A un anno dall’esplosione di Canale Monterano L’agone ricorda quei giorni e propone al lettore qualche spunto di riflessione. L’episodio, ricordiamolo, grazie a una serie di circostanze fortunose non fece morti, ma una devastazione di case, macchine e macerie di 10mila metri quadrati. Una ventina le autovetture danneggiate, qualcuna da rottamare, decine le abitazioni ferite, una letteralmente scomparsa, danni importanti a vari esercizi commerciali, danneggiamenti al Palazzo Comunale, al Sacrario ai Caduti e perfino alla Chiesa di Santa Maria Assunta.
A un anno di distanza possiamo dire che molte cose funzionarono, i soccorsi in primis, che videro Comune, Protezione civile, Forze
dell’Ordine, Vigili del Fuoco, Croce Rossa e 118 fare un lavoro egregio. La catena di comando Sindaco-Pec (Piano di emergenza comunale)-COC (Centro operativo comunale)-Protezione civile (gruppi volontari e Sala Operativa regionale) funzionò. Funzionarono i soccorsi e le attività di messa in sicurezza nel mese che seguì, grazie a funzionari dello Stato (Forze dell’Ordine, VVFF, etc.) precisi ma flessibili alle concrete esigenze che si presentarono loro.
Nel caso di Canale Monterano la catena di Protezione civile mostrò positivamente la natura sistemica del suo funzionamento: un complesso apparato fatto di elementi diversi, organizzazioni diverse, ma in interazione tra loro e con altri sistemi-dispositivi organizzativi. Cosicché il “sistema” di Pc non fu la sola sala operativa regionale, ma l’intera complessa rete di sistemi e processi differenti, ognuno atto a prendere decisioni nella sua specificità: funzioni comunali, regionali e statali, che operarono insieme con successo.
Funzionò il Distretto socio sanitario RM4.3, che si prese carico delle persone coinvolte, fornendo loro un posto dove stare, pasti e supporto
psicologico. Funzionò incredibilmente la solidarietà del territorio. Ogni Comune limitrofo fece qualcosa per aiutare il Comune e le famiglie di Canale Monterano, arrivando a raccogliere oltre 75mila euro da donare loro.
Funzionò la macchina della ricostruzione messa in piedi localmente. Ognuno si pagò i suoi danni e dopo sette mesi via dei Monti fu riaperta al traffico.
Le famiglie si sono sistemate le loro case anche quando i danni erano enormi, centinaia di migliaia di euro usciti dai loro risparmi. Il Comune ha sistemato strade ed edifici pubblici, pensato alla rimozione delle macerie e riaperto la viabilità su via dei Monti in 7 mesi. Circa 55mila euro di fondi comunali, ossia sempre dei cittadini canalesi. Si dissero “damose da fa” e lo fecero.
Eppure rimane una domanda insoluta: al netto delle cause dell’esplosione, possibile che il sistema non preveda in questi casi un meccanismo automatico di fondi da mettere a
disposizione dei cittadini? Il Servizio nazionale di Protezione civile italiana, un sistema integrato composto da strutture pubbliche e private, centrali e territoriali, che operano per garantire la sicurezza in tutto il Paese e che spesso agisce egregiamente nelle situazioni di crisi, sembra avere un vulnus: la fase della ricostruzione. Una fase che non è integrata a quella emergenziale e che ha diversi interpreti, regole, ruoli. Una fase molto più “politica”, che passa per dichiarazioni, stanziamenti, lavori pubblici, etc. etc. Vero è che il caso di Canale non fu dovuto ad un evento calamitoso, ma è altrettanto vero che un cittadino italiano che perde non per sua colpa la casa, o la vede seriamente danneggiata, dovrebbe avere lo stesso trattamento di chi la perde per calamità naturali.
A proposito dei motivi, a un anno dall’accaduto non c’è ancora una pronuncia degli organi competenti sulla dinamica degli eventi del 6 gennaio scorso. Anche in questo caso forse i tempi per le risposte dovrebbero essere più celeri, non per cercare i colpevoli, ma almeno per sapere che successe davvero quella mattina.
Giovanni Furgiuele, presidente L’agone nuovo