5 Dicembre, 2025
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I miei viaggi: Sperlonga, una perla del litorale laziale (parte 2 di 3)

Il vento della libertà: Giulia tra mito e letteratura

La storia, un po’ ammantata di leggenda, si presenta invece l’8 agosto 1534, quando Sperlonga vide lo sbarco ed il tentativo di un manipolo di turchi, sotto il comando di Barbarossa (Khayr al Din), di approdarvi per giungere alla vicina Fondi, allo scopo di rapire la bella e coltissima Giulia Gonzaga, la quale, a 21 anni, vedova da 6 (sposata a 13 anni con un uomo di 40 anni) si trovava nel Castello di Fondi, residenza della sua contea nel Lazio, per farne “grazioso omaggio” al sultano Solimano il Magnifico, affascinato dalla sua fama di bellezza e intelligenza.

La fama della bellezza di Giulia Gonzaga (nata a Gazzuolo, Mantova, nel 1513) e del suo spirito si erano diffuse per tutta Italia ed oltre mare grazie anche a Ludovico Ariosto che la cantò ne l’“Orlando furioso”

«Iulia Gonzaga, che dovunque il piede volge, e dovunque i sereni occhi gira, non pur ogni altra di beltà le cede, ma, come scesa dal ciel dea, l’ammira».

Secondo altre fonti, invece, il Barbarossa sarebbe stato prezzolato dalla famiglia Colonna e, molto probabilmente, l’anima nera sarebbe stata proprio la figliastra Isabella Colonna, nata dal primo matrimonio del marito Vespasiano Colonna, la quale, eliminata così la parente acquisita, sarebbe rientrata in possesso dell’asse ereditario del defunto padre.

Sperlonga fu colta di sorpresa: le strade si riempirono di caos, le case vennero saccheggiate, gli abitanti presi in ostaggio. Gli sperlongani finsero di collaborare, ma di nascosto riuscirono ad avvisare di notte la bella Giulia che riuscì a sfuggire al rapimento grazie a una fuga rocambolesca e, forse, ancora in abiti da notte,

Quella notte Giulia Gonzaga era affacciata dalla loggia del suo palazzo. Il vento le scompigliava i capelli, ma lei restava immobile, vigile. Un messaggero ansimante raggiunse il cortile. «Madonna, i corsari sono giunti!» Il tempo sembrò rallentare. Giulia non tremò. Era cresciuta tra corti e consigli, e conosceva l’arte della dissimulazione. Ma quella sera, la paura non si poteva celare dietro la grazia. Non esitò. Con uno sguardo lucido e determinato ordinò: «Preparate il cavallo. Non sarà questa la notte della mia cattura». Senza attendere altre certezze, la contessa montò in sella, ancora in abiti da notte. Fuggì oltre le mura, tra i canneti e le mulattiere che portavano lontano, verso Campodimele o Vallecorsa. Nel borgo si udivano già urla. Torce nella notte. L’assalto era iniziato. Ma Giulia non fu preda. Sotto il manto della luna, cavalcò come vento tra gli ulivi, percorrendo sentieri tortuosi tra querce e lecci, con l’abito strappato e il volto saldo. I suoi occhi non guardavano indietro. Ogni passo era libertà, ogni respiro sfida. La sua reputazione l’avevano trasformata in un trofeo. Ma il trofeo era fuggito, lasciando dietro di sé fuoco e sangue. Le prime luci dell’alba sfiorarono il volto di Giulia. Il destriero ansimava, ma non si era fermato. Il suono del mare era ormai lontano; solo il tamburo del cuore di Giulia echeggiava ancora come se il pericolo fosse dietro l’ultima curva. Dietro di lei, Sperlonga e Fondi non erano più le stesse. Case bruciate, mura squarciate, il porto devastato. I sopravvissuti si aggiravano come spettri, raccontando a voce tremante la notte dell’inferno. Non c’erano stati prigionieri per lo scherzo fatto a Barbarossa. Aveva massacrato gli abitanti. Si fermò a Itri dove incontrò una strenua resistenza da parte degli abitanti avvisati per tempo, che lo fece desistere dal proseguire, preoccupato anche per un possibile scontro con l’esercito che papa Clemente VII avrebbe messo in campo affidandone il comando al cardinale Ippolito de’ Medici innamorato nemmeno troppo nascostamente di Giulia.

L’episodio del tentato rapimento fu celebrato dall’egloga di Francesco Maria Molza “La ninfa fuggitiva” e non fece che rafforzare il mito della bellezza di Giulia che, dopo il tentato rapimento, lasciò Fondi per recarsi a Napoli dove rimase in convento fino alla sua morte nel 1566, a 53 anni.

Un murale, in stile fumetto, con colori vivaci, in Via Porta Piccola della Chiesa, eseguito nel 1973, per finzione scenica, in occasione delle riprese del film “Mamma lì turchi”, poi completamente rifatto nei primi anni 2000, quando è stato ristrutturato il palazzo, ricorda la storia.

La sua fuga rocambolesca dal Barbarossa è diventata leggenda, ma la sua vera grandezza risiede nella sua attività culturale. Giulia Gonzaga fu molto più di un volto incantevole. Fu mecenate, letterata, e figura centrale del Rinascimento italiano. Frequentò Juan de Valdés, pensatore spagnolo vicino alla Riforma luterana, e fu protagonista del cenacolo spirituale napoletano. La sua amicizia con Carnesecchi, Ochino e Valdés le costò l’attenzione dell’Inquisizione, che sequestrò le sue carte dopo la morte.

Giulia non fu mai preda. Fu vento, fu luce, fu pensiero. Fuggì dai corsari, ma non dalla verità. Nel silenzio del convento, coltivò idee che sfidavano il dogma e quando il tempo la chiamò, lasciò dietro di sé non solo un mito, ma un’eredità di bellezza, coraggio e libertà.

 

Valle dei Corsari: eco delle incursioni

La cosiddetta Valle dei Corsari è un toponimo che oggi indica un luogo di bellezza e di quiete, ma porta nel suo nome l’eco di epoche tumultuose, quando il mare non era solo fonte di vita, ma anche via d’assalto. Evoca le incursioni piratesche che per secoli hanno segnato le coste, non solo di Sperlonga.

Un altro assalto, meno noto di quello celebre del 1534, ma altrettanto devastante, colpì il borgo nel 1623. A raccontarlo con intensità drammatica fu il chirurgo e poeta Curzio Mattei di Lenola, che compose il poema “Il sacco e rovina di Sperlonga nel 1623”, in 120 ottave di struggente lirismo. Il manoscritto, riscoperto nel 1964 e pubblicato in edizione critica nel 2020, è oggi considerato una delle fonti storiche più vivide di quell’evento. Nel poema, Mattei descrive l’arrivo di dodici navi turche all’alba del 4 luglio 1623, guidate da rinnegati locali. Il borgo fu saccheggiato, 52 persone furono catturate, le chiese profanate. La narrazione è carica di pathos, e concorda con fonti ecclesiastiche coeve.

Secondo altre fonti, il nome “Valle dei Corsari” potrebbe derivare da un insediamento saraceno risalente a prima dell’anno Mille, tra l’arrivo dei monaci greci bizantini nel V secolo e l’insediamento dei benedettini nell’XI-XII secolo. I Saraceni, giunti con le loro navi, si stabilirono nei pressi della Grotta di Tiberio, sfruttando la posizione strategica e le sorgenti d’acqua dolce. Secondo alcune ricostruzioni, avrebbero persino progettato una pompa idraulica per sollevare l’acqua fino al borgo.

Questo insediamento resistette fino al 915, fino alla Battaglia del Garigliano, che segnò la fine dell’espansione musulmana nella penisola quando una lega cristiana, guidata da Papa Giovanni X e sostenuta da Bizantini, Longobardi e nobili italiani, assediò e distrusse la roccaforte saracena presso il fiume Garigliano.

La Valle dei Corsari è più di un nome: è memoria scolpita nel vento, è mare che racconta, è terra che ha tremato sotto il passo degli invasori. Ma oggi, tra le onde che lambiscono Sperlonga, non si odono più urla né clangori di spade, solo il canto del tempo che ha trasformato il dolore in bellezza e ogni tramonto su quella valle è un abbraccio di pace, dove la storia riposa, e la leggenda continua a sussurrare.

 

Sperlonga, il bianco sogno arroccato sul mare

Dopo il tramonto dell’Impero romano, i ruderi della sontuosa villa di Tiberio, affacciata sul Tirreno, divennero rifugio per le comunità locali. Era il VI secolo, e da quelle pietre antiche, intrise di storia e leggenda, nacquero i primi abitanti di Sperlonga. Essi iniziarono ad arroccarsi lentamente sul promontorio di San Magno, come se cercassero protezione tra le braccia della roccia. Così, pietra dopo pietra, nacque un dedalo di vicoli stretti e scalinate ripide, un labirinto difensivo che scoraggiava gli assalitori e favoriva la solidarietà tra gli abitanti.

Questa conformazione non fu solo frutto di ingegno, ma di necessità: le paludi portavano malattie, e il mare, seppur incantevole, era infestato da pirati. Per resistere alle incursioni, il borgo assunse la forma di una testuggine, compatta e protettiva. Le mura difensive, oggi scomparse, avevano due porte principali: “Portella” e “Porta Marina”, ancora visibili e decorate con lo stemma della famiglia Caetani, che dominava la zona nel Medioevo.

Sperlonga è bianca, come vuole la tradizione mediterranea. Ogni anno, le sue case vengono calcinate con calce viva: un tempo per tenere lontani parassiti, riflettere il sole e confondere gli invasori; oggi, per pura bellezza. Il bianco non è solo colore, ma luce che si rifrange sulle pareti, che accarezza le viuzze e che si fonde con l’azzurro del cielo e del mare.

Fino al secolo scorso povero villaggio di pescatori, Sperlonga si trasformò grazie alla tenacia dei suoi abitanti, che iniziarono a coltivare primizie pregiate in serre protette. Oggi è un rifugio esclusivo, meta di un turismo d’élite, dove il tempo sembra rallentare. Anna Magnani e Raf Vallone, affascinati dalla sua bellezza, la scelsero come residenza, portando con sé il respiro del cinema e dell’arte.

Le viuzze, strette e in discesa verso il mare, con gradini irregolari e antichi, si snodano tra case bianche e piazzette pittoresche. Ogni angolo è una scoperta, ogni scorcio una poesia. Mille dettagli, mille sfumature, conducono infine alla Torre Truglia, bianca e fiera, posta su uno scoglio all’estrema punta del promontorio, come sentinella del tempo.

Il sentiero che si affaccia a levante regala panorami mozzafiato: spiagge di sabbia chiarissima, quasi dorata, accolgono le onde di un mare dai colori cangianti, che mutano con la luce e con l’anima di chi guarda.

Nei giorni limpidi d’inverno, quando la foschia si ritira e il cielo si apre come un sipario, lo sguardo si spinge lontano: si scorgono il Vesuvio, Ischia, tutte le isole ponziane e il Circeo, che appare come un’isola sospesa, poiché la distanza nasconde il sottile legame con la terraferma.

Sperlonga non è solo un borgo: è un respiro antico che si fonde con il vento, una luce che danza sulle pietre, un canto che risuona tra le grotte e le onde. È il luogo dove la storia si fa poesia, dove il mare racconta leggende, e dove ogni passo è un ritorno alla bellezza. Chi la visita non la dimentica, perché Sperlonga non si guarda soltanto: si vive, si sogna, si ama.

 

Terza e ultima parte

 

Per leggere dall’inizio

 

Riccardo Agresti

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