5 Dicembre, 2025
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Il biologico in Italia… ottima posizione rispetto all’Europa

Con noi, per rispondere ad alcune domande sull’agricoltura biologica in Italia, anche in raffronto all’Europa, il dottAlessandro Fantini direttore responsabile di Ruminantia.

L’Italia ha raggiunto risultati molto rilevanti nell’agricoltura biologica, sia per numero di aziende che per superficie coltivata. Ci potrebbe fornire alcuni dati a tal proposito e quali sono, secondo lei, i principali punti di forza e le criticità del modello italiano rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione Europea, come il target del 25% di superficie biologica entro il 2030? E ancora più difficile, sarà mai possibile il 100% di agricoltura biologica? 

«Il nostro Paese crede nel biologico al punto che un ettaro su cinque della nostra superficie agricola coltivabile è certificata bio. L’Italia è anche riuscita a utilizzare buona parte degli incentivi Comunitari destinati all’agricoltura e la zootecnia biologica. Il nostro paese per molta della produzione primaria è deficitario ossia non riesce a produrre tutto il cibo di base di cui ha bisogno per cui la dipendenza dall’estero è ancora molto elevata. Il disciplinare delle produzioni biologiche limita molto la produttività per cui è difficile pensare che il futuro agricolo e zootecnico italiano sia al 100% bio».

Le politiche europee, come la strategia “Farm to Fork” e la nuova PAC, promuovono fortemente il biologico. In che modo le misure adottate a livello nazionale si integrano con queste direttive europee e quali aspetti richiederebbero maggior coordinamento o adattamento per il contesto italiano? 

«Siamo ancora in attesa di capire fino in fondo cosa rimarrà del Green Deal europeo alla luce della governance che è uscita dalle elezioni europee del 2024. Prima della guerra in Ucraina e di Israele una quantità elevata di europei aveva tra le priorità la salute dell’ambiente, i diritti degli animali e la voglia di mangiare sano per cui il legislatore europeo non poteva non tenere conto di questo. La nuova situazione che si è venuta a creare con le guerre unitamente alla svolta autoritaria di molte nazioni del mondo ha creato molta preoccupazione e paura e ciò sta distraendo l’attenzione della gente da questi temi». 

Alla luce del fatto che in Italia il controllo e la certificazione delle coltivazioni biologiche sono affidati principalmente a organismi privati autorizzati, secondo lei è necessario istituire o rafforzare un organo di vigilanza pubblico che supervisioni e coordini l’attività di questi enti? Quali sarebbero, a suo avviso, i vantaggi o le criticità di un maggiore intervento pubblico, soprattutto in termini di trasparenza, imparzialità e tutela della fiducia dei consumatori?

«L’aver affidato integralmente la certificazione biologica è un grave rischio perché il conflitto d’interessi è dietro l’angolo e questo una parte dell’opinione pubblica lo sa bene. L’eccessiva burocratizzazione e dei costi di certificazione ha fatto proliferare una, di fatto, concorrenza interna ossia di prodotti di fatto biologici ma non certificati. Questa nuova tipologia di alimenti sta crescendo molto nel canale di vendita diretto dove il produttore si rapporta direttamente con il cliente e “ci mette la faccia”. Ci sono poi settori come quello delle produzioni animali dove ci sono molte perplessità legislative relativamente alla qualità della vita degli animali indicata dal regolamento CE 834/2007 in vigore dal 2022. Ci sono molti allevamenti che nonostante non siano certificati biologici garantiscono ai propri animali delle condizioni di vita migliori di quelli che sono i vincoli del regolamento bio».

Marzia Onorato

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