27 Dicembre, 2025
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Amata

Maria 

Maria è divina perché il suo amore è infinito; perché, come ciascuna donna, è un miracolo vivente: creatura meravigliosa capace di amore senza fine. Un amore che permette al soffio della vita di distaccarsi da sé per volare oltre, libero da catene. Un amore che genera, che accoglie, che trasforma. Un amore che dimentica il dolore antico, quello che ci accompagna fin dalla nascita, e lo muta in speranza. Un amore che non misura, che non calcola, che si offre come acqua alla sete, come luce nell’ombra.

Il suo nome è destino: מִרְיָם, Maria, è tradizionalmente interpretato come “amata”, ma più ancora “colei che ama”. Ama come solo le madri sanno amare: senza condizioni, senza riserve, senza calcolo. San Girolamo interpreta Maria, Miryam, come “Stilla Maris”, “Goccia del mare”, solo che successivamente, un copista lo trascrive come “Stella Maris” e questo errore di trascrizione è divenuto di uso comune: Maria guida nel buio, luce che orienta i naufraghi dell’anima.

È la Madre universale, archetipo che Jung chiamava “Grande Madre”: nutrice e custode, ma anche forza che può soffocare. In Maria, questo archetipo si fa luminoso, compassione pura, ponte tra umano e divino.

Il suo amore è canto corale, quello delle madri di ogni tempo che trasformano la sofferenza in speranza: Demetra che piange Persefone, la Madre Terra che nutre e accoglie.

Ogni donna porta in sé il segreto di Maria: la capacità di amare oltre il dolore, di trasformare la ferita in dono, di rendere la vita un atto di grazia. In questo amore senza misura, la sofferenza diventa canto, la perdita diventa rinascita, la notte diventa aurora.

Di questo amore ha parlato, con lucida dolcezza, Jorge Mario Bergoglio, per gli amici papa Francesco, durante l’udienza generale del 7 gennaio 2015:

 

Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. ‘Individuo’ vuol dire ‘che non si può dividere’. Le madri invece si ‘dividono’, a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere.”.

 

Indole di Maria

Lo pseudo-Matteo ci descrive dettagliatamente l’indole di Maria, genuina e pura, una giovane fanciulla dolce e delicata:

 

Hanc nemo irascentem vidit, hanc maledicentem numquam ullus audivit. Omnis autem sermo ejus ita erat gratia plena” (6,3)

 

ovvero “Nessuno la vide adirata, nessuno mai l’udì maledire, ma ogni suo discorso era pieno di grazia”.

La immaginiamo quindi come una fanciulla che sorride, perché solo il sorriso rivela la grazia e irradia dolcezza.

 

Il sorriso è una carezza, un dono che ha grande valore”.

 

così afferma Papa Francesco, nel suo “Ti auguro il sorriso per tornare alla gioia”.

 

Una ragazzina

Ho scritto “fanciulla”, e in effetti, parlando di Maria, facciamo davvero riferimento a una ragazzina. Sebbene non disponiamo di dati storici certi sulla sua età al momento della nascita di Gesù, secondo le usanze ebraiche dell’epoca, era prassi che le giovani donne si fidanzassero e sposassero tra i 12 e i 16 anni. Nell’antichità non esistevano leggi contro il celibato o il nubilato, ma la pressione dell’opinione pubblica era tale da far biasimare chi non si fosse sposato. Possiamo quindi ragionevolmente supporre che Maria avesse tra i 13 e i 16 anni al momento del parto.

Lo stesso “Protovangelo di Giacomo” ci racconta che

 

“Quando Maria compì dodici anni, si tenne un consiglio di sacerdoti; dicevano: ‘Ecco, Maria è giunta all’età di dodici anni nel tempio del Signore. Adesso che faremo di lei affinché non contamini il tempio del Signore?’” (8,2)

 

Maria è dunque una giovinetta travolta dal prodigio di una gravidanza soprannaturale e di un parto miracoloso, che oltretutto potrebbe esporla a un pericolo mortale. Infatti, il figlio non è del suo legittimo marito e in quel tempo l’adulterio era punito con la lapidazione, secondo la Legge mosaica (Deuteronomio 22,23-24), anche se, di fatto, raramente applicata, soprattutto sotto il dominio romano.

 

Gli abiti

Ma torniamo alla situazione rappresentata nel presepe: Maria e il suo Giuseppe si trovano ad affrontare una condizione di emergenza e di pericolo, per via del parto imminente e dell’assenza di un luogo idoneo dove dare alla luce il piccolo Gesù. I loro abiti parlano più delle parole. Sono logori, impolverati: stoffe da viandanti. Eppure, in alcuni presepi, li si immagina ornati, splendenti, come se lo spirito, nella sua purezza, potesse mutare anche l’umiltà in regalità. Il “Vangelo dell’infanzia di Giacomo” (XII, 2) chiarisce, proprio per bocca di Giuseppe, la situazione di seria necessità, raccontando che, una volta arrivati a Betlemme, Giuseppe decise di usare una spelonca come ricovero per Maria, prossima al parto.

Il μαφόριον (maphorion), dal greco ὦμος (spalla) e φέρω (porto) ciò che si porta sulla spalla”, il mantello di Maria, è il lungo scialle femminile che avvolge tutta la figura, dalla testa ai piedi. Si tratta di un ampio rettangolo di stoffa, che i Romani indossavano sopra la tunica, fermandolo sotto il mento o su una spalla con una fibbia. Nell’arte bizantina, questo mantello, decorato ai bordi, presenta sfumature tra il rosso e il viola per indicare che è sposa e madre. In particolare, quando si voleva sottolineare la dignità regale, si usava la porpora; quando si intendeva evidenziare la maternità verginale, si prediligeva lo scarlatto, colore tradizionalmente associato alle donne sposate nelle comunità cristiane siriache.

In Occidente, soprattutto a partire dal XII secolo, il μαφόριον assume il colore azzurro, a simboleggiare il cielo, il sovrannaturale, la purezza, la fedeltà, la spiritualità della divinità e la sua elevazione sopra il mondo materiale. Questo azzurro divenne sempre più intenso, soprattutto nelle raffigurazioni di Maria, poiché era uno dei colori più costosi da ottenere (derivava dal lapislazzuli, importato dall’Afghanistan) e, per questo, il suo utilizzo onorava la figura della Vergine.

Il maphorion ἐπιλείψιμον si narra sia stato conservato dal 474 nel tempio di Blacherne, a Costantinopoli, dove rimase fino alla conquista turca del 1453. Secondo altre fonti, non sarebbe rimasto a Costantinopoli oltre il 568, quando fu portato a Imola, nella chiesa di Santa Maria in Regola. Secondo altri ancora, nel 1319 sarebbe stato donato alla chiesa di San Francesco ad Assisi.

Spesso, ad ornare il manto di Maria, sono presenti tre stelle, che simboleggiano la sua verginità prima, durante e dopo il parto.

Sotto il manto blu, Maria viene spesso raffigurata con una tunica rossa, colore che rappresenta la sofferenza, l’amore divino, il sacrificio, la passione, la vita e la natura umana. Questa scelta cromatica sottolinea l’aspetto umano di Maria e la sua partecipazione alle sofferenze di Gesù.

La tunica è stretta in vita da una cintura. Alcune tradizioni, che risalgono al V-VI secolo, sostengono che questa cintura sia rimasta nel sepolcro di Maria dopo la sua assunzione in cielo, come testimonianza per san Tommaso, o che lei stessa gliela abbia lanciata dal cielo durante una visione. Vari luoghi rivendicano il possesso di questa cintola; una di queste, in stoffa di pelo di capra, color verdolino, broccata in filo d’oro, con delle piccole nappe terminali, è conservata nella basilica di Santo Stefano a Prato, ed è oggi simbolo religioso e civile della città.

Spesso, sul capo, Maria porta un velo bianco, simbolo di purezza.

 

Nel Presepe

Nel presepe napoletano, Maria è, in genere, posta alla destra di Gesù (vista dallo spettatore, risulta a sinistra) e la sua postura è solitamente inginocchiata, con le mani giunte in preghiera, per simboleggiare lo stupore, l’accoglienza della nascita e l’adorazione del figlio di Dio.

Tuttavia, non è stato sempre così. Nei primi secoli, invece, Maria veniva raffigurata seduta, a simboleggiare un parto senza dolore né conseguenze, spesso alludendo alla sua regalità, da cui nascono le rappresentazioni delle “Maestà”.

Occorre precisare che la postura inginocchiata o seduta non è esattamente quella che ci si attende da una madre appena uscita dal parto. Infatti, nella tradizione bizantina, e poi in Occidente, fino al XIV secolo, Maria era ritratta sdraiata accanto al figlio proprio allo scopo di contrastare le eresie nestoriana e monofisita (relative alla natura umana o divina di Cristo) e rendere evidente la nascita umana di Gesù. Un esempio significativo è la più antica raffigurazione conosciuta di Maria in questa posizione, riportata su un’ampolla del VI secolo, proveniente dalla Palestina e conservata nel tesoro del Duomo di Monza. Altra rappresentazione emblematica è visibile nel capolavoro dei magnifici affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui Maria è distesa su un giaciglio, mentre il figlio giace nella mangiatoia.

Rosa Giorgi, nel suo “Il Presepe nell’arte”, precisa che, il cambiamento avviene in epoca medievale, quando le “Revelationes” di Birgitta di Svezia (Birgersdotter) e gli scritti devozionali dello pseudo-Bonaventura, come ad esempio nel passo:

 

Allora la madre si inginocchiò e sì l’adorò, e fece grazie a Dio” (Meditationes vitae Christi (VII 8:9),

 

indussero a un deciso cambio di postura di Maria, che venne sempre più frequentemente rappresentata inginocchiata, come avviene, definitivamente, nel presepe napoletano. Nel suo testo, la storica dell’arte osserva inoltre che, spesso:

 

Secondo una tradizione che si rifà ai testi delle ‘Meditationes vitae Christi’ dello pseudo-Bonaventura, il velo bianco e il manto azzurro servono da lenzuolino e da pannicelli per il neonato, raffigurato nudo seguendo la consuetudine rinascimentale di mostrare completamente la natura umana del figlio di Dio”.

 

Il colore rosa

Occorre sottolineare che non ha alcun senso l’utilizzo del colore rosa, divenuto simbolo di femminilità solo dopo la campagna pubblicitaria per le famose bambole Barbie, lanciate sul mercato il 9 marzo 1959 (anche se il colore rosa era già associato alle bambine prima di Barbie, soprattutto negli USA dagli anni ’40). Si pensi che Michelangelo, nella Cappella Sistina, colora di rosa il manto di Dio. In effetti, nella pittura, il rosa e l’azzurro sono utilizzati senza alcuna distinzione di genere, per i vestiti di nobili e personaggi vari. Se vogliamo definire un colore femminile per eccellenza, riferendoci a Maria, dobbiamo considerare il blu, non il rosa. Anzi, nel XVIII secolo, i maschi indossavano spesso il rosa, poiché esso è una variante del rosso, ritenuto più aggressivo, rispetto al “calmo” blu, associato invece al femminile.

 

Madonne nere

“Madonna”, “mia donna” è l’antico titolo d’onore usato anticamente per rivolgersi rispettosamente a una donna o per riferirsi a lei. Oggi è riferito soprattutto a Maria.

Molti avranno notato che ancora oggi, non si parla di una sola Madonna, ma di tante specifiche “Madonne”, la Madonna del Carmelo, del Soccorso, del Rosario, della Neve … ciascuna con il proprio volto, ognuna con la sua storia, che celano eredità remote, culti derivati, per sincretismo, da quello di dee femminili venerate nei luoghi di culto locali. Infatti, così come la data di nascita di Gesù sostituisce e richiama quella del Dies Natalis Solis Invicti, la venerazione della Madonna si associa ad una rilettura simbolica e ad una assimilazione iconografica principalmente, il culto di Iside, la Vergine, raffigurata con Horus bambino in braccio, e appellata Regina del Cielo, Stella del Mare, Madre di Dio, titoli tutti associati anche a Maria.

Iside rappresentava la notte che partorisce l’alba, ovvero il Dio Sole, per cui molte sue statue erano nere, e questo potrebbe spiegare l’esistenza delle “Madonne nere”. Con la diffusione del Cristianesimo, infatti, si verificò un’identificazione del culto isiaco con quello mariano, e molte chiese furono costruite proprio sui templi precedentemente dedicati a Iside.

La sostituzione della devozione avvenne anche con molti altri culti femminili, specialmente se legati alla fertilità della terra, che, se nera, denota maggiore fecondità.

Anche la dea Hera, venerata nel magnifico tempio di Poseidonia (l’odierna Paestum), ha finito per essere assimilata a Maria. Un esempio emblematico è la Madonna del Granato (melograno) di Capaccio Antica (Salerno).

 

Brano tratto dal libro “Il senso nascosto del Presepe” disponibile solo on line al link: https://bookabook.it/libro/il-senso-nascosto-del-presepe/

 

Riccardo Agresti

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