5 Dicembre, 2025
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Breve commento a “Le tre vite di Lisa” a cura di Barbara Conti

Si riceve e si pubblica

Il libro narra la tragica vicenda (diffusa da televisioni e organi di stampa anche nazionali (come La Repubblica o Il Corriere della sera, oltre che da Report) di una bambina ucraina, Elisabetta, che i coniugi Federico sono riusciti ad adottare nel 2009 insieme al fratello, dopo aver dovuto superare mille difficoltà.

Un giorno, a giugno del 2020, dopo una caduta, Lisa si presentò a casa con un grosso ematoma: da quel momento ebbe inizio la tragedia che la porterà alla morte, tra atroci dolori, per una infusione di midollo non compatibile.

All’interno della narrazione, incentrata sul dramma umano di Lisa e della famiglia, sul calvario che porta all’adozione, sull’alternanza della gioia e della sofferenza, sull’epilogo tragico e sulla volontà dei genitori di un impegno sociale a favore dei diritti dei piccoli malati, sono presenti due grandi temi sociali: quello delle adozioni e quello della malasanità.

Un inno all’amore nel senso più vero, più meraviglioso, più grande del termine, il cui verbo è donare e non pretendere; parallelamente una atroce presa di coscienza dell’indifferenza e del cinismo umani, che troppo spesso antepongono un qualsiasi miserabile vantaggio personale al bene degli altri: questo è il libro “Le tre vite di Lisa”, che si risolve in una denuncia accorata contro le storture sociali e umane che sono alla base anche della malasanità.

L’opera, per la drammaticità e l’assurdità della vicenda, sembra essere stata scritta da un tragediografo: è costituita da un lungo percorso quasi catartico fino al raggiungimento di quella genitorialità tanto agognata e da un rapido, vorticoso, inaspettato e tragico precipitare degli eventi.

Colpiscono, nella parte iniziale, le difficoltà e le sofferenze impreviste e imprevedibili che deve sopportare chi, di fronte al desiderio di regalare a dei bambini un futuro sereno e di mettere a loro disposizione la propria vita umana, familiare e sociale, scopre un sistema che arriva fino all’ostracismo.

Lascia senza parole, poi, l’epilogo tragico della vicenda che ha sconvolto tutta la famiglia e che meglio si può comprendere dalle parole dei genitori che spezzano il cuore.

Dice il papà, accanto al letto di morte di Lisa: “….le stringo il polso, come quando le sentivo se aveva la febbre……. Perché non mi sei stato vicino, sembra dirmi…. non posso lasciarla sola per troppo tempo”.

Dice la mamma: “Per il dolore le mettevo cuscini caldi dietro le spalle e sulla schiena, mentre gli effetti dell’infusione del sangue incompatibile distruggevano gli organi ad uno ad uno. Mi faceva tenerezza quando mi chiedeva aiuto, quando mi chiedeva di pulirle gli occhi e la bocca devastata dalla mucosìte. Quando mi chiedeva un sorso d’aranciata col cucchiaino come i neonati. Quando mi faceva comprare il biberon per bere qualche goccia di latte. Vedevo la figlia bisognosa di cure che tanto avevo desiderato, ma in questo modo aberrante…..e adesso la vita me la dava così, costringendomi, in un macabro gioco, ad accompagnarla con le bugie fino all’ultimo momento di vita cosciente, quando di fronte ad una crisi respiratoria le dicevo che la stavano portando in terapia intensiva per aprirle i polmoni.

Sapevo che non l’avrei più rivista e le volevo stare vicino quando l’avrebbero sedata.

Tenerle la mano e sorriderle…rassicurandola sull’imminente sollievo”.

Potenza dell’amore di una madre che riesce a sorridere alla figlia mentre il suo cuore sanguina di fronte alla presa di coscienza dell’irreversibilità di una tragedia senza fine.

Per concludere, come anticipato nella premessa, nel libro due sono gli attori apparentemente non protagonisti che però, in realtà, più che aleggiare dominano sempre nella vicenda, a rendere più tragiche quelle maschere pirandelliane che prorompono con arroganza in quella che voleva essere soltanto una favola a lieto fine: il problema delle adozioni e quello della malasanità. Stride il contrasto tra la solidarietà innata negli uomini e che si manifesta visivamente nelle grandi tragedie sociali, e il cinismo con il quale sono trattati da alcuni apparati questi due temi, ridotti spesso al puro materialismo, a centro di potere sulla pelle dei più deboli e, purtroppo, talvolta anche a sola fonte di lucro.

Proprio questa consapevolezza ha spinto i genitori di Lisa ad un impegno sociale indefesso.

È quanto afferma con parole spontanee e meravigliose, nella loro semplicità e nella determinazione che esprimono, mamma Margherita nella chiusa finale:

“……Ora Lisa deve rivivere. Per la quarta volta. La terza vita di Lisa, ingiustamente troncata, deve lasciare una traccia nelle nostre coscienze. Sta a noi, adesso, far nascere la quarta nell’attivismo sociale e sanitario.

Sarà una vita di riscatto per gli altri, una vita in difesa dei diritti dei piccoli malati, soprattutto dei ragazzi, vittime consapevoli dei soprusi dei forti….la sua forza ci accompagnerà nella lotta, affinché non accada mai più questo orrore.”

Ebbene! La quarta vita di Lisa è già cominciata, ha già dato i suoi frutti con la riapertura del reparto di oncoematologia pediatrica dell’Ospedale Umberto I° e rimarrà imperitura, monito per tutti noi sui veri valori dell’esistenza.

 

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