Qualche giorno fa, osservando in televisione le immagini dall’alto, del Giubileo dei giovani, a Roma, nella spianata di Tor Vergata, sinceramente colpito dalla variopinta marea umana di più di un milione di persone, mi sono venute in mente altre immagini, più laiche, ma non per questo meno dense di passione, emozione, commozione, immagini di quarantuno anni fa, sempre a Roma, Piazza San Giovanni: i funerali di Enrico Berlinguer. Non ho capito subito il perché di questo strano collegamento, i due grandi eventi non sono minimamente paragonabili, diverso il periodo storico, l’età dei partecipanti, la loro provenienza, ma soprattutto le motivazioni che hanno portato tantissima gente a ritrovarsi in un enorme spazio da riempire, quello dell’ultimo evento riempito da un’enorme felicità, il più lontano nel tempo riempito da un’enorme tristezza. Ciò che rimaneva molto simile era l’enorme numero di partecipanti e, di conseguenza, l’identico impatto visivo, ma sentivo che non poteva essere questa la sola ragione.
Ho capito più tardi la causa di quest’azzardato parallelo che non mi voleva abbandonare. Tutto per una vignetta di Sergio Staino, il papà di Bobo, il famoso personaggio nato dalla penna del vignettista di Scandicci che, in quegli anni ‘80, rappresentava l’anima critica del segretario del P.C.I.
Mentre si recava ai funerali del suo segretario generale, Bobo, elencando tra sé le maggiori criticità della sua azione politica, vide che la piazza continuava, inaspettatamente, a riempirsi, un fiume di gente che arrivava da tutti gli angoli della città. Capì che in quella piazza c’era un popolo e che forse bisognava interpretare meglio quello che stava accadendo.
Allo stesso modo, guardando in televisione quell’infinità di giovani, ho cercato di capire le ragioni di questa enorme marea di gente che per giorni ha invaso Roma, un modo per chiedersi qual è, oggi, il ruolo della Chiesa nel mondo e nella nostra società. Per farlo ho deciso di dare la parola a chi, nel nostro territorio, si confronta con le piccole realtà locali, coloro che sono in grado di percepire, attraverso l’esercizio della fede, gli umori della gente in questo particolare periodo storico così pieno di conflitti che non sembrano trovare soluzioni, così carico di esseri umani che cercano, scappando dalle guerre e dalla fame, un posto dove poter vivere dignitosamente e in pace.
Volevo osservare, con uno sguardo laico, il rapporto tra il ruolo di guida spirituale di una comunità parrocchiale e l’impegno a difesa degli ultimi, dei più diseredati, delle vittime di continui soprusi. Dove spesso la politica, a causa delle frammentarietà e delle posizioni ideologiche opposte e sempre più conflittuali, non riesce a dare risposte immediate e soddisfacenti, limitandosi, dopo diversi tentativi andati a vuoto, a una sterile osservazione delle crudeli stragi che, nelle guerre, sono sempre di civili e delle continue vittime di naufragi nei nostri mari. Tragici eventi quotidiani che coinvolgono sempre più spesso donne e bambini.
L’agone ha chiesto ai parroci del territorio il loro pensiero su questo momento difficile e tragico.
Il primo parroco ascoltato è stato don Paolo, della parrocchia di Anguillara Sabazia, che ha subito esordito con il tema della pace, sottolineando il necessario ritorno all’aspetto spirituale della Chiesa con l’importante riscoperta del Vangelo che racconta la vita di un uomo di pace, non violento, soprattutto in questi momenti in cui c’è bisogno di maggiore giustizia sociale, di legalità, dove occorre essere vicino ai poveri, che sono sempre più numerosi, ma non soltanto da un punto di vista economico ma anche culturale, “non c’è bisogno di solo pane ma di una crescita generale dell’individuo”. Ha voluto ricordare l’importante periodo di Papa Francesco e il passaggio di testimone a Papa Leone XIV, molto interessato a temi nuovi come l’intelligenza artificiale, per poi chiudere con un ricordo dell’importante raduno dei giovani a Tor Vergata dove, essendo presente, ha notato una minore presenza dell’Europa e una massiccia partecipazione di giovani provenienti da tutti gli angoli del mondo, simbolo degli orizzonti universali della Chiesa.
Il secondo parroco interpellato è stato don Enzo, della parrocchia di Vigna di valle, frazione di Bracciano, che ha sostenuto che in questi anni abbiamo assistito a un vero cambiamento epocale che ha coinvolto tutta la comunità cristiana in una Chiesa che da oltre 2000 anni ha il ruolo di esercitare l’inserimento, nel tessuto della società, della fede, la speranza e l’amore per il prossimo. Con Papa Francesco abbiamo avuto una Chiesa in uscita, missionaria, un papa che si è speso molto a favore della pace. Con la fine della guerra fredda sembrava scongiurato ogni possibile conflitto mondiale, le armi nucleari sembravano rimaste nei film o in qualche libro. La Chiesa ha le armi della preghiera, degli appelli alla pace, contro questa disumanità: i bambini che muoiono. La Chiesa ha la speranza in Dio ed è a lui che fa appello. Eventi come l’Anno Santo hanno permesso il dialogo con altri mondi religiosi per evitare guerre di religione. Papa Francesco ha guidato momenti di cambiamento, è stato un elemento di rottura, un non tranquillo dottrinale, la sua morte è stata un simbolo. La Chiesa attendeva una guida sicura e Papa Leone XIV può essere tutto questo, è ancora troppo presto ma occorre avere fiducia perché l’elezione di un papa è un atto di fede, influenzato e guidato dallo Spirito Santo. Il parroco di Vigna di Valle ha cercato di spiegare la difficoltà di creare comunità nella frazione, sia perché è una zona confinante con i quartieri periferici di Roma, sia per la tipologia abitativa che non permette luoghi di aggregazione, “l’assenza di un borgo si fa sentire”.
Il terzo dialogo è stato con don Fernando, della parrocchia di Bracciano Nuova, che ha tenuto a precisare che la Chiesa è pellegrina nel tempo. La sua missione, il suo ruolo, è annunciare il Vangelo, e questo include “aprire gli occhi del mondo alla giustizia, all’amore, alla compassione, alla riconciliazione, al dialogo”. Don Fernando ha spiegato che questa non è una formula chiusa nel tempo, la missione della Chiesa è aperta verso la storia: la accoglie, la critica, con il giudizio di Dio. “Questo è evangelizzare!”. È annunciare ciò che non è ancora realtà. Ci sono persone che amano l’utopia, ma l’utopia non vuol dire che non può esistere, vuol dire che ancora non esiste. Noi annunciamo il regno di giustizia, di amore e di pace anche nella nostra storia attuale, non solo nell’eternità. La Chiesa è impegnata ad analizzare la nostra realtà, le situazioni e le emergenze del nostro tempo, di questa generazione, questo vuol dire essere una Chiesa in missione, “la Chiesa che mette i piedi nella storia”, non è una Chiesa che rimanda tutto al futuro di Dio, anzi, vuole anticipare questa realtà, altrimenti rimane soltanto una grande alienazione religiosa. L’annuncio del Vangelo prescinde dall’esperienza religiosa perché va oltre: è annuncio della verità. Se la Chiesa si limitasse ad avere un ruolo istituzionale, finirebbe con la fine del ruolo, invece la sua funzione cammina nel tempo, certamente per la missione eterna, che è l’annuncio della verità fino a raggiungerla nell’eternità.
Il quarto contatto è stato di don Piero, della parrocchia di Trevignano Romano, che ha voluto subito mettere l’accento su un certo affievolimento della dimensione spirituale, ci si riconosce Cristiani ma da una dimensione culturale. I nostri genitori, i nonni, hanno professato questa fede che spesso si traduce nel culto dei Santi Patroni, poi però, come nel caso del recente funerale di una giovane cittadina di Trevignano, tutto il paese si è travasato del giardino della casa di San Bernardino. Ricorda che per tre o quattro volte, durante l’omelia, ha bussato su questa dimensione: il senso di una comunità si vede nei momenti di fatica ma anche nel quotidiano, nel prendersi carico di chi sta vivendo un momento faticoso, questa attiene ai valori cristiani di solidarietà, di attenzione all’altro, oltre alla frequentazione dei riti, delle messe. Tutto ciò che è aggregato umano, oggi fa fatica e Trevignano paga lo scotto di una dimensione socio-economica agiata, che non è un limite a un cammino di fede. La parrocchia prova a fare molte attività, non etichettandole sempre con una connotazione confessionale, però c’è una grande disaffezione di alcune fasce di popolazione e i ragazzi pagano lo scotto di avere altrove, risposte e opportunità, non sempre sane. Sente la consapevolezza di non avere più la forza di essere in concorrenza con le società sportive o teatrali, pur facendo teatro e sport. C’è soddisfazione sul grosso lavoro d’integrazione con i disabili, per il parroco di Trevignano è una delle sfide per vocazione personale. La Chiesa si deve rivolgere agli ultimi, ai fragili, e proprio da loro che si fa un grosso lavoro di accoglienza da più di tre anni nella Casa del Fanciullo dei disabili, (ricordato don Carmelo, per sessantacinque anni parroco di Trevignano) su questo esiste una sensibile risposta da parte del bacino del lago, grazie a una associazione che si occupa di questo e che tocca i tre comuni. Il problema rimane quello dei giovani, anni fa erano i genitori che portavano i figli in parrocchia, oggi sono i figli che portano i genitori. Con un’efficace espressione ci dice che oggi si fa la Comunione, la Cresima ma “non possiamo limitarci a riempire la tessera dei sacramenti con i bollini”. Per quanto riguarda le manifestazioni del Giubileo, si è voluto orientare lo sguardo su situazioni di carattere universale come l’impegno politico, civile, le problematiche ambientali, l’etica economica che caratterizza il mondo. Si sono voluti toccare questi argomenti proprio perché l’aspetto della fede non è soltanto la preghiera, la vita spirituale, i sacramenti, che restano la cosa principale, ma, essendo cittadini del mondo che vivono le situazioni nella realtà di tutti i giorni, c’è bisogno di allargare gli orizzonti. Ci ha voluto ricordare che esiste un’importante realtà, la Pax Christi, che intorno al lago organizza momenti di preghiera con questo fine, estendere l’orizzonte ai problemi più impellenti come quello della pace che oggi, più che mai, è profondamente sentito. La parte finale dell’intervista, don Piero l’ha voluta dedicare al rischio di abituarsi alle notizie drammatiche e alla crescita, complici i social, che però non vanno demonizzati, di un certo egoismo che ci fa sentire autosufficienti, senza bisogno degli altri, come ci fosse, sostiene il parroco di Trevignano, attraverso un acutissimo accostamento biblico, il tentativo di costruire una seconda torre di Babele: convinti di sapere tutto, cercano di raggiungere il massimo scopo che ognuno preferisce, perfino il tentativo di raggiungere, ancora una volta, Dio.
La quinta chiacchierata è stata con don Giacomo, parroco di Canale Monterano, che ha spiegato il ruolo che ha, oggi, la Chiesa nei conflitti nel mondo: un contributo di mediazione pacifica che si deve trovare. Citando Papa Leone XIV, che fin dall’inizio del suo pontificato, ha chiesto di puntare alla pace e alla risoluzione dei conflitti, ricordando che nell’ultima intervista il Segretario di Stato, Cardinale Parolin, ha insistito che il solo meccanismo, riferendosi particolarmente alla guerra di Gaza, per fermare questo genocidio è proprio pensare di riconoscere la Palestina come stato indipendente. Don Giacomo insiste molto sul ruolo di mediazione della Chiesa nei conflitti che stanno, purtroppo, portando via tante vite. Dicono: ”l’importante è invadere, non interessa chi dobbiamo ammazzare”. Lui questa concezione bellica la chiama ironicamente “danni collaterali”, che è quello che sta portando avanti questo genocidio, non solo in Gaza, ma in tante altre guerre nascoste nell’Africa di cui non si parla e quella in Ucraina con la Russia. La Chiesa deve impegnarsi per la giustizia, essere una mediazione che possa portare la dignità alle persone più deboli, quelle che stanno soffrendo, ai bambini, alle famiglie, per evitare quello che si sta presentando: un genocidio, un’immigrazione di massa di gente che fugge dalle guerre, senza esserne attori principali, “questo è l’insegnamento di Gesù nel Vangelo”. La Chiesa, il Vaticano, si sono offerti costantemente come mediatori, un punto neutro per avere uno scambio di idee e di opinioni, purtroppo non sono mai state accettate da nessuna delle parti. La causa sono questi estremismi, questi ismi che ci invadono e rovinano la pace nel mondo e si sente molto toccato dall’inizio del pontificato di Leone XIV, perché ha saputo cogliere questo punto nevralgico e ha offerto la sua persona, lo Stato Vaticano, come punto neutrale di mediazione per la risoluzione dei conflitti. Le soluzioni ci sono per fermare le guerre ma si gioca con interessi economici enormi e le vittime sono sempre i più deboli. La Chiesa continuerà a ripudiare ogni forma di violenza. L’attentato di Hamas è stato qualcosa di terribile ma occorre respingere l’idea che se si è favorevoli allo Stato Palestinese, si è d’accordo con Hamas, “perché questo è il problema”. L’ultima parte dell’intervista la dedica all’amara constatazione che stiamo andando verso nazionalismi estremi, che stanno emergendo in tutta Europa e non solo. Stanno rovinando la convivenza civile, i nazionalismi sono sempre stati la causa delle guerre: “La storia parla!” esclama” È stranissimo che in un mondo globalizzato, dove tutto arriva in pochi secondi, ancora si utilizza il pensiero per una chiusura mentale”.
La sesta intervista è con don Elio, parroco di Manziana. È partito dalla costruzione della chiesa, nel 1570, dedicata a San Giovanni Battista che era molto stimato dalla gente di Firenze. Quando gli immigrati da Firenze vennero a Manziana dedicarono la chiesa al santo, diventato il patrono di Manziana. Dopo aver elencato le iniziative del paese a favore del patrono, ha descritto tutta l’attività svolta dalla parrocchia per accogliere i giovani partecipanti al raduno di Tor Vergata in occasione del Giubileo della Speranza, come l’ha chiamato Papa Francesco e oggi Papa Leone XIV, e continuerà ad accogliere pellegrini fino al giorno di Natale, su questo ha tenuto a precisare che sono impegnate tutte le parrocchie del territorio. Per quanto riguarda le iniziative per la pace, ha comunicato che il 9 settembre ci sarà una fiaccolata, un’iniziativa della comunità, promossa dalla Banca del Tempo, in collaborazione con altre associazioni, per rispondere, “per alzare un po’ la voce”, dinanzi a questa situazione di violenza che non vuol finire ed è sempre più ampia.
La settima intervista è l’ultima, come la luna in una famosa canzone di Lucio Dalla, ed è con don Francisco, parroco di Bracciano che ha subito informato che la diocesi di Civita Castellana creò, con il vescovo precedente, un dicastero per la cultura e la politica per lavorare in questo senso, anche se c’è un po’ di difficoltà perché occorre una preparazione ed essere dentro alle situazioni che amministrano il popolo. Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa, usciamo da un cambiamento, un Papa che aveva messo molta carne sulla brace, occorrerà ora vedere se il nuovo papa continuerà su quella strada, perché ha tutte le capacità, la preparazione e anche la possibilità, di lavorare ancora meglio, se vuole. A proposito di questo spazio il papa precedente stava lavorando su un documento che parla proprio della presenza della Chiesa, e il suo aspetto amministrativo, nel mondo, un lavoro circolare e non piramidale. Don Francisco ricorda il lavoro fatto per il sinodo da Papa Francesco che non doveva chiudersi ma doveva continuare, infatti lui chiamava la Chiesa “sinodale” non più la Chiesa inserita nelle ecclesialità ma una sinodalità, cioè noi decidiamo circolarmente, in questo coinvolgendo tutti. Quando si parla di un Comune, non si può tralasciare di dire e di fare, per il bene di tutti. Occorre prendersi cura della spiritualità, che è un discorso anche molto bello, ma una spiritualità disincarnata non esiste, “io prendo cura del tuo spirito ma è un sacco vuoto e non si mette in piedi”. Questo deve essere il ruolo della Chiesa: o è una presenza profetica oppure giustamente deve entrare in questo grande squilibrio politico che esiste nel mondo. In quest’ultimo periodo, i disastri in Medio Oriente, sono qualcosa del tutto fuori da ogni contesto, anche quello biblico. Domenica scorsa c’è stata una lettura di San Paolo molto interessante, lui dice, proprio agli ebrei, nella diaspora: “La promessa di Dio ad Abramo, poi messa in pratica da Mosè, non è la promessa di una terra, ma di un luogo, a Mosè parla di una terra dove scorreva latte e miele, e uno si chiede quale terra sarà quella: la risposta è: il paradiso, la città nuova, la nuova Gerusalemme del cielo. Gli estremismi sono sempre nefasti: “Un popolo che vuole eliminare l’altro popolo crea solo terroristi, immagina un bambino cui uccidono tutta la famiglia, quale sarà il desiderio di quel bambino nella sua vita?” E cita Sandro Pertini. Il terrorismo che nasce da un estremismo eliminatorio è il fondamento di qualcuno che ha la vendetta nel cuore. Trovare una soluzione è veramente difficile, la migliore, probabilmente l’unica, sono due popoli, due Stati. Qualche giorno fa abbiamo parlato con un signore palestinese a Bracciano, ci siamo fatti insieme delle fotografie, abbiamo parlato. Qualche mese dopo, tornando in Palestina, quel giovane è stato arrestato. Chiude sostenendo che il ruolo della Chiesa deve essere quello di prendere la via migliore senza mischiarsi nella politica del più forte.
Al termine di questa lunga camminata tra le parrocchie del nostro territorio, le parole
chiave continuano a girare nella mia mente: la pace, l’attenzione verso gli ultimi, i più
poveri, le vittime innocenti di tutte le guerre, il genocidio, la giustizia sociale, il dramma
dei migranti, il nazionalismo e gli estremismi, il nuovo egoismo e l’autosufficienza e la
Chiesa che si fa mediatrice dei conflitti e protagonista della soluzione dei problemi.
Dal punto di vista religioso i parroci del territorio ci hanno fatto capire che tutto questo
è parola di Dio ed è nel solco del Vangelo, per chi lo analizza da un punto di vista laico, è
impegno sociale, ma credo che per tutti sia speranza in un mondo migliore e allora ben vengano le grandi manifestazioni di massa, simboli della volontà di appartenere ognuno
a una pacifica storia condivisa, a un’esperienza collettiva finalizzata al bene comune.
È riempire gli spazi, per contrastare meglio le tante ingiustizie di questo mondo e per fermare gli orrori delle tante guerre visibili e invisibili.
Lorenzo Avincola


