Dal tessuto al mantello: il viaggio del nome
Il termine càlico, quando riferito ai gatti, non indica una razza né è legato a una razza specifica: descrive esclusivamente una particolare colorazione del mantello, caratterizzata da grandi chiazze tricolori, bianco, nero e arancione, oppure grigio e crema nelle varianti diluite. Negli Stati Uniti calico cat è diventato sinonimo di “gatto tricolore”, ma l’origine del termine affonda nelle rotte commerciali: calico deriva infatti dal francese calicot, che a sua volta indicava un tessuto di cotone stampato e leggero. Questo tessuto prendeva il nome dalla città indiana di Calicut (oggi Kozhikode, nello stato del Kerala), celebre porto del Malabar dove i tessitori locali, i chaliyans, producevano e commerciavano queste stoffe.
Macchie di luce e colore
Il mantello del gatto calico si riconosce per le sue ampie macchie ben definite, in cui il bianco occupa una parte consistente (in genere tra un quarto e tre quarti del totale), affiancato da zone di nero e arancione. La differenza rispetto al mantello tartarugato (tortie) è evidente: nel tartarugato i colori rosso/arancione e nero si intrecciano in una trama fitta e mescolata, quasi come pennellate sovrapposte, mentre nel calico classico le chiazze sono nitide e separate, con contrasti più netti. A voler essere ancora più precisi, il calico non si limita alla presenza dei tre colori: nelle aree scure (nere o grigie) le macchie sono solide, cioè prive di striature o disegni.
il Calico classico ha macchie ben definite di bianco, nero e arancione.
Il Calico diluito ha tonalità più tenui, con bianco dominante e macchie che spaziano dal grigio-blu al crema fino al cosiddetto “biondo fragola”.
Il Tartarugato ha colori rosso/arancione e nero mescolati e intrecciati su tutto il mantello, senza grandi zone uniformi di bianco.
Un disegno che non si può programmare
Il mantello calico nasce dall’interazione dei geni che determinano le chiazze arancioni e nere, distribuite su un fondo bianco. Non è una razza, ma una colorazione resa possibile da particolari combinazioni cromosomiche. Quindi non è possibile “allevare” gatti calico in modo programmato, poiché la loro nascita dipende da meccanismi genetici casuali. È proprio questa imprevedibilità a renderli speciali e, in molte culture, considerati portafortuna. Le razze che ammettono il mantello calico sono numerosissime: praticamente tutte quelle che non impongono una colorazione unica (come il Blu di Russia, il Korat o il Certosino), non limitate al colorpoint (come il Siamese) o a mantelli tipici e uniformi (come l’Abissino, il Sokoke o l’Ocicat). In altre parole, il calico può comparire in gran parte delle razze a pelo corto e lungo, rendendolo una delle colorazioni più affascinanti e trasversali del mondo felino.
La sua origine viene spesso descritta come antica: alcuni studiosi ipotizzano che gatti con mantello tricolore fossero già presenti in epoca egizia e che la colorazione si sia diffusa in Europa lungo le rotte commerciali che collegavano il Mediterraneo con l’Asia e l’Africa.
Custodi di eccezioni: i maschi calico
Nei gatti, come in tutti i mammiferi, la colorazione del mantello è determinata da geni localizzati sui cromosomi sessuali. In particolare, il gene O (orange), responsabile del colore arancione, si trova sul cromosoma X.
Le femmine (XX), avendo due cromosomi X, possono esprimere contemporaneamente sia il nero sia l’arancione, oltre al bianco dovuto al gene spotting. È questa combinazione a rendere possibile il mantello tricolore tipico del calico.
I maschi (XY), invece, possiedono un solo cromosoma X: per questo sono quasi sempre monocolore (nero, arancione o altra tinta), con eventualmente il bianco. I rarissimi maschi tricolori nascono quando si verifica un’aneuploidia sessuale, cioè un’alterazione del numero dei cromosomi, che li porta ad avere un assetto XXY. Questa condizione genetica è nota anche nell’uomo come sindrome di Klinefelter e comporta generalmente sterilità. Nei gatti calico maschi XXY la fertilità è un’eccezione straordinaria: si stima che nascano circa 1 su 3000 gatti maschi con questa condizione, e che solo 1 su 10.000 di essi sia fertile. In pratica, una probabilità di 1 su 30 milioni: un evento quasi mitico. Per la loro rarità, i maschi calico sono spesso considerati portafortuna. La loro unicità li rende figure narrative e simboliche: custodi di eccezioni, testimoni di un destino che sfida le regole naturali ed è visto come un segno di prosperità eccezionale.
Il mosaico della natura: la lyonizzazione
La colorazione del mantello nei gatti calico è il risultato di un fenomeno affascinante: l’inattivazione di Lyon (o lyonizzazione), cioè il silenziamento casuale di uno dei due cromosomi X nelle cellule femminili. Durante le prime fasi dello sviluppo embrionale, ogni cellula della femmina inattiva uno dei due cromosomi X per bilanciare la produzione delle proteine. Una volta stabilita, questa scelta rimane invariata nelle divisioni cellulari successive. È proprio questa casualità a generare le chiazze di colore composte da cellule “figlie” della cellula iniziale: in alcune cellule “madri” resta attivo l’X con l’allele “nero”, in altre quello con l’allele “arancione”. Il risultato è un mosaico unico e irripetibile: nessuna gatta calico ha lo stesso disegno di un’altra.
Il bianco, invece, ha un’origine diversa. Non dipende dall’inattivazione dei cromosomi X, ma dalla mancata migrazione o attività dei melanociti — le cellule che producono pigmento — in alcune zone della pelle durante lo sviluppo. In quelle aree, semplicemente, il colore non viene depositato, creando macchie candide che completano il mantello tricolore.
Talismani del mare e della terra
In molte culture, i gatti calico sono considerati portafortuna, simboli di prosperità e protezione.
In Giappone, dove vengono chiamati mi-ke (“tre peli”), già nell’Ottocento erano celebrati come talismani beneauguranti. Una leggenda narra che i marinai portassero con sé almeno un gatto calico a bordo, convinti che li proteggesse dalle tempeste e dai pericoli del mare. Sempre in Giappone, il celebre Maneki Neko (gatto che chiama), la statuetta del gatto con la zampa alzata che accoglie clienti e fortuna oscillando in continuazione, trae ispirazione proprio dai calico, anche se non tutti i Maneki Neko sono raffigurati tricolori. Infatti, ogni colorazione ha un significato di auspicio differente: il bianco per l’armonia domestica, nero contro la sfortuna, oro per la ricchezza, rosso per la salute, verde per il successo scolastico e calico (tre colori) come potentissimo portafortuna. Se la zampa sinistra è sollevata, richiama i clienti; se è la destra, diffonde buona sorte. A molti occidentali può sembrare che il Maneki Neko stia salutando. In realtà, il gesto che compie riproduce il modo tipico con cui i giapponesi invitano qualcuno ad avvicinarsi: la mano alzata, il palmo rivolto verso l’esterno e le dita che si piegano verso il basso, ripetutamente. La statuetta del gatto emula proprio questo movimento, trasformandolo in un segno di accoglienza. Secondo la tradizione giapponese, il Maneki Neko è un potente portafortuna: numerose leggende raccontano che quando un gatto assume questa posa, sulla casa o sul negozio del suo proprietario si riversa prosperità, clienti e buona sorte. Nel 2007, una gatta calico di nome Tama divenne capostazione a Kinokawa: la sua presenza aumentò il traffico passeggeri del 17% e salvò la stazione dalla chiusura, trasformandola in un’icona nazionale.
In Irlanda, un’antica, e falsa, credenza popolare sosteneva che strofinare la coda di un calico su una verruca a maggio la facesse scomparire. Nel Medioevo europeo si pensava che questi gatti tenessero lontani gli spiriti maligni: “dove passa un calico, il male si dissolve”, recitava il proverbio.
In Germania sono chiamati Glückskatze, “gatti della fortuna”. Nel 2001, negli Stati Uniti, noti come Money Cats, sono stati scelti come gatto ufficiale del Maryland, perché la loro colorazione bianca, nera e arancione richiama quella della farfalla di Baltimora e del rigogolo (Baltimore Oriole), simboli dello Stato. Nei Paesi Bassi li chiamano lapjeskat, “gatti rattoppati”, mentre in Québec sono noti come chatte d’Espagne, “gatte di Spagna”.
Una suggestiva leggenda tibetana del XII secolo racconta che, in un monastero attraversato da discordie, tre monaci si dedicarono a digiuno e preghiera. Il giorno seguente apparve una gatta calico con tre cuccioli femmina: i colori del suo mantello furono interpretati come un segno divino: il bianco lo Yang, il nero lo Yin, l’arancione la Terra e il monastero come il luogo in cui questi tre principi dovevano armonizzarsi.
Si ringraziano la dottoressa Valentina Cavallo della associazione “a- Mici” Onlus e la dottoressa Elena Peci per la consulenza scientifica
Riccardo Agresti


