26 Aprile, 2024
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Riprendiamo il pallone rubato dalla pandemia

Tra le realtà maggiormente penalizzate dagli effetti del Coronavirus, vanno certamente annoverate quella dello sport e del lavoro legato alle attività sportive e motorie. Paradigmatico il goffo tentativo, portato avanti da 12 ricchi e blasonati club, di dare vita alla Superlega europea di calcio. Un progetto che, a metà aprile di quest’anno, si è sfaldato in meno di 48 ore dopo le dure prese di posizione di UEFA, FIFA, Federazioni calcistiche nazionali, Governi e Commissione Europea. A valle di questa farsesca vicenda, vanno sviluppate alcune riflessioni sul presente e sul futuro non solo del calcio, ma dello sport in generale, arrivato – con un’accelerazione indotta dalla pandemia in atto – a dover affrontare nodi non più rinviabili. Il tentativo di dare vita alla Superlega derivava dalla necessità di fronteggiare una vera e propria catastrofe economica. La “Gazzetta dello Sport” ha quantificato in 7,772 miliardi di euro il debito complessivo delle dodici società che hanno sostenuto il progetto. Un indebitamento colossale causato da minori entrate (come quelle connesse alla vendita di biglietti per gli stadi, rimasti sostanzialmente vuoti per oltre un anno) ma, soprattutto, da “follie” non più sostenibili, come gli stipendi milionari di calciatori, dirigenti e procuratori. Mentre si consumava lo psicodramma della Superlega, rispetto alla gravità della fase che sta attraversando l’intero sport nella nostra nazione, il presidente della Federazione Italiana Nuoto, Paolo Barelli dichiarava: «Se non vengono messi a disposizione un paio di miliardi di euro per tenere in vita le società sportive saranno veramente guai…lo sport è garantito nel Paese esclusivamente dalle 70mila e oltre società. Non si fa nella scuola, i comuni non hanno fondi per politiche a favore dell’attività motoria, le società hanno dovuto chiudere l’attività da oltre un anno perdendo due stagioni di attività e non hanno più i soldi per poter pagare i costi di questa chiusura. Se si interrompe questo volano garantito dalle società, che operano in sostituzione dello Stato che non c’è mai stato nell’ambito della promozione, lo sport italiano si ferma». Un grido d’allarme che, partendo dalle distorsioni peculiari e storiche dell’attività sportiva nel nostro Paese, sottolinea l’urgenza di una riprogettazione del funzionamento del sistema. FIFA e UEFA, unitamente alle istituzioni politiche europee, hanno fatto bene nel contrastare l’ipotesi della superlega che avrebbe “salvato” i club più ricchi a scapito di tutto il resto. Adesso però occorre definire un piano di rilancio dello sport attraverso un serio intervento programmatorio delle Istituzioni, mettendo al centro i temi legati all’accesso per tutti alla pratica motoria e alla dignità del lavoro, considerando che almeno l’80% tra atleti dilettanti e addetti alle attività sportive sono lavoratori “invisibili”, senza diritti. Lo sport con il suo grande indotto, prima della pandemia, rappresentava oltre il 4% del prodotto interno lordo italiano. Nell’ultimo anno sono aumentate a dismisura le percentuali di sedentarietà che – come sottolinea l’OMS – rappresentano un problema enorme rispetto al conseguimento del benessere psicofisico delle persone. Sono temi che meritano maggiori attenzioni anche a livello locale. Le stesse amministrazioni del nostro territorio, attraverso un impegno mirato, sono chiamate a farsi carico di queste problematiche che interessano la salute e il benessere dei cittadini da un lato, l’economia e il lavoro dall’altro.
Cesare Caiazza

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