5 Dicembre, 2025
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La fine della democrazia?

Negli ultimi decenni, il mondo ha vissuto una trasformazione che ha stravolto gli equilibri economici e politici. Dopo la fine della Guerra Fredda si è imposto un modello basato su privatizzazioni massicce, riduzione del ruolo dello Stato e promozione dell’individuo come unica unità sociale rilevante rifiutando concetti come comunità e solidarietà che sono alla base della convivenza sociale pacifica.
In Italia e in gran parte d’Europa la politica non ha contrastato questa deriva, anzi, spesso l’ha legittimata. Anche la sinistra, storicamente portatrice di valori come giustizia sociale e supporto ai meno abbienti, non ha saputo interpretare i cambiamenti culturali e strutturali in corso. Il risultato? Un mutamento profondo del senso comune, che ha spinto ampie fasce popolari verso forze populiste e conservatrici come Lega e Fratelli d’Italia, paradossalmente, proprio quelle meno attente ai bisogni delle classi più fragili, che ormai in larga parte disertano le urne.
La sfiducia verso la politica è diffusa. La cultura azzerata. La rappresentanza politica debole. Manca una visione condivisa del futuro, mentre disinformazione e ignoranza, spesso alimentate dal potere stesso, minano lo spirito civico. Le forze progressiste, un tempo vicine ai lavoratori, oggi sembrano divise, prive di idee e incapaci di parlare al cuore e alla testa dei cittadini.
In questo contesto, solo due attori istituzionali sembrano resistere: la magistratura, che cerca di difendere il principio di legalità e impedire che si crei uno Stato con regole diverse per politici e cittadini e il Presidente della Repubblica, che si adopera per mantenere la coesione nazionale, minacciata da fratture territoriali, sociali e culturali sempre più evidenti e sempre più sfrontate. Ma questi sforzi rischiano di essere vani, se non accompagnati da una profonda rigenerazione politica e culturale.
La crisi di rappresentanza apre la strada al modello autoritario promosso dalla destra: un leader carismatico che incanali il malcontento popolare. La strategia è sottile: non uno scontro diretto, ma una narrazione semplificata dei problemi e la costruzione di nemici di comodo (stranieri, élite, magistrati, meridionali…). Una tattica che funziona quando crea una complicità tra leader e popolo, creata con slogan semplici e di facile comprensione, non importa se contradditori o palesemente falsi. Non si mira ad un ritorno del fascismo, ma ad una nuova forma di privatizzazione della cosa pubblica, che diventa “res privata” che troverebbe consenso grazie ai nuovi potenti mezzi di comunicazione: i social media, capaci di diffondere in maniera capillare messaggi brevi e incisivi, anche se falsi. La sinistra, invece, resta ancorata a modalità comunicative corrette, ma tradizionali, incapaci di raggiungere una popolazione ormai abituata a leggere solo una riga e mezzo.
L’Italia è a un bivio. Le opzioni sono tre. Un lento declino, con istituzioni paralizzate e senso comune anestetizzato oppure una svolta autoritaria, legittimata dal consenso popolare o infine una rinascita democratica, fondata su equità, partecipazione e visione.
Perché questa terza via si realizzi, serve però un nuovo patto sociale. Serve una sinistra capace di leggere il presente, interpretare le nuove domande sociali e offrire un’alternativa credibile e, soprattutto, comprensibile.

Riccardo Agresti

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