20 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

Convegno: la comunicazione virtuale e reale, intervento del prof. Agresti

La comunicazione è composta da una parte verbale ed una non verbale. Quella non verbale è altrettanto importante e permette sia di sottolineare ciò che diciamo sia di avere un feedback a ciò che stiamo dicendo. Osservare gli occhi e le reazioni del prossimo, ci permette infatti di comprendere se il messaggio sia stato correttamente interpretato ovvero non sia stato travisato. Ci permette cioè di comprendere immediatamente se per caso non abbiamo utilizzato ovvero non siamo riusciti a far risonare la pirandelliana “corda” sbagliata. Grazie a questo feedback possiamo quindi correre ai ripari chiarendo o correggendo il nostro eloquio.

Comunicare attraverso un mezzo come il computer o il telefonino, che non ci consentono di avere questo feedback, può divenire invece pericolosissimo. La pericolosità non nasce dal mezzo utilizzato, ma da noi stessi perché, anche se si è in contatto con moltissime altre persone, in realtà si è e ci si crede soli; ma esattamente come quando ci si crede soli, si finisce per sentirsi liberi dai vincoli culturali e sociali, e conseguentemente ci si esprime senza vincoli e senza riserve, si diventa “bestie”. Non a caso uso il termine “bestie” in quanto gli animali (secondo la tassonomia linneiana noi siamo animali), per la stragrande maggioranza, non hanno che un linguaggio non verbale quasi nullo. Parole ed affermazioni che mai pronunceremmo, se fossimo fisicamente presenti ad altre persone, vengono allora digitate liberamente senza alcun freno sociale, senza assolutamente rendersi conto che ad ascoltarci, o meglio a leggerci, ci sono altre persone che possono sentirsi offese e, se utilizziamo i social, c’è il mondo intero a poterci leggere.

Questo spiega anche il motivo di un atteggiamento razzista dilagante. Ciascuno di noi vuole sentirsi superiore a qualcun altro proprio per nascondere la certezza della propria debolezza, inconfessabile e che solo noi conosciamo, per cui ritenere che il gruppo cui apparteniamo (sia esso politico, di tifoseria, religioso, culturale eccetera) sia superiore ad in altro ci fa credere automaticamente superiori a qualcun altro e ci gratifica perché nasconde la nostra inferiorità. Non voglio credere che gli italiani siano divenuti quelle belve che osserviamo sui social che hanno dimenticato le parole e l’invito all’amore di Gesù. Da sempre noi italiani ci siamo definiti (non a ragione) “brava gente” e sebbene questa “brava gente” non sia stata immuni da orrori e nefandezze (in guerra come in pace), pur tuttavia mediamente il senso dell’ospitalità, della accoglienza, della tolleranza verso il prossimo era sufficientemente diffuso, o almeno questo era il sentire generale. Come è possibile che sui social ci si esprima in maniera così volgare e razzista? Supponiamo che accada che qualcuno, per guadagnare voti in campagna elettorale (dove tutti sanno benissimo che ciò che viene promesso non sarà mantenuto) provi a sdoganare un concetto razzista mascherandolo artatamente. Questo concetto aberrante viene ripreso e diffuso da qualche sciocco, o forse da qualcuno in malafede o da personale dello staff che badi alla comunicazione del leader. Gli altri cominciano a pensare che quel concetto, se è così diffuso, sia allora accettabile e lo moltiplicano, le vere “brave persone” saranno colte di contropiede … ed il gioco è fatto.

Ovviamente il vaccino contro questa degenerazione esiste: è la conoscenza che sola si ottiene attraverso l’istruzione e la cultura. Infatti non ha senso vietare alle persone di esprimersi (significherebbe che siamo in dittatura), quindi tutti devono potere avere la libertà di esprimersi, ma l’importante è che chi sa, chi conosce, chi non è sciocco risponda, scriva, faccia comprendere, reagisca, insegni.

 

Come mai è così piacevole usare le chat piuttosto che incontrarsi di persona? La domanda è posta male. Non è vero che sia piacevole usare la chat invece id incontrarsi di persona. Il contatto fisico è la cosa più piacevole che possa esserci: avere davanti agli occhi l’opera del Signore, il corpo, un volto umano, un sorriso è quanto di meglio possa esserci. I neuroni specchio ci fanno vivere maggiormente la nostra vita perché se incontriamo un volto sorridente sorridiamo anche noi e non per gentilezza, ma perché il nostro cervello ci induce a sorridere (a meno che i neuroni specchio siano mal funzionanti). Tuttavia se incontrasi fisicamente può avvenire anche in momenti in cui siamo mal disposti, ci sentiamo a disagio, siamo impegnati o comunque risulti “faticoso” (in una società civile ci si veste e ci si presenta in un certo modo perché dobbiamo mostrarci nel modo in cui vogliamo essere visti; citando Pirandello: dobbiamo mostrare la nostra maschera), invece la chat permette di contattarsi anche in modo asincrono, quando cioè sono disposto a rispondere, e senza svelare per forza come “sono” in quel momento. Usando solo il linguaggio verbale riesco a nascondermi e faccio meno fatica. Il surrogato degli emoticons, ancorché stucchevoli, sono solo un palliativo.

Il rischio è sempre lo stesso: se con il contatto fisico noi mostriamo una certa maschera di noi stessi, con il mezzo elettronico a volte dimentichiamo di indossare quella maschera che permette un corretto e pacifico relazionarsi civile e ci mostriamo come siamo … e purtroppo non sempre siamo veramente belli dentro, cosa che solo la cultura riesce a fare. Il rischio è che alla lunga, dei 100 “amici” che abbiamo, forse non ne rimarrà nessuno e forse gli unici contatti saranno con esseri identici a noi che non avranno nulla da insegnarci perché solo dalla differenza si può imparare e solo con la differenza si può crescere.

Siamo soli e rimarremo soli davanti al computer il sabato sera.

 

A noi non millennials hanno insegnato (e noi oggi continuiamo a Scuola ad insegnare ai ragazzi) a leggere i libri, ma oggi questo non basta più.

A suo tempo avrebbero dovuto insegnarci a “leggere” i video, ma non fu fatto perché era importante avere degli analfabeti in tal senso. Si formavano e si cercavano eccellenti film makers che sapessero invitare le persone (venivamo definite “la gente” per non chiamarci chiaramente “clienti”) ad acquistare e queste persone dovevano essere di lettori che sapessero a malapena leggere i loro messaggi, ma senza comprendere troppo come facevano ad essere così convincenti. Occorre per un attimo soffermarsi su una curiosità. Se la scena di un film, anche di una grande produzione, ha un certo costo e necessita di un certo tempo di preparazione e per essere visto occorre pagare un biglietto, per uno spot pubblicitario occorre mediamente un investimento 100 volte superiore ed è visibile gratuitamente ed offerto dovunque. Già questo solo dato dovrebbe far pensare e dubitare: tanto impiego di tempo e denaro qualcuno dovrà pur ripagarlo. Non viene da pensare perché i social siano gratuiti? Non viene da pensare che forse in questo caso la “merce” siamo proprio noi? Sapere cosa faccio e cosa penso permette, a chi vuole carpire il mio voto, di promettere non ciò in cui crede lui o ciò che intende fare, ma di promettere ciò che credo di volere e non ciò che è il mio bene.

 

Oggi stiamo osservando come la analfabetizzazione elettronica sia diffusissima. Gli utenti sono addestrati solo a leggere acriticamente i post senza comprendere cosa quel post implichi. Milioni di voti vengono spostati in pochi giorni semplicemente utilizzando alcuni messaggi studiati a tavolino. Lo abbiamo visto negli USA con le ultime presidenziali e lo stiamo osservando anche da noi, senza rendercene conto.

Io stesso ho provato sulla mia pelle questa ignoranza abissale quando la gente mi insultava avendo letto solo il titolo di un articolo che avevo postato: “Alla Melone si insegna il romeno”, accusandomi di tutto e solo chi aveva letto il lungo articolo (6 persone) avevano poi ritrattato, chiedendomi scusa e confermando che la mia azione didattica era giusta e lodevole perché mirava alla conoscenza reciproca che sola permette di amarsi.

Se ai miei tempi nel mio paesello tutti avevano diritto di parlare in mezzo alla piazzetta e ci si conosceva tutti e ciascuno considerava debitamente ciò che diceva il farmacista quando parlava di medicine o quando parlava di verdure e ciò che diceva il contadino quando parlava di coltivazione o quando parlava di come curarsi e ciò che diceva il sindaco o diceva lo scemo del villaggio, oggi tutti ci si incontra non nella piazzetta, ma su una agorà gigantesca, intendo internet, ma non conoscendoci, si prende per buono tutto ciò che si legge, senza minimamente discriminare chi ne sia l’autore e conseguentemente quale ne sia la validità. Una erratissima idea di democrazia ha fatto credere che abbiano lo stesso valore le cose scritte da due emeriti sconosciuti uno dei quali sia un pazzo scriteriato e l’altro un luminare della scienza con anni ed anni di studi, prove e lavoro dietro le spalle. Con questo non intendo dire che un luminare non possa sbagliare o non possa essere anche lui in mala fede, ma solo dire che statisticamente se chi mi parla di vaccini uno è un virologo e l’altro lo scemo del villaggio, potrei puntare con sicurezza sulla veridicità di chi dei due abbia studiato medicina.

Ai miei tempi si diceva: “lo ha detto il TG quindi è vero!”, in seguito studiando e conoscendo mi sono accorto che quella verità era parziale, che spesso i giornalisti non erano liberi di dire ciò che volevano e che il giornale o il TG dicevano ciò che voleva il suo proprietario. Oggi si crede che poiché internet non ha padroni vi si esprima la verità e molti, anche laureati, ci cascano. Una mia carissima amica, qualche giorno fa, mi ha riferito con disgusto con un post, citandomi alcuni riferimenti giornalistici, che un poveraccio che aveva sparato ad un ladro era finito in galera mentre il ladro aveva addirittura chiesto un risarcimento. Rimasi allibito anche io, anche perché avevo poi verificato che un Ministro della Repubblica era anche andato in prigione ad omaggiare questo poverino. Il sentimento generale sui post di commento erano di sfiducia nella magistratura e nella Legge e tutti chiedevano l’approvazione di una nuova Legge. La cosa mi sembrò però troppo strana. Non si trattava di una fake news (cui oggi solo gli sciocchi abboccano facendo guadagnare con i loro click soldi ai gestori della pagina grazie alle pubblicità ospitate), ma di fonti serie, anche se tutti di una stessa tendenza politica. Con fatica cercai allora di informarmi meglio, sono riuscito ad arrivare a fonti migliori ed ho scoperto che il “poverino” che il ladro aveva tentato di derubare aveva sì sventato la rapina, ma poi aveva fatto inginocchiare il ladro e gli aveva sparato alle spalle e fortunatamente (per lui) non lo aveva ucciso.

Non solamente si diventa man mano soli davanti al computer, ma a lungo andare si diventa anche stupidi.

Riccardo Agresti

Ultimi articoli