5 Dicembre, 2025
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Un gesto preciso

Un gesto preciso, veloce, potente, che fende l’aria.
Una stanza, che i buddhisti potrebbero vedere piena o vuota con egual meraviglia.
Shiki soku ze ku, ku soku ze shiki, la forma è vuoto, il vuoto è forma.
Un istante e la vita sta lì, concentrata in un urlo che accompagna la contrazione muscolare, nell’energia che vibra
e brucia più del bianco immacolato del kimono. Il kata, la forma, si compie. E in quell’istante, nel gesto perfetto
che fonde vuoto e forma, si realizza il paradosso: non nel buio, ma in un lampo di luce la vita scompare.
6 agosto 1945. Hiroshima. Ore 8:15.
Il cielo si apre come una palpebra infuocata e il mondo rimane senza respiro.
Circa 140.000 esseri umani muoiono all’istante, dissolti in polvere, in cenere, in ombra.
Altri 80.000 seguiranno, in giorni che non sono più giorni, ma lenti supplizi.
9 agosto. Nagasaki.
Una seconda ferita nella carne già devastata dell’umanità.
Ancora 80.000 morti in un battito d’ali che è invece urlo, schianto, silenzio.
Altri 75.000 scompaiono nei mesi successivi, come fiato che si spegne contro un vetro.
Il meraviglioso ingegno umano utilizzato per realizzare l’Arma di distruzione della follia dell’uomo, affinché l’uomo
potesse continuare a essere Uomo.
Ma quale civiltà può sopravvivere all’ombra proiettata da sé stessa?
Little Boy. Fat Man. Nomi puerili per armi apocalittiche. Nomi di scherno per mettere in ginocchio il secolare e
altezzoso Impero del Sol levante, la terza lama di acciaio di quel Patto nato dalla follia nazifascista.
E oggi, ottant’anni dopo, l’eco di quell’esplosione vibra ancora tra gli scranni del potere, più che come demone
ammonitore come sirena a cui non riuscire a resistere. Abbiamo oggi bisogno di un nuovo Ulisse? Di nuove donne
e uomini che si legano alla vita, alla dignità, alla libertà per non essere risucchiati dalla folle ebrezza
dell’autodistruzione?
Historia magistra vitae.
Ma che cosa abbiamo imparato?
Che il fuoco non purifica. Che il silenzio dei morti pesa più di mille proclami.
Che l’intelligenza, naturale o artificiale, senza compassione, è solo un’arma più affilata.
Che l’ombra proiettata dalla luce accecante di una bomba può oscurare l’intera civiltà.
Non chiediamoci se potrà accadere ancora. Chiediamoci piuttosto: che cosa ci impedirà di ripetere lo stesso
gesto, con la stessa precisione, con la stessa potenza, in una nuova stanza vuota?
Una stanza, la nostra esistenza, vuota di valori, piena di odio e illusioni.
Forse solo la memoria ci potrà salvare.
Forse solo la voce del vuoto che dice: non dimenticare.
La forma è vuoto. Il vuoto è forma.
E la vita, fragile, irripetibile, come un germoglio nella neve, sta tutta lì, nell’attimo prima che la luce dell’intelletto
si spenga.
E noi, con un gesto preciso, dobbiamo dire basta a tutto ciò, ogni giorno, in ogni modo, basta alla guerra, alle
guerre, ad ogni violenza fisica, psicologica, di genere, di religione, di credo, palese o subdola che sia.
Un gesto preciso: basta alla guerra!
Luca Lestingi

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