5 Dicembre, 2025
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Dalle bottiglie anti-gatto alle fake news: come nasce una bugia e perché ci crediamo

Passeggiate nei borghi e strane bottiglie davanti alle porte

Durante le vacanze, tra una passeggiata e l’altra nei pittoreschi borghi italiani, c’è un dettaglio curioso che potrebbe aver catturato la vostra attenzione: bottiglie trasparenti, piene d’acqua, posizionate davanti a porte, finestre o ai piedi delle scale. Sembrano messe lì a caso, come dimenticate da qualcuno… ma nulla è più lontano dalla realtà.

Hai provato a chiedere il perché? Se lo fai, preparati a una risposta sorprendente: queste bottiglie non sono semplici contenitori d’acqua, ma un rimedio popolare contro un comportamento molto specifico dei gatti. Si dice infatti che servano a tenere lontani i felini intenti a marcare il loro territorio con la pipì.

Ma come funziona davvero questo curioso stratagemma? Alcuni sostengono che il riflesso della luce nell’acqua confonda i gatti, altri parlano di un effetto deterrente legato alla percezione visiva. Nessuna prova scientifica, solo ipotesi e… tanta creatività.

 

Nekoyoke: il dissuasore che fa sorridere

Tuttavia, non c’è nulla di scientifico dietro le bottiglie anti-gatto. Zero. Nada. Niente. Chi ha la fortuna (o la sfida quotidiana) di convivere con un gatto sa bene che l’idea che una bottiglia d’acqua possa scoraggiare un felino dal marcare il territorio è, diciamolo, una favola urbana e nemmeno delle più credibili.

I gatti, si sa, sono creature indipendenti, eleganti e leggermente anarchiche. Se bastasse una bottiglia d’acqua per tenerli lontani, i supermercati sarebbero zone franche e i bidoni del riciclo, fortezze impenetrabili. Pensare che si lascino intimidire da una bottiglia di plastica è come credere che si possa convincere un gatto a fare il bagno … per piacere.

Eppure, questa leggenda metropolitana ha messo radici profonde, non solo in Italia. È talmente diffusa che in Giappone le bottiglie “anti-gatto” hanno persino un nome ufficiale: nekoyoke, che suona quasi come una formula magica, ma in realtà significa semplicemente “dissuasore di gatti”.

Insomma, più che una tecnica efficace, è una tradizione folkloristica che resiste al tempo e alla logica e forse anche alla dignità felina.

 

Il giardiniere burlone e la bufala che ha fatto il giro del mondo

Incuriositi da questa pratica, ci siamo informati sulle sue origini. Tutto sembra risalire agli anni ’80, quando Eion Alexander Scarrow, noto giardiniere, scrittore, giornalista radiofonico e televisivo neozelandese, una vera celebrità nel suo Paese, lanciò una dichiarazione che avrebbe fatto scuola. In un’intervista, con tono ironico, Scarrow suggerì che rotolare bottiglie d’acqua sui prati fosse un metodo infallibile per tenere lontani gli animali intenti a fare pipì.

Era il primo aprile. Uno scherzo. Un pesce d’aprile ben confezionato. Il problema? Nessuno se ne accorse. Anni dopo, quando Scarrow confessò pubblicamente che si trattava solo di una burla, il danno era già fatto. La “notizia” aveva preso vita propria, diffondendosi come un meme pre-internet tra giardinieri, nonne, vicini di casa e amanti delle soluzioni creative.

Così, in un mondo dove spesso si preferisce credere a una diceria piuttosto che cercarne conferma, la leggenda delle bottiglie anti-pipì è diventata immortale. Perché, diciamolo, se c’è anche solo lo 0,001% di possibilità che funzioni… perché non provarci? In fondo, tra bufale e bottiglie, il confine è sottile e Scarrow, da lassù, probabilmente ancora ride.

 

Quando le dicerie smettono di essere innocue

Quella delle bottiglie d’acqua contro i gatti è una bufala innocua, certo, ma non per questo priva di significato. È un esempio emblematico di come una semplice diceria possa diffondersi rapidamente, radicarsi nel costume popolare e resistere al tempo, anche in assenza di qualsiasi fondamento scientifico.

Il problema nasce quando le dicerie non sono più folkloristiche, ma diventano strumenti di manipolazione. La storia è piena di esempi in cui false credenze sono state usate per denigrare interi gruppi sociali o avversari politici. Basti pensare alla famigerata accusa secondo cui “i comunisti mangiano i bambini”, una propaganda anticomunista tanto grottesca quanto efficace nel creare paura o ai “Protocolli dei Savi di Sion”, un falso documento creato dalla polizia segreta zarista all’inizio del XX secolo, che alimentò l’antisemitismo in Europa e fu utilizzato dalla propaganda nazista per giustificare la persecuzione degli ebrei.

Anche slogan apparentemente religiosi come “Gott mit uns” (Dio è con noi), inciso sulle fibbie dei soldati tedeschi, furono strumentalizzati per dare una parvenza divina alle guerre e alle ideologie totalitarie. Originariamente motto dell’Ordine Teutonico, fu adottato dai re di Prussia e successivamente dal Terzo Reich, contribuendo a legittimare l’idea di una missione sacra dietro le stragi belliche.

 

La scienza tradita: il caso Wakefield

Un caso particolarmente grave di disinformazione scientifica è quello dello studio pubblicato nel 1998 da Andrew Wakefield, che suggeriva un legame tra il vaccino MMR (morbillo, parotite, rosolia) e l’autismo. Lo studio, pubblicato su The Lancet, fu poi smascherato come fraudolento: Wakefield aveva manipolato i dati, operato sotto conflitti di interesse e agito in modo non etico. Nel 2010, l’articolo fu completamente ritirato e Wakefield radiato dall’Ordine dei Medici del Regno Unito.

Nonostante ciò, il danno era fatto: la sua pubblicazione contribuì in modo significativo alla diffusione del movimento antivaccinista, con conseguenze ancora oggi visibili sulla salute pubblica. Un esempio drammatico di come una bugia, se ben confezionata, possa influenzare milioni di persone.

 

Tra folklore e propaganda: il potere delle storie

Questi esempi dimostrano che la disinformazione, anche quando nasce come uno scherzo o una leggenda, può avere effetti devastanti. Dalle fibbie dei soldati alle fake news sui social, il confine tra folklore e propaganda è sottile. Per questo è fondamentale sviluppare uno spirito critico, verificare le fonti e non accontentarsi di ciò che “suona vero”.

Perché, in fondo, anche una bottiglia d’acqua può raccontare molto di noi: della nostra voglia di credere, della nostra pigrizia nel verificare, e del potere che hanno le storie, vere o false, di plasmare il mondo in cui viviamo.

 

Riccardo Agresti

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