5 Dicembre, 2025
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Il primo romanzo di Rodolfo Fellini: “Girotondi d’acqua”

In un afoso pomeriggio di luglio, tra un caffè e qualche risata, mi ritrovo a chiacchierare con Rodolfo Fellini. Giornalista, scrittore e autore di una quindicina di testi teatrali, ha da poco dato alle stampe il suo primo romanzo: “Girotondi d’acqua”. Un debutto narrativo che affonda le radici in un periodo di pausa forzata, imposto dagli anni del Covid. Proprio allora Rodolfo ha rispolverato la penna e iniziato a costruire una saga familiare di oltre 650 pagine: tre capitoli intensi e travolgenti che attraversano cinquant’anni di storia del Lazio, intrecciando i destini di due comunità.

Un racconto che covava da tempo, non autobiografico ma profondamente vissuto. È frutto di anni di osservazioni, raccolte dalla posizione privilegiata del cronista attento al mondo che lo circonda. I personaggi e le situazioni evocano riferimenti precisi, pur essendo romanzati: sono frutto di un’immaginazione ispirata dalla realtà, da volti e luoghi di un territorio che Fellini conosce profondamente e ama con passione e rispetto e che ormai lo accoglie da ventisette anni.

La trama si muove tra città e provincia, due mondi distanti che si fronteggiano con diffidenza e pregiudizio. Si scrutano, si scontrano, si evitano. Ma quando le tensioni esplodono, sarà la somiglianza reciproca a prevalere, emergendo da un susseguirsi di piccoli eventi. Niente fuochi d’artificio, ma scelte inevitabili, svolte improvvise, come tante sliding door capaci di cambiare il corso di una vita. Il finale è positivo, ma non banale: esalta la forza della solidarietà e rilancia il messaggio più universale del libro: il perdono, quello invocato da papa Francesco, senza il quale non può esserci speranza. E senza speranza, non può esserci vita.

È un romanzo di formazione collettiva, scritto con sensibilità e dedicato in particolare a un pubblico femminile, di cui Rodolfo Fellini riconosce la tenacia, il desiderio di riscatto e l’anelito all’indipendenza. Anche l’epoca in cui la vicenda si svolge diventa protagonista; un tempo che forgia, ostacola, nutre i suoi personaggi: Mirella, perennemente alla ricerca di sé; Bruno, che sa amare senza filtri; la Sceriffa e la Chianina, ferite da guerra e da povertà; Lidia, prima maestra nella storia del borgo; Lamberto e le sue smanie di grandezza; Amerigo, che vive in simbiosi con la natura.

“Un viaggio emotivo, un affresco di tre generazioni e di una società in costante evoluzione, tra il 1965 e il 2018”, così lo definisce l’autore. Scritto con la penna, sì, ma soprattutto con il cuore. E destinato al cuore di chi legge.

Al centro del romanzo vibra una storia d’amore intensa e non convenzionale: quella tra Mirella, figlia di un militare americano rimasto in Italia dopo la guerra e una giovane romana di buona famiglia del rione Prati. Mirella è intraprendente, segue i propri istinti e le proprie convinzioni. Una protofemminista inconsapevole, determinata a rivendicare sé stessa, non per un’ideologia, ma per autenticità. Bruno, invece, nasce in un borgo tra bosco e lago, da una madre vedova che muore dandolo alla luce. Il suo mondo è il lavoro, e poco altro. Ma quando nell’incontro tra i due sboccia una figlia, si scopriranno le insospettabili radici nell’anima pura e originale di Bruno.

La seconda e la terza parte, ambientate rispettivamente quindici e cinquant’anni dopo, ruotano attorno a due sorelle, Bettina e Linda, figlie di Mirella e Bruno, tanto diverse quanto complementari.

Tra le pagine scorrono vite straordinarie di persone comuni, attraversate da trasformazioni sociali, culturali e ambientali che hanno ridisegnato l’Italia nell’ultimo mezzo secolo. Rodolfo Fellini affida a questo libro le emozioni dei suoi primi sessant’anni. Con sincerità assoluta, ha scelto la strada più diretta: parlare al lettore senza mediazioni, contenendo il prezzo di quello che lui stesso chiama con affetto il suo “mappazzone”.

Dopo una lunga carriera in RAI, in cui è sempre restato dietro le quinte, Fellini ha lasciato il giornalismo non per noia, ma per mancanza di nutrimento spirituale. Dopo avere vissuto in Argentina, Belgio e Francia, ha scelto la campagna romana: lì ha trovato la quiete, l’ispirazione e la libertà, elementi che hanno alimentato questo racconto sognato a lungo. La natura, dice, risponde anche quando non le fai domande.

Anche la decisione di autoprodurre il libro nasce da un’esigenza di autenticità: nessun vincolo, nessuna voce esterna. Solo sincerità, coerenza e libertà creativa, le stesse qualità che guidano la vita dell’autore.

Oggi Rodolfo Fellini si dedica al volontariato, alla cura del suo oliveto a Montevirginio, e scrive per passione. Non per mestiere, ma per bisogno espressivo. Per poter dire ciò che non poteva da giornalista: non per censura, ma per deontologia. La cronaca richiede neutralità. La scrittura, invece, permette all’anima di esprimersi.

Fellini crede nei giovani, più che nei suoi coetanei, confida. Ne ha incontrati moltissimi, curiosi e affamati di storie al Salone del Libro di Torino, dove ha presentato il romanzo. Colpito in particolare dalla passione delle ragazze per i romanzi rosa, li difende con convinzione: sono una porta d’ingresso legittima alla grande letteratura, anche a Dostoevskij che ha trattato l’amore in maniera magistrale.

 

Riccardo Agresti

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