La legge, in assenza di misericordia, è davvero giusta?
Il cielo, che fino a quel momento aveva protetto Hangzhou con veli di primavera, si fece improvvisamente cupo. Le nuvole si addensarono come eserciti antichi. L’aria odorava di scontro imminente. Fahai, forte del mandato celeste, si eresse sul Monte Jinshan con la severità di chi crede di difendere l’equilibrio del mondo. Aveva invocato la legge. Aveva chiamato le forze sacre. Ora aspettava Bai Suzhen, non come donna fragile, ma come spirito ritenuto ribelle.
Lei arrivò con passo deciso, ma nel suo sguardo non vi era sfida, bensì ferita. Non portava più la luce dei suoi poteri immortali. Aveva sacrificato ogni dono per amore e il corpo che la sorreggeva era fragile, come quello di ogni madre che lotta per un figlio che ancora non ha voce. In lei, la vita che cresceva silenziosa nel ventre era la sola magia rimasta: una promessa non di distruzione, ma di un futuro diverso.
Fahai la guardò senza riconoscerla. La vedeva come minaccia, come errore da correggere. “Hai violato le leggi del cielo” disse “Hai contaminato il mondo degli uomini”. Bai non rispose con fulmini, non aveva più tempeste da evocare. Rispose con parole e lacrime: “Ho solo amato. Se questo è un crimine, allora lasciatemi morire”.
La terra tremò e le acque del lago si sollevarono come draghi risvegliati. Il conflitto prese forma: Fahai con i mantra che scuotevano i cieli, Bai con il silenzio che toccava le anime. Lei non lanciava incantesimi, offriva la verità.
Nel cuore della tempesta, partì il primo colpo di Fahai verso Bai Suzhen che lo affrontava con la sola forza dell’amore, ma un’ombra verde sfrecciò tra vento e mantra. Xiao Qing, attirata dal richiamo della sofferenza, aveva percepito nel cuore della montagna il grido della sorella e rispose non come guerriera, ma come custode dell’antico legame che nemmeno i fulmini potevano spezzare. “Non posso permettere che chi ha rinunciato a tutto venga sepolta dal nulla!” urlò scuotendo la montagna ed evocando antiche arti; intrecciando nebbia e luce per proteggere Bai dai mantra celesti. Ogni colpo scagliato da Fahai era deviato da correnti invisibili, da illusioni che sembravano vento, ma erano memoria.
Allora Fahai dirottò la sua furia contro Xiao Qing. Lo spirito del serpente verde cadde ferito, tremante, spazzato via. Ora ogni colpo del monaco avrebbe colpito senza fallo Suzhen, ma si rese conto che comunque qualsiasi colpo non avrebbe incontrato alcuna resistenza. Nella lotta con Xiao Qing, Bai non era fuggita, non aveva preso vantaggio, non aveva lanciato colpi. Era rimasta immobile, in piedi. Il suo debole corpo di donna forse vacillava, ma il cuore rimaneva saldo, reggeva. Si rese conto che in lei non viveva più il potere, ma il senso, che amava non per possesso, ma per scelta. Non combatteva perché non voleva vincere, ma solo essere ascoltata.
In quella lotta impari anche la natura si confuse. Il fulmine esitò, la pioggia si trattenne e il monaco si chiese se davvero la giustizia fosse solo legge divina o fosse anche compassione. Ora, sul Monte Jinshan, non si stava giocando solo il destino di due esseri: si stava ridefinendo il confine tra ciò che è giusto e ciò che è vero, tra ciò che è legge e ciò che è amore.
Il monte Jinshan era avvolto da una tempesta che pareva mossa dai battiti di un cuore spezzato. Fulmini laceravano il cielo, ma non cadevano sulla terra: sembravano esitanti, come occhi celesti che non sapevano più se punire o piangere.
Fahai, ritto tra il fragore degli elementi, evocava i mantra con la voce ferma, ma dentro di sé qualcosa si incrinava. Davanti a lui, Bai Suzhen non era più la creatura da temere. Era una donna, una madre, un essere che non implorava salvezza, ma giustizia. Nel suo sguardo non c’era odio, ma dolore. Lui, che per tutta la vita aveva visto la legge come verità assoluta, iniziò a chiedersi se davvero ogni ordine fosse giusto e andasse eseguito, se davvero il suo combattere gli spiriti fosse difendere l’equilibrio o, forse, infliggere sofferenze non necessarie.
La battaglia si placò nel cuore stesso del vento. Fahai, testimone della rinuncia di Bai ai suoi poteri, della sua volontà di proteggere la vita che portava in grembo, esitò. Si chiese, per la prima volta, se la legge potesse piegarsi alla compassione, se l’amore non fosse una forza sacra anch’essa, più antica di ogni divieto celeste.
Non la uccise. Non avrebbe potuto. Non era più davanti a un demone, ma a una verità che sfidava la sua fede.
Concesse a Bai di portare alla luce il figlio, quel bambino che incarnava la riconciliazione possibile tra due mondi, la speranza che anche il cielo potesse cambiare.
Ma non poteva perdonare del tutto. Le regole, anche se incerte, dovevano essere rispettate. Così, con il cuore zittito dalla ragione, imprigionò Bai Suzhen sotto la Pagoda di Lei Feng. In eterno sepolta nella pietra, condannata alla solitudine, separata per sempre dall’amore che aveva sfidato gli dei.
La pagoda divenne simbolo: non solo di punizione, ma di un dubbio eterno e Fahai, ogni volta che chiudeva gli occhi, continuava a rivedere quel volto, e a chiedersi se la legge, in assenza di misericordia, possa davvero essere giusta.
Fra le mani una culla
Xu Xian, salvato dal sacrificio di Bai Suzhen, aveva vagato come un’anima smarrita. La memoria della sua amata, fragile, immensa, splendente, lo inseguiva. Aveva lasciato dietro di sé la donna che aveva donato tutto per lui, persino la propria essenza. Ma l’amore, se vero, non conosce abbandono eterno. Come acqua che trova sempre una via, tornò a scorrere dentro il suo cuore spezzato. Xu tornò, corse senza sosta, guidato dal rimorso e dal desiderio di essere perdonato e riabbracciare la donna che amava.
Ma alla sua porta non vi era Bai. Solo il silenzio, e il monaco Fahai, che attendeva immobile come pietra. Fra le sue mani, non una condanna per avere sposato uno spirito, ma una culla. Dentro, il figlio nato da quell’unione impossibile: un neonato il cui vagito sembrava già simile a un canto antico scolpito nel cielo. Il monaco, pur saldo nella sua fede, non aveva potuto negare il miracolo della vita. Con sguardo indecifrabile, porse il bambino a Xu Xian e si congedò, lasciando dietro di sé più dietro di sé più interrogativi che condanne.
La pagoda finì di sgretolarsi come neve toccata dal sole
Xu, ora padre, trovò nella memoria dell’amore la forza per crescere il figlio. Gli raccontò ogni cosa: di Bai, del lago, della farmacia, dei salici e dei sogni, delle battaglie celesti e dei silenzi mortali.
Il bambino crebbe tra le ombre di un passato e la luce di una speranza che non aveva smesso di brillare. Portava in sé il sangue degli uomini e la grazia degli spiriti e, in quel equilibrio fragile, vi era il potere di cambiare ciò che sembrava eterno.
Anni erano passati da quando Bai Suzhen era stata rinchiusa sotto la Pagoda di Lei Feng. Il figlio, ormai cresciuto, portava nel cuore il mistero della sua origine come un segreto inciso nelle ossa. Non ricordava il volto di sua madre, ma sentiva di conoscerla, come si conosce il vento che guida le foglie. Fu in una sera stellata, nel bosco vicino al lago, incontrò Xiao Qing. Il serpente verde si era ritirato nel mondo silenzioso degli spiriti, lì dove il tempo si curva e l’attesa diventa veglia. Aveva una missione: aspettare il figlio di Bai. Custodire la speranza fino al giorno in cui la pietà filiale avrebbe sfiorato la pietra della pagoda. Non apparve tra fulmini o sortilegi, come serpente, ma come donna vestita di verde, gli occhi profondi come radici. “Ti aspettavo,” disse rivolgendosi al giovane. “sei tu il respiro che può spezzare il silenzio.”
Il giovane la guardò, incerto. “Chi sei?” chiese. “Sono la sorella dell’anima di tua madre” gli rispose “Un tempo siamo scese insieme dalle montagne. Ma tu sei la sua montagna ora. La sua speranza” e lo condusse alla pagoda. Gli ricordò ciò che gli aveva raccontato il padre, l’amore che aveva scelto la verità sopra ogni legge, il sacrificio e infine gli porse un piccolo sigillo, scolpito nella giada.
“La pietà filiale è la forza più antica che esista” affermò “non devi combattere. Devi solo ricordare.”
Il figlio si inginocchiò. I suoi palmi toccarono la terra dove Bai riposava. Sussurrò una preghiera, non alle divinità, ma alla madre che non aveva mai conosciuto e che, ora, stava chiamando con tutta la sua anima.
Le pietre, che da secoli tacevano, iniziarono a rispondere, la pagoda tremò, crollò aprendosi come fiore al mattino e Bai riemerse. Splendente per l’amore che aveva superato ogni confine. Xiao Qing aveva compiuto il suo ruolo, ma prima aveva condotto con sé Xu Xian che attendeva Bai Suzhen ancora con la stessa ferita nel cuore, ma con immutato amore, ormai capace di accoglierla senza paura. I due si riabbracciarono sotto le stelle in un silenzio profondo, dove anche gli dei, per un istante, parvero trattenere il fiato. Il loro amore aveva vinto. Aveva attraversato la morte, gli incanti, il dogma, il tempo stesso. Non era l’amore perfetto, ma quello vero: fatto di ferite, di scelte impossibili, di rinunce luminose. Un amore che non ha forma, ma forza, quella di sopravvivere a tutto.
Il lago tornò a scintillare sotto la luna, e la pagoda, custode del dolore, finì di sgretolarsi, come neve sotto il primo raggio dell’aurora.
Non l’amore perfetto, ma quello vero
Così, tra montagne che sussurrano e laghi che ricordano, la storia di Bai Suzhen si tramandò di generazione in generazione, narrata sotto il cielo stellato ai bambini che chiedevano: “Può l’amore vincere tutto?” La risposta, sussurrata come un petalo al vento, rimarrà sempre la stessa: “L’amore non si misura con ciò che siamo, ma con ciò che scegliamo di donare. Non c’è legge che sia più forte del cuore, né destino che non possa essere riscritto. L’amore che nasce dalla sincerità, dal sacrificio e dal coraggio di essere se stessi è la forza più potente dell’universo. Chi ama con verità, spezza le catene del tempo e cambia persino il cuore degli dèi.”
Ad Hangzhou si dice che, alle prime luci dell’alba, tra i vapori che salgono dal Lago dell’Ovest, si possa scorgere una figura bianca, accanto a un salice, con nei pressi un serpente verde, e si possa ascoltare un canto sottile, una promessa sussurrata dal vento: “L’amore vero non finisce, si trasforma in bellezza invisibile”. Forse è Bai, forse è solo nebbia. Nessuno lo sa. Ma chi la vede dice di sentire una pace profonda. Chi ascolta trova ciò che cerca: amore, verità, ribellione, consolazione. Perché a volte le leggende non ci dicono cosa pensare, ci insegnano solo ad ascoltare.
L’amore vero non chiede perfezione, ma presenza
Il tempo ha fiumi che scorrono dove la memoria non arriva, ma alcune storie sanno galleggiare su quelle acque come petali senza peso. La leggenda di Bai Suzhen, il serpente bianco, è una di quelle: non si dimentica, non si scolora, non si piega.
In un mondo diviso tra l’umano e il divino, tra legge e sentimento, tra verità e destino. L’amore ha osato infrangere le barriere del cielo per farsi carne, silenzio, sacrificio. Bai Suzhen non ha vinto con la forza, ma con l’amore che rinuncia, che aspetta, che comprende. Xu Xian, da umano, non ha capito subito, colpito dal silenzio sulla vera essenza di Bai, ma ha saputo imparare e insegnare al figlio l’amore per la madre, facendolo divenire il custode del ponte tra ciò che è stato e ciò che può ancora essere.
La leggenda ci sussurra che l’amore vero non chiede perfezione, ma presenza. Non cerca l’assenza di segreti, ma il coraggio di affrontarli insieme. Non teme la forma dell’altro, ma ne abbraccia l’essenza. Ci insegna anche che le regole devono servire a guidare, non a imprigionare. Che la compassione può essere più saggia della legge. Che ogni essere, umano o spirito, ha il diritto di cercare il significato dell’esistenza nell’amore.
La Pagoda di Lei Feng
La Pagoda di Lei Feng, ricostruita all’inizio nuovo millennio sulle rovine della precedente struttura a Hangzhou, sulle rive del romantico lago dell’Ovest, oggi è una meta turistica, ma anche spirituale, dove la leggenda continua a vivere tra le offerte e le preghiere dei visitatori. Non un mito di magia, ma di verità che si riflette in ogni onda del Lago dell’Ovest.
Quando la Luna è piena e l’aria si fa sottile, si dice che gli sguardi si incontrino ancora, perché l’amore che sfida il tempo non svanisce: si trasforma in leggenda.
Riccardo Agresti


