5 Dicembre, 2025
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PALESTINA. UN GENOCIDIO IN DIRETTA

Il mondo mediatico e l’opinione pubblica mondiale godono da due anni di un singolare “privilegio”: nella storia dei genocidi (e ce ne sono stati diversi nel percorso dell’umanità, almeno da quando comincia la storia intesa come scrittura dell’accaduto) è la prima volta che abbiamo la possibilità di assistere ad un genocidio in diretta, grazie alla tecnologia del nostro tempo.

Ed è anche la prima volta che l’operato di coloro che attuano questo scempio dimostrano la spudorata certezza di mostrarsi come vittime che agiscono per la propria difesa e sopravvivenza. Esiste ora in Israele un governo che riesce a manipolare il passato millenario di un grande popolo da sempre perseguitato.

Un governo, espressione minima di una élite politica, che ha assunto al suo interno noti  criminali in ruoli di rilievo, e  che vive il proprio fanatismo religioso con venature di follia, e ne fa strumento di un nazionalismo espansionistico  che si realizza nel sistematico crimine di guerra e nella sistematica violazione del diritto internazionale. Diritto che  già di per se stesso è fragile e, come precisa un nostro ministro, “vale fino a un certo punto”.

Il governo Netanyahu accusa infatti di terrorismo (termine ambiguo, anche storicamente, che cambia a seconda delle definizioni legali che ne danno i diversi Stati) chiunque e qualsiasi evento tenti,  anche con strumenti del tutto pacifici, di riportare nei termini ragionevoli del diritto internazionale la follia nazionalista ed espansionista che pervade oggi la politica di Israele, e che ne mangia l’anima. Un’anima luminosa che , in passato, si poteva ancora forse considerare  una delle poche speranze della storia dell’umanità.

Non tutto parte dal 7 ottobre di due anni fa, giorno in cui è accaduto il noto pogrom realizzato dai criminali di Hamas contro un gruppo di giovani inermi  imbevuti di musica e di ideali pacifisti, e contro famiglie fra le più democratiche e open minded di tutto Israele. Il 7 ottobre ha dato l’alibi finale ad un processo di prevaricazione  e di apartheid perpetrato dalla politica interna israeliana sul popolo palestinese: un processo sempre più violento e inarrestabile, misconosciuto o anche ignorato dal mondo.

Un processo che ora si sta completando con efferatezza inaudita con il beneplacito dei regimi politici di mezzo mondo, abbrutiti dal potere economico e dai legami globali intrecciati da decenni con Israele, e con il mondo della diaspora ebraica. (Gli ebrei della diaspora sono coloro che hanno scelto di non rientrare in Israele dopo il 1947).

Tutto questo accade sotto gli occhi di un’opinione pubblica globale sempre più esterrefatta ed incredula, e che solo ultimamente sta trovando l’energia di esprimersi, con una reazione visibile e organizzata: le diverse ultime manifestazioni di massa in casa nostra e in Europa, ma anche negli USA;  e la missione della Flotilla.

Molti intellettuali di matrice ebraica pensano e scrivono da anni denunciando le condizioni di apartheid in cui è tenuta da ottanta anni la popolazione palestinese. E ultimamente ancora molti altri, finora piuttosto moderati , si stanno pronunciando con forza e intima sofferenza contro l’operato del governo Netanyahu, operato a volte negato a volte ostentato con un misto di ipocrisia e di spudoratezza.

L’arroganza di Israele, dice qualche commentatore. Altri giornalisti esperti di Medio Oriente   parlano  anche  della rimozione collettiva dell’opinione pubblica in Israele, il cui senso critico e la cui consapevolezza  sono stati offuscati dal dolore del 7 ottobre e degli ostaggi mai restituiti. Eppure sappiamo che in molti in Israele vogliono la pace, e in molti vorrebbero la controversa soluzione dei due popoli conviventi in due stati adiacenti.

In questo caotico e doloroso orizzonte, qualcuno e qualcosa ci hanno fatto sognare: la Flotilla, con la sua missione apparentemente avventurosa e improbabile, e che esprime invece una altissima  verità di solidarietà : umana, inter-religiosa, internazionale, intergenerazionale. Una missione che è diventata potente arma mediatica di pressione politica; una missione vissuta dai suoi partecipanti in termini di pacifismo e non violenza gandhiana e con enormi sforzi e rischi personali.

Non a caso diverse voci del mondo cattolico hanno di recente ringraziato la Flotilla, che ha saputo organizzare anche a chi era rimasto a terra  un’azione di ripetute manifestazioni politicamente trasversali, per la gran maggioranza pacifiche, e con una inedita partecipazione di massa.

Purtroppo, non possiamo fare a meno di notare con amarezza come l’effimero domini il mondo dell’informazione:  i media hanno già dimenticato l’imponenza delle manifestazioni; della Flotilla si parla ora poco o nulla; la partecipazione emotiva ai cortei non si è tradotta in partecipazione politica, con una maggiore affluenza alle urne alle ultime regionali di domenica scorsa.

Eppure, e proprio per questo, non dobbiamo e non vogliamo smettere di indignarci . Continuiamo a informarci sulla storia recente della Palestina, che non nasce il 7 ottobre ma almeno cento anni prima.  Anna Foa  ( Il suicidio di Israele) e Gad Lerner (Ebrei in guerra)  hanno di recente scritto libri interessanti e sofferti, sottili e densi, con una scrittura chiara e incisiva. Tutti noi che ci indigniamo e soffriamo di questi eventi inauditi (ma non inediti nella storia umana, purtroppo) abbiamo il dovere morale di conoscere e di ascoltare. Sono testi alla portata di tutti, anche di chi non è poi così abituato alla lettura. E ricordo anche le testimonianze di Francesca Albanese (J’accuse).

Quando il mondo dorme), esperta di diritto internazionale e da anni funzionaria delle Nazioni Unite per le questioni legate alla Palestina. La Albanese è una che non si tira indietro, che non ha paura di pagare il prezzo per la propria libertà di esprimere ciò che la coscienza le impone di divulgare. Ed è  un prezzo molto alto, in termini umani e professionali.

E infine un libro facile facile, una raccolta di racconti : Gaza writes back: racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina. La raccolta è stata curata da Refaat Alareer, poeta e professore universitario palestinese, ucciso dall’esercito israeliano in un omicidio mirato a Gaza City, il 6 novembre 2023.

Non oso chiedermi quanti di quei giovani scrittori siano ancora in vita.

Grazia Caruso

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