Nel gorgo dell’amore
Il giorno del matrimonio giunse impietoso, vestito d’oro e illusioni. La città si adornò di lanterne vermiglie e petali di peonia, mentre il corteo nuziale avanzava lento, sontuoso, tra musiche che sapevano più di cerimonia che di gioia. Zhu, avvolta in veli rossi, come una dea imprigionata dalla leggenda, non parlava. Il sorriso era un obbligo ricamato sulle labbra.
I tamburi echeggiavano tra le case, i bambini lanciavano riso e fiori, e il sentiero designato, paradossale nella sua crudele bellezza, rasentava il vecchio cimitero, come se il destino volesse ricordare alla vita la presenza dell’ombra.
Fu proprio lì, a poca distanza dalle fosse ripiene, che la natura si ribellò: una tempesta improvvisa, scura come un presagio, si abbatté con furia. Vento tagliente, tuoni senza nome, pioggia che cadeva come il pianto dimenticato degli dei. I portantini, colti dal panico, abbandonarono la lettiga nuziale come fosse maledetta. Zhu discese, vestita ancora del rosso felice, ma col passo di chi ha già smesso di esserlo da tempo. Attratta da un richiamo che nessuno udiva tranne lei, camminò sotto la pioggia verso la lapide nuova e lucente. Vide il nome, Liang, scolpito come una ferita nella pietra e il mondo le tremò dentro. Si inginocchiò, implorò la terra di lasciarla andare, di farla tornare. Le sue lacrime non chiedevano pietà, chiedevano fine.
Terra e cielo risposero all’unisono. Un lamento profondo, come un’antica creatura che si risveglia, un fulmine potente e il suolo si squarciò. Zhu non esitò: si gettò nel vuoto, nel gorgo che la separava dall’anima amata, nel gorgo senza tempo, là dove le anime si ricordano ancora. Non fu fuga. Fu ritorno.
All’improvviso, la tempesta svanì. Il cielo si aprì come il sipario di un teatro antico: da un lato si stese un arcobaleno vivido, dall’altro il sole posò raggi dorati sulla tomba aperta. Dalla fossa, in silenzio assoluto, emersero due farfalle. Una rossa come l’abito di Zhu, l’altra azzurra come gli occhi che Liang non avrebbe dimenticato.
Danzarono tra i fiori, leggere come l’amore liberato dai nomi e dalle convenzioni sociali. Non furono viste da tutti, ma chi le notò smise di parlare per un tempo indefinito. Liang e Zhu non erano più prigionieri della carne: erano respiro e battito, erano il racconto che la natura tiene per sé, il sogno che attraversa il confine tra realtà e poesia. In quel volo, ogni addio si trasformò in canto.
Da quel giorno, il sentiero presso il cimitero venne ribattezzato “Via delle Ali” e ogni primavera le giovani spose, prima del matrimonio, vi lasciano un fiore piegato come origami: un gesto che implora al destino un volto meno crudele
Il mito racconta che le due farfalle, una rossa come il crepuscolo d’estate, l’altra azzurra come il primo pianto del mattino, tornano ogni anno tra i fiori e danzano in cerchio quando un amore vero è stato ostacolato dalla sorte. Alcuni giurano che, se vedi le due farfalle insieme nel giorno del tuo matrimonio, nessuna imposizione potrà piegare il tuo cuore. Altri raccontano che, se ascolti bene, potrai sentire le farfalle sussurrare: “Dove l’amore cade, la vita lo rialza.”
I bambini vengono portati lì per imparare che ciò che è perduto può ancora volare. Gli anziani si inchinano davanti alla lapide spezzata che ancora racconta, sotto la pietra, il nome di Liang.
La danza delle farfalle eterne
Tra le quattro storie d’amore più celebri della tradizione cinese, quella di Liang Shanbo e Zhu Yingtai vive nel cuore dei secoli. Citata per iscritto già nel 700 d.C., ai tempi del regno dell’imperatrice Wu Zetian (624–705) sotto la dinastia Tang, è presente in forma molto sintetica: solo una frase che ricorda i due amanti sepolti insieme. Un silenzio eloquente, che parla della grande popolarità del racconto, così diffusa da rendere superflua la narrazione stessa. Una versione appena più estesa compare nel IX secolo, ma è solo con la dinastia Ming che il mito si veste di ali: è allora che compare la metamorfosi delle farfalle, simbolo perfetto di un amore che supera il tempo e la forma.
Questa leggenda ci rammenta con delicatezza la natura eterna dell’amore e i sacrifici che esso chiama. Zhu Yingtai, travestita da ragazzo per poter studiare, entra nella mitologia cinese come figura rivoluzionaria: sfida le norme di genere, le aspettative sociali, il destino già scritto. La sua intelligenza, il suo coraggio e la sua fame di libertà ne fanno una figura incandescente, testimone della lotta per i diritti delle donne e l’individualità. È lo spirito dell’amore puro, custode delle verità che il cuore non osa pronunciare.
Il suo ultimo gesto, gettarsi nella tomba, trascende ogni confine: rifiuta il matrimonio imposto, rompe i legami patriarcali, dissolve la barriera fra vita e aldilà. In quel salto, l’amore si rivela come unico valore: più forte della morte, più sacro della tradizione. L’idea della farfalla, introdotta tardi, completa questo gesto con una metafora delicata e potente: dopo una dormienza che somiglia alla fine, l’essere si risveglia in bellezza, e vola oltre ciò che prima le era negato.
Tradizionalmente interpretata come un’ode all’amore eterosessuale, la leggenda apre anche alla lettura omosessuale: Zhu e Liang condividono uno spazio di intimità, complicità e tensione emotiva, vissuto sotto le apparenze maschili. Questa lettura si rafforza nella performance operistica dell’opera Yue che è recitata esclusivamente da donne, dando nuova voce alle ambiguità e agli amori nascosti.
Nel 1958, la storia trovò nuova vita in musica: il celebre concerto per violino e orchestra Butterfly Lovers, composto da He Zhanhao e Chen Gang, è ancora oggi considerato un capolavoro della musica cinese moderna, un canto che vibra tra le ali di chi osa amare e sognare.
Nel villaggio di Shaojiadu, a cinque miglia da Ningbo, sorge oggi il Tempio di Liang Shanbo, costruito nel 347 d.C. in suo onore. Liang, amato anche come magistrato per la sua lotta contro le alluvioni del fiume, è qui ricordato con una statua che lo raffigura insieme a Zhu. La sala posteriore del tempio riproduce la loro camera da letto, con un letto vermiglio e, appena dietro, la loro tomba. Gli abitanti venerano il tempio come simbolo di un amore eterno che sfida ogni imposizione.
A celebrare il legame tra mito e memoria, Ningbo e Verona sono oggi città gemelle. A Verona, una statua di marmo bianco raffigurante Liang Shanbo e Zhu Yingtai accoglie i visitatori di fronte al Museo di Giulietta, mentre a Ningbo, una statua di bronzo di Giulietta restituisce il gesto, creando un ponte poetico tra Oriente e Occidente, tra due amori che il mondo non ha mai dimenticata.
Riccardo Agresti


