3 Dicembre, 2024
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Esclusiva L’agone – Un sacerdote italiano e la sua missione nella guerra in Ucraina

Abbiamo intervistato don Moreno Cattelan in una videochiamata organizzata dall’associazione “L’agone nuovo” ricca di emozioni e informazioni. Si presenta in modo semplice con la voce calma di chi è abituato a subire migliaia di domande non facili.

Ci racconta della sua scelta di diventare sacerdote fin dall’infanzia. Ci racconta del suo ingresso negli anni ‘70 nel seminario minore all’età di 11 anni per proseguire con il seminario maggiore e con la formazione di una vocazione sacerdotale e religiosa nella Congregazione di Orione dove vive nella fraternità della comunità ecclesiastica. Ha gli occhi lucidi quando ci racconta del suo desiderio di fare il missionario e il suo sogno di andare nel Madagascar, dove la congregazione ha una missione da più di 40 anni, e sorride ricordando la sua piccola indimenticabile esperienza lì. “Però la provvidenza gira le carte perchè ha un suo preciso piano per ciascuno di noi e invece di finire nel Madagascar vicino alle Seychelles, sono finito in un posto dove abbiamo sei mesi di freddo e di neve all’anno e siamo al 3 di maggio e come vedete ho uno smanicato perchè fa ancora freddo e abbiamo spento il riscaldamento che abbiamo tenuto il più possibile accesso per i nostri profughi. Ma come succede sempre qui appena spegni il riscaldamento ricomincia a far freddo”. Ride Don Moreno e aggiunge: “è questa la mia storia: una vocazione che poi si è concretizzata nella Congregazione di Orione che ha un carisma della carità universale, dell’accoglienza verso tutti;  senza distinzione di religione, di razza, di genere, ma con la capacità di arrivare al cuore di ogni persona.

Lei racconta la sua quotidianità della guerra su Facebook attraverso pagine di diario. Perché chiama i suoi post: “Diario di pace”?
E’ una domanda interessante. Se sei in vacanza scrivi il tuo diario di vacanza, quando fai un pellegrinaggio puoi scrivere il tuo diario del cammino a Santiago di Compostella, per esempio. Se sei in guerra normalmente fai un diario di guerra. Leggo tutti i giorni il bollettino di guerra che viene emanato dai responsabili del nostro esercito e il discorso che fa il nostro presidente tutte le sere. Io ho voluto chiamare il mio: Diario di Pace perché è quello che noi dobbiamo cercare. Non raccontare episodi di violenza di questa guerra è una scelta che ho maturato già ai tempi degli eventi di Maidan, 8 anni fa. All’inizio anche io sui social condivido immagini di violenza ma poi mi sono chiesto perchè pubblicare queste foto? Non aveva alcun senso, quindi avevo fatto la mia scelta di non pubblicare foto di violenza che incitano all’odio, alla contrapposizione. E sono rimasto,  anche in questo contesto, fedele a questa mia scelta tranne che per la foto del bombardamento vicino a noi che per forza di cose ho dovuto testimoniare ma è stata un’eccezione per la quale ho chiesto scusa a chi mi segue. Il mio è un diario di pace perché racconto la quotidianità. Il mio è un racconto personale come quello di Anna Frank.: lei raccontava quello che succedeva dentro la soffitta dove erano rifugiati, i suoi sentimenti, quindi anch’io racconto le cose semplici e straordinari che ci capitano tutti i giorni in un contesto che non è più la normalità. Le guerre sono tante ma questa è la nostra che ci tocca e ci ha cambiato e ha trasformato il nostro modo non solo di vivere perchè siamo in 11 mila ucraini sfollati in giro per l’Europa. Anch’io sono uno sfollato in un certo senso perchè, dopo quindici anni di permanenza a Leopoli, avevamo iniziato due anni fa a Kiev una nuova missione e purtroppo sono dovuto scappare il giorno del primo bombardamento il 24 febbraio. Nel mio diario la pace non è l’assenza della guerra ma quello che si vive ogni giorno, i rapporti che si creano, quello che possiamo creare di positivo all’interno di una situazione tragica come questa. Guardiamo questa guerra anche in prospettiva della fratellanza, dell’accoglienza, cercando il lato positivo, guardando la metà piena nel bicchiere, e speriamo che si fermino i bombardamenti presto.

 Racconta nel suo diario del 29 aprile che le monache del monastero benedettino, costruito di recente fuori L’viv, hanno aperto il loro convento, pur essendo di clausura, ospitando profughi provenienti  soprattutto da Mariupol. Questo, per caso,  è un invito ai monasteri d’Europa ad aprire le porte a chi fugge dalla guerra?
Non è né un invito né un rimprovero perchè credo che molti monasteri e chiese hanno aperto le loro porte. Anche la nostra Congregazione di Don Orione lo ha fatto qui ma anche in Italia dove una quindicina di nostre comunità hanno accolto i profughi. A Tortona, dove c’è il nostro centro principale,  ci sono 60 profughi ospitati, ma questo vale per Genova, Fano, Roma. La particolarità era legata al fatto che le suore di questo monastero hanno infranto la clausura e non solo ospitano i profughi nella foresteria ma hanno abbattuto le barriere canoniche e hanno ospitato all’interno della clausura queste mamme con bambini fuggite da Mariupol, aprendo le loro stanze di fronte alla sofferenza.

 

Sempre nel suo diario del 29 aprile ci racconta della telefonata con Angelo Moretti responsabile del progetto MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenza). Vede un aiuto concreto nella marcia di massa a favore della nazione ucraina?
C’è stato qualcosa di simile con la comunità “Papa Giovanni XXIII” di Don Oreste Benzi . Abbiamo ospitato per un mese due esponenti della comunità che hanno operato qui all’interno del paese aiutando profughi, creando contatti tra l’Ucraina e la loro comunità e poi è stata fatta una piccola manifestazione di circa duecento persone venute dall’Italia con mezzi propri. La loro idea era di fare una manifestazione  per dare visibilità ma non è stato possibile perché in un contesto di guerra non puoi muovere una massa di persone perché si possono creare dei problemi. Adesso, i responsabili del MEAN, tentano una mobilitazione di tantissime persone a livello europeo. Secondo me sarà anche questa difficile da realizzare ma se non altro sta a indicare che questa guerra non la si sta solo guardando in televisione dove mi sembra che  passi il solo messaggio che la Russia sta facendo qualcosa di ingiusto e che l’invasione dell’Ucraina è  solo una questione territoriale ma non ho mai sentito un dibattito su cosa significa questa “denazificazione” dell’Ucraina, nessuno l’ha ancora spiegata con parole semplici.

L’impossibilità di fare rifornimento di benzina e gasolio per una settimana, di cui fa cenno nel diario del 30 aprile, cosa significa per il vostro convento e per i profughi che ospita? E l’aumento costante dei prezzi come influisce sul vostro lavoro e sull’aiuto concreto che date alle persone in fuga?
Alla fine di questa settimana speriamo ci sia la possibilità di fare rifornimento. Qui in città c’è qualche distributore ma devi fare una fila di 4-5  ore per prendere 10 litri di benzina e non riesci a fare molta strada quindi influirà anche sui mezzi di trasporto, anche sui pullman che noi utilizziamo che per adesso hanno il carburante garantito dai loro piccoli depositi quindi non siamo preoccupati per il presente. Per il momento troviamo ciò di cui abbiamo bisogno per il sostentamento dei nostri profughi, tutto ciò di cui abbiamo bisogno per dare loro un’accoglienza più dignitosa possibile. Ci spaventa  perché può essere un primo segnale di crisi, di una difficoltà nel reperire il materiale che può succedere in futuro, nel domani, perché non sappiamo quanto durerà questa guerra. C’è questa data della prossima settimana, questo famoso 9 maggio ma credo che le cose andranno ancora per le lunghe. Noi confidiamo nella divina provvidenza e abbiamo una trentina di profughi che ospitiamo già da più di due mesi. Sabato arriverà un carico con aiuti umanitari di una scuola di Milano che casualmente ha saputo di noi e faranno questo viaggio con corraggio. Li abbiamo rassicurati perché qui a Leopoli non c’è la stessa situazione che c’è ad esempio a Kiev dove ci siamo stati per verificare le condizioni in cui versa il centro che abbiamo aperto ed era tutto normale però si vede la sofferenza. A Kiev c’è meno traffico, centri commerciali e negozi chiusi, diversamente qui a Leopoli la vita è ancora pressoché normale.

Torno indietro nel suo diario e rimango toccata dalle parole con le quali chiude la pagina del 18 aprile:”E anche oggi si va letto….vestiti”. Una frase che   dice più di ogni altro racconto  della guerra.  Cosa si sente di dire ai nostri lettori che non riescono a comprendere la realtà che vivete lì?
Sto per dire una cosa utopica: bisognerebbe stare qui una settimana. Non auguriamo a nessuno di vivere la situazione che viviamo noi da più di due mesi sotto profilo umano però sarebbe bello se tanti avessero il desiderio di venire e sperimentare come si vive in tempo di guerra e non solo perché si va a letto vestiti per paura degli allarmi che scattano 5-6 volte al giorno e anche di notte e vivi di ansia e devi cercare riparo più in fretta che puoi perchè quando c’è l’allarme non sai dove sarà l’attacco: su Odessa, su Kharkiv, su Leopoli etc. Bisogna esserci dentro perchè un conto è guardare le immagini dalla televisione, dal computer, dal telefonino e un’altra cosa è vedere queste immagini con i propri occhi, sentire l’esperienza dalla gente che viene. Qui nel nostro monastero abbiamo ospitato più di 500 persone che abbiamo aiutato a raggiungere l’Italia e le loro storie, la loro sofferenza, la paura dei bambini, tutti  questi sentimenti ti stravolgono completamente la vita. Hanno dovuto lasciare tutto all’improvviso e partire, fare 500 chilometri in 20 ore, e ricominciare una vita nuova. La nostra vita al convento sembra uguale fatta di preghiera ma ci ha cambiato dentro, ci ha trasformato, la guerra ti da un modo diverso di guardare la vita, il domani, le persone. Anche il comportamento delle persone è cambiato. La guerra trasforma tutto non solo perché bombarda le città, distrugge e fa in modo che milioni di persone si muovono da una parte all’altra del mondo ma perchè ti bombarda dentro  con tante domande, con certezze distrutte, è una tragedia non solo fisica ma proprio all’interno dell’anima, della coscienza. Bisogna trovare risposte alle domande dei bambini che ti chiedono come mai Dio non fa finire la guerra nonostante lui si impegni a pregare ogni giorno. Cercare di conciliare la Pasqua con la guerra, la morte con la resurrezione e le ingiustizie che questo popolo sta subendo. Ci chiedono: perchè a noi? Leggiamo quello che ci sta capitando alla luce del Vangelo ma quando guardi i volti di questa gente capisci che è difficile dare delle risposte e conciliare il Vangelo con quello che stiamo vivendo, però è lo sforzo che dobbiamo fare. Dio sa quello che ci succederà domani e io ripeto sempre che verrà e ci salverà. Non ci salveranno di certo le armi o le marce della pace anche se sono buoni propositi. La gente è fiduciosa, qui c’è molta religiosità, positività e qui preghiamo tutte le sere che si arrivi presto ad una soluzione che ponga fine a questa tragedia, a questa assurda guerra che sembra senza un perché.

 Passando a cose più concrete vorrei sapere se gli aiuti umanitari, in particolare quelli per l’infanzia vi giungono a sufficienza, se sono gestiti in maniera organizzata e se arrivano tutti ai bisognosi?
Sì,  gli aiuti umanitari adesso stanno arrivando con più facilità rispetto a prima. Noi qui al monastero abbiamo ricevuto pochissimi aiuti umanitari circa 4 tonnellate in due pulmini con materiale dalla nostra comunità in Romania e qualche altro aiuto da privati ma adesso confidiamo nell’arrivo di questi aiuti da Milano sabato. Però nel paese  sono arrivate tonnellate di aiuti che all’inizio si sono fermati in Polonia poi dal mese di aprile gli aiuti sono arrivati senza problemi. Qui a Leopoli ci sono dei punti di raccolta da dove tutto viene inviato nelle altre città, sul fronte o distribuito nei vari punti della città  perché tutte le scuole, i monasteri, i privati accolgono i profughi e si stanno costruendo anche  villaggi con i prefabbricati per accogliere sempre più gente. Le medicine e il materiale sanitario viene destinato ai soldati e le associazioni interne fanno questo servizio di consegna. Per esempio, fino a poco tempo fa, abbiamo ospitato una dottoressa che doveva accudire la sua piccola e mandava medicinali direttamente al reparto dove il marito era presente sul fronte e curava i feriti. C’è una buona rete di distribuzione, nulla va sprecato ma utilizzato nel miglior modo possibile.

Con grande speranza nel ritorno alla normalità, Don Moreno ci racconta la piazza di Leopoli, domenica scorsa, invasa dagli artisti di strada. “Leopoli è una bellissima città-ci dice con orgoglio-dove si respira l’arte esattamente come nelle piazze europee. Quindi gli artisti si sono impossessati della piazza e in questi giorni se venisse qui qualcuno da Marte senza sapere che c’è la guerra  non si accorgerebbe se non per qualche soldato. Ci stiamo preoccupando per il futuro ma con la speranza ancorata nella Divina Provvidenza.”

Già, gli artisti richiamano la vita, la normalità, il fine di una guerra assurda, infondono alla gente di Leopoli il coraggio di riconquistare la normalità della loro fragile democrazia nascente che tanto dà fastidio a qualcuno e come una risposta a tutto questo, mentre trascrivo l’intervista conclusa da poco, ci giungono le notizie di nuovi missili su una Leopoli sotto un nuovo attacco e senza corrente elettrica. Chiedo notizie a Don Moreno come un proseguo dell’intervista in tempo reale e mi scrive:

“Bombardate 4 sottostazioni elettriche in vari punti della città. Alcune zone sono al buio (per es. Sykiv) e manca la connessione internet. Noi abbiamo sentito due colpi netti. Ho visto il missile cadere. Dalle poche notizie che abbiamo sembra non ci siano morti. Per ora un ferito. Noi qui tutto bene. Grazie per l’attenzione. Un saluto a tutti

E questa mattina la normalità, quella quotidiana di questi due mesi di guerra, sembra tornata in città ed è sempre don Moreno a rassicurare con il suo carisma:

“La situazione ora è normale. Ci sono solo ritardi nelle partenze e arrivi dei treni. Non ci sono state vittime. Un po’ di paura. Ma superiamo anche questo momento. La notte abbiamo potuto dormire senza ulteriori allarmi. Grazie per l’attenzione e la preghiera.

Già la preghiera, ma noi tutti noi dobbiamo impegnarci molto di più per far tornare la pace in Ucraina.

Per i lettori che vogliono aiutare direttamente la missione di Don Moreno a Leopoli e Kiev possono fare donazioni al seguente conto:

EGIDIO MONTANARI

N.IBAN IT59 C030 6901 6021 0000 0061 578

Presso BANCA INTESA – SAN PAOLO- Filiale 00352

Via Antonello da Messina, 24 – 20146 MILANO (MI)

Specificare causale: EMERGENZA UCRAINA- MISSIONE KIEV/LEOPOLI

Aggiungendo il vostro indirizzo

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