25 Aprile, 2024
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Zingaretti in trincea si gioca il futuro da leader

“Con le destre Italia isolata”

 

Il segretario Pd sceglie di chiudere la campagna elettorale a Macerata. In caso di vittoria potrebbe lasciare la guida del Lazio per il governo

Alle nove della sera, mentre la “movida” di Macerata scorre nei vicoli e nelle strade del centro, nell’appartata piazza Vittorio Veneto le quarantasette sedioline di plastica sotto il palco del Pd sono tutte occupate e ci sono anche trecento persone in piedi venute ad ascoltare Nicola Zingaretti. Curiosa scelta, quella del segretario del Pd, che ha deciso di chiudere la campagna elettorale in questa periferica cittadina marchigiana da 45mila abitanti, anziché in una delle piazze “calde” di queste elezioni Regionali – Firenze, Genova, Bari – quelle che la sera del 21 settembre daranno l’impronta politica al risultato finale.

Il leader del Pd sa benissimo che nei prossimi giorni si gioca tutto, sa che tutto diventerà più difficile per lui se dovesse cascare la penultima roccaforte rosse, la Toscana. E per questo davanti alla piccola e calda folla che lo applaude, il segretario del Pd ci dà “dentro”. Prima i messaggi di simpatia: «Ciao, buonasera e grazie per questa serata meravigliosa, se non ci fosse il Covid vi abbraccerei tutti…». Gli applausi verranno dopo, su altre battute e riflessioni che Zingaretti pronuncia a squarciagola, soprattutto quando ripete una volta ancora il messaggio, l’unico che gli interessa far arrivare: «Il governo italiano ha fronteggiato meglio dei governi sovranisti la crisi sanitaria e se avessimo dato retta alla destra italiana, 300 giorni fa, l’Italia sarebbe stata un Paese isolato, che voleva distruggere l’Europa. Noi abbiamo combattuto e abbiamo ricostruito le premesse della speranza con gli investimenti che abbiamo ottenuto e ora noi possiamo spendere 300 miliardi di euro. Se arriveranno è perché la destra ha perso e noi abbiamo vinto!». Messaggio centrato: scattano lunghi applausi.

 

Regionali, Zingaretti: “Lega giustizialista solo con gli avversari”

 

Certo, chiudere a Macerata è stato un generoso soccorso a Maurizio Mangialardi, candidato del centrosinistra che i sondaggi prima del blackout davano leggermente indietro rispetto al candidato del centrodestra, ma il comizio di Macerata del segretario del Pd in qualche modo è destinato ad entrare nella “storia” personale del leader e del suo partito. Perché l’esito delle sette elezioni regionali e del referendum costituzionale rappresenterà comunque uno spartiacque nella politica italiana, tra prima e dopo: in particolare l’eventuale caduta della Toscana andrebbe a sommarsi alle regioni (4 su 5) già perse durante la gestione Zingaretti. Oggi, al netto della Regioni al voto, il rapporto tra centro-destra e centro-sinistra è di 12 a 2.

Quello di Macerata sarà, per dirla brutalmente, l’ultimo comizio di Zingaretti da leader del Pd o invece il simbolico inizio di una rimonta? Una cosa è certa: questo eterno ragazzone romano di 54 anni, sempre sorridente e pacifico, pugnace solitamente su fronti laterali, è arrivato all’appuntamento del 21 con un consuntivo a rischio: dopo aver puntato tutto sull’ alleanza strategica con i Cinque stelle, non è riuscito a chiudere (a parte la Liguria) un solo accordo con gli alleati nelle regioni in bilico e soprattutto non risultano pressing e trattative pugnaci con Luigi Di Maio.

 

E dunque il risultato finale rischia di pesare sulle spalle del segretario del Pd.

 

Ovvero, in caso di tenuta, gratificarlo e rilanciarlo: una tenuta in Toscana e in Puglia, associate ad un successo in Campania, consentirebbero a Zingaretti di pianificare meglio il suo futuro. E su questo piano c’è una novità maturata in questi ultimi giorni: in caso di risultato soddisfacente, dopo averci rimuginato a lungo e al netto di tanti retroscena, Zingaretti ha confidato agli amici di una vita la sua disponibilità: sì ad un ingresso al governo, mantenendo la guida del Pd e lasciando la Regione Lazio.

Ma il timore, di Nicola Zingaretti e di Goffredo Bettini, principale influencer del Pd, è che un risultato mediocre – tra Regionali e No referendario alto – apra la strada nel giro di pochi giorni una discussione caotica nel partito, aprendo anticipatamente il congresso del Pd. Con uno sfidante – il governatore emiliano Stefano Bonaccini – pronto a lanciare l’Opa sul partito con una linea politica opposta a quella zingarettiana: un Grande Pd, un Pd formato Ulivo, capace di sfidare i Cinque stelle sul piano della forza, facendo tornare a casa gli ex segretari come Renzi e Bersani e personalità come Calenda e tagliando ogni ipotesi di alleanze a più “gambe”, con moderati e Cinque stelle “buoni”.

 

Nel suo comizio in piazza Zingaretti ha anche tributato un omaggio alle Marche:

 

«Avete costruito un modello che dovete difendere». Il caso vuole che non lontano da qui, diversi anni fa, un altro leader passato alla storia per la sua mitezza, abbia pronunciato un discorso nella stessa condizione di estrema incertezza sul futuro. Il suo nome era Arnaldo Forlani: correva l’anno 1992, il vecchio ordine politico era ancora in piedi ma stava iniziando a franare e il segretario della Dc, chiudendo la Festa dell’Amicizia nella sua Pesaro, dopo essersi chiesto «ce la faremo amici? Difficile rispondere con un sì o con un no», improvvisamente, lui così prosaico, scartò: «Se guardo a sinistra, verso queste vallate dove passava la linea Gotica, torno alla memoria da dove siamo partiti: la rovina, la miseria, i filari recisi, le querce e i gelsi abbattuti, molti di noi che avevano 20 anni, condannati a morte dai bandi di Graziani» e anni dopo «Guido Piovene, nel suo viaggio attraverso la penisola, assegnò a questa terra un’espressività di sintesi dei valori dell’intera nazione». Pochi giorni dopo Forlani si dimise da segretario della Dc. Nicola Zingaretti, in piazza Vittorio Veneto a Macerata, ovviamente fa una scommessa opposta.

(La Stampa)

 

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