e il silenzio, che prima pareva incanto, divenne lentamente presagio.

Quando la notizia della morte arrivò, nessuno trovò la forza di spezzare il sogno. Nessuno osò ferire quella luce che ancora brillava nei suoi occhi, quella speranza che danzava nel suo sorriso. Così, la chiesa tacque e il mondo intero si fece complice di un amore che non voleva morire. Lei rimase lì, vestita di bianco, come una promessa che il destino non aveva saputo mantenere, ma che il cuore continuava a custodire.

 

La fede che solo chi ama davvero possiede

Qualcuno propose di tornare a casa, ma la giovane, col cuore spezzato, ma ancora colmo d’amore, non cedette. Attese inutilmente. Poi impazzì, ma non nel senso comune: si fece vento, passo, sguardo. Uscì dalla chiesa e si incamminò per le vie di Napoli, come chi cerca un sogno che è certo di poter raggiungere. Cercava il suo amore. Attraversò vicoli e piazze con la grazia di chi ama troppo per arrendersi. Ogni balcone, ogni voce, ogni profumo le sembrava un indizio, un segnale che lui fosse lì. Lui doveva essere lì, da qualche parte, nascosto tra le pieghe della città che li aveva visti innamorarsi. Non pensò nemmeno per un istante di essere stata abbandonata. Nel suo cuore, lui era ancora in cammino verso l’altare, forse trattenuto da un imprevisto, da un gesto di bontà, ma certo vivo, certo suo. Ignorava la tragedia, non per follia, ma per fede: la fede che solo chi ama davvero possiede, quella che trasforma l’assenza in presenza, e il dolore in poesia.

La giovane, guidata dal cuore e dal ricordo, cominciò a varcare soglie sconosciute, come una preghiera che cerca ascolto, portando con sé il candore del suo abito e la dolcezza di un amore mai spento. Entrava nelle case con passo lieve, non per chiedere, ma per cercare: un volto, un segno, una voce che le dicesse dove fosse il suo amato. Qualcuno, toccato dalla sua grazia e dal dolore che le brillava negli occhi come stelle velate, le offriva un rifugio, un piatto caldo, un frammento di gentilezza, senza chiedere nulla se non un suo sorriso di ringraziamento. Poi, con rispetto e silenziosa compassione, la lasciava andare, perché si capiva che la sua ricerca non era di questo mondo, ma di un amore che nessuna porta avrebbe mai potuto trattenere. Napoli divenne il suo giardino di speranza e ogni casa che l’aveva accolta conservava il profumo di un sogno che aveva sfiorato l’eternità.

Il padre, spezzato dal dolore, ma ancora guidato dall’amore per la sua unica figlia, non poté restituirle la felicità perduta, ma giurò a sé stesso di vegliare su di lei, come si veglia su una fiamma fragile nella notte. Così, mentre lei vagava per Napoli, con il cuore colmo d’amore e d’illusione, egli incaricò alcuni fedeli servitori di seguirla da lontano, senza mai farsi vedere, come angeli silenziosi. A ogni casa che le avrebbe offerto un tetto, un pasto, un sorriso, avrebbero lasciato, con discrezione e rispetto, senza che nessuno se ne accorgesse, una ricompensa generosa. Non per dovere, ma per gratitudine, perché chi accoglieva la sua bambina, accoglieva anche lui stesso, accoglieva il ricordo di un amore spezzato e la speranza che almeno la bontà potesse ancora fiorire. Era il suo modo di dire grazie al mondo e di continuare ad amare, nel solo modo che gli era rimasto.

La giovane continuò a cercare il suo amore per giorni, per mesi, per stagioni intere, camminando tra i vicoli di Napoli, come una melodia che non vuole finire. Il suo cuore, pur ferito, non smise mai di credere. Finché, un giorno, non si dissolse. Non morì, no. Si fece aria, luce, profumo. Si fece presenza sottile, che non abbandonò mai le case che l’avevano accolta, quelle che le avevano offerto pane, riparo e un frammento di gentilezza.

Oggi si racconta che viva ancora lì, nelle stanze dove l’amore aveva lasciato il suo respiro. Visibile solo in certi istanti. Quando una tenda si muove senza vento, come accarezzata da dita invisibili. Quando un vecchio specchio riflette qualcosa che non dovrebbe esserci: un volto dolce, un sorriso che appartiene a un’altra epoca. Chi la vede, anche solo per un battito di ciglia, sente nel cuore un fremito, come se l’amore, quello vero, non fosse mai davvero scomparso. La percepisce come un sorriso nell’aria, quando la casa è colma di armonia, quando le stanze profumano di pane e di quiete e ogni cosa è al suo posto, come se il cuore stesso avesse ordinato il mondo per accogliere la felicità. In quei momenti, lei è allegra, sorride, danza tra le tende che si muovono senza vento, accarezza i vetri con dita di luce e si posa lieve sui cuscini, come una benedizione invisibile e si trasforma in farfalla o in un verde geco.

Ma se la casa è ferita da discordia, se il disordine regna e la cattiveria ha voce, la sua presenza si fa triste, come un’ombra che non trova pace, come un amore che non riesce a fiorire.

 

La sedia vuota

Ancora oggi, nelle dimore dove l’amore ha radici profonde, una sedia resta sempre vuota, non per dimenticanza, ma per speranza: perché se lei dovesse tornare, ancora pazza d’amore, ancora in cerca del suo promesso, troverebbe un posto, un gesto, un cuore aperto.

Le donne anziane, custodi di memorie e silenzi, nelle sere d’inverno, raccontano la sua storia con voce bassa e occhi lucidi, senza sapere se lei sia lì, nascosta tra le pieghe del tempo, senza conoscerne il nome, ma riconoscendone l’anima.

E quando varcano la soglia, rientrando a casa, con rispetto e dolcezza, la salutano come si saluta una regina invisibile: “Bona sera, bella ‘Mbriana.”

 

La leggenda

Si narra ancora, tra i vicoli antichi di Napoli, che nelle case si aggiri ancora l’anima gentile, invisibile e luminosa della fanciulla di cui non si ricorda più il nome, ma tutti chiamano “Bella ‘Mbriana”, nome che nasce dalla meridiana, che segna le ore dorate e scalda le mura con luce domestica. Spirito benefico e silenzioso, che veglia sui tetti e sulle stanze, portando con sé il calore del sole e la quiete del cuore.

Quando la vita si fa burrascosa e la serenità familiare vacilla, è a lei che si rivolge il pensiero, come a una madre segreta. Ama l’ordine, la pulizia, il rispetto delle cose semplici. E guai a parlar di trasloco tra le sue pareti: meglio confidarsi al vento, lontano da casa, per non turbare la sua presenza discreta. Offenderla sarebbe come spezzare un incantesimo.

Si dice che la Bella ‘Mbriana appaia sotto forma di geco, creatura silenziosa e attenta, oppure si lasci intravedere tra le tende che danzano leggere in una giornata di sole. È lì, tra i raggi e le ombre, che si manifesta, non per farsi vedere, ma per farsi sentire come un respiro che custodisce l’amore, la memoria, e il mistero.

 

Pino Daniele

A lei, il grande Pino Daniele, ha dedicato una canzone che evoca una presenza che va oltre la leggenda, simbolo di una Napoli ferita e resiliente, di una bellezza che resiste nel dolore diventando testimone delle contraddizioni della città: la Napoli che cresce, che lotta, che si sporca le mani ma non perde la sua anima.

Per ascoltare la canzone clicca qui

 

Riccardo Agresti

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