19 Aprile, 2024
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Le impressioni degli alunni della Corrado Melone alla vista del documentario sull’anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma

Erano le 6 circa del mattino, a Roma, il 16 ottobre del 1943. Le persone si stavano svegliando quando si sentirono dei passi; erano i tedeschi. Bussavano alle porte; se nessuno apriva, le sfondavano e prendevano gli Ebrei, che avevano venti minuti di tempo per prepararsi. Venivano poi caricati su dei camion prima di essere portati al Collegio militare. Furono prese 1023 persone di cui solo 16 tornarono dopo avere “vissuto” cose orribili. I prigionieri, dopo alcuni giorni, venivano caricati su dei treni “carri bestiame” e così  partivano verso i campi di concentramento. Viaggiavano in condizioni igieniche pessime, avendo un solo secchio per i bisogni, poca acqua e un piccolo spiraglio per far passare un minimo di aria. Durante il viaggio morirono in molti, la vita nei vagoni era quasi impossibile; persone che non si conoscevano erano ammassate tra loro, spesso su del fieno o escrementi animali. Il lento  viaggio era studiato apposta per fare una prima selezione e molte persone non ce la fecero a sopravvivere.

Una volta arrivati, tutti erano frastornati dopo un viaggio orribile, ma non sapevano ancora a cosa stavano andando incontro. Infatti i tedeschi sceglievano subito chi poteva andare avanti e chi doveva essere portato nelle camere a gas: destra o sinistra, vita o morte. Coloro che erano destinati al lavoro erano lasciti vivere, in baracche, in condizioni orribili, in campi recintati con filo spinato elettrificato ed era impossibile oltrepassarlo. A coloro che dovevano essere uccisi si fingeva dovessero lavarsi, veniva chiesto loro di spogliarsi e gli si diceva che li portavano a fare una doccia; quando  erano tutti nudi li facevano entrare in una stanza, prima i bambini, poi le donne, infine gli uomini. Ne facevano entrare anche 800 per volta. Subito dopo, da un buco nel soffitto, buttavano giù delle sostanze sotto forma di palline che emanavano un gas mortale e le persone morivano in modo bruttissimo e dolorosissimo; ognuno cercava di salire sugli altri perché in alto si respirava di più. Questo gas bloccava prima i muscoli respiratori e, dopo, anche tutti gli altri. Ma dei cadaveri, i tedeschi, cosa facevano? Li mettevano dentro i forni crematori e li bruciavano, ma con precisione malata recuperavano tutto, dai denti d’oro ai capelli; con i capelli delle donne venivano fatte delle coperte per i soldati! Sono state ritrovate anche tantissime scarpe, tra queste, una scarpetta rossa numero 24, che poteva essere di un bambino di 3 anni, che non crescerà più.

Quando nel 1945 i russi stavano per arrivare, i sopravvissuti furono costretti dai tedeschi alla  “marcia della morte” perché non volevano lasciare traccia dei loro crimini.

Tra i sopravvissuti, Liliana Segre, ora senatrice a vita, partita da Milano dal binario 21, insieme al padre che non vide più, ricorda che un giorno le fu detto che era stata espulsa dalla scuola; lei era ancora una bambina e non capiva cosa significasse “espulsa”; Sami Modiano invece chiese alla maestra  cosa aveva fatto, ma non ebbe risposta. Lui, ancora oggi, che ha 88 anni, si chiede quale colpa sia essere nato in una determinata famiglia o professare una certa religione e racconta di sua sorella in una delle testimonianze più toccanti. Dall’altra parte del campo era riuscito a riconoscerla, anche se totalmente diversa, senza capelli e così magra! Ogni sera davano  a tutti un misero pezzo di pane, allora lui decise che l’avrebbe dato a lei; lo lanciò oltre il recinto ma la sorella glielo rimandò indietro, insieme al suo. Dopo qualche giorno Sami non la vide più e alla fine dovette arrendersi, non l’avrebbe più vista.

Oggi, nel quartiere ebraico di Roma, ci sono delle lastre quadrate metalliche, grandi come un sampietrino,  per ricordare le vittime della deportazione, sono le pietre d’inciampo con sopra i nomi di queste persone. Invece a Berlino ci sono due strutture, un memoriale  e un museo; il memoriale è fatto con grandi parallelogrammi disposti su una superficie in discesa mentre il museo ha una forma a zig zag, somiglia ad un fulmine. Un’opera che lascia sbalorditi si trova in una stanza piena di maschere di metallo che serve a far tornare il ricordo del dolore di queste persone.. Infatti, quando ci si cammina sopra, si sente un rumore freddo e pesante.

Durante il processo di Norimberga alcuni capi nazisti non riuscirono a guardare le immagini delle vittime da loro stessi uccise.

Vedere questo documentario è stato toccante e speriamo che in futuro nessuno possa odiare né alcuno possa eseguire mai l’ordine di uccidere un altro.

Gli alunni di terza E

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