La città sommersa di Sabate
Una città sommersa. Una sacerdotessa dimenticata. Un canto che riaffiora sotto la Luna. La leggenda di Sabate, tra mito e monito, ci parla ancora oggi dalle profondità del Lago di Bracciano. Perché ciò che il lago nasconde… potrebbe riflettersi nel nostro futuro.
Nel cuore del Lazio, adagiata tra dolci colline e accarezzata dalle placide acque del Lago di Bracciano, si cela uno dei misteri più seducenti del folklore italiano: la leggenda della città sommersa di Sabate, inghiottita secoli fa dalla furia della Natura, punizione per la superbia dei suoi abitanti. Il racconto, tramandato di generazione in generazione, intreccia mitologia, spiritualità, geologia, ecologia e cambiamento climatico, dando vita a una tradizione che ancora oggi affascina scrittori, appassionati e visitatori incantati dai borghi lacustri.
La leggenda della città sommersa di Sabate
Si dice che Sabate fosse un insediamento antico, forse di origine etrusca, prospero e raffinato. I suoi abitanti si vantavano di arte, ricchezza e sapienza, dimenticando però l’umiltà e il rispetto per le forze naturali. A reggere le sorti della città vi era una sacerdotessa devota a Sabazio, divinità primordiale associata alla vegetazione e ai misteri della rinascita, probabilmente legata al culto traco-frigio di Dioniso e diffusa nella Grecia classica.
Ma il governo di una donna saggia suscitava invidia. Durante i festeggiamenti del solstizio, un oppositore ambizioso instillò nei cittadini l’idea folle di essere superiori alla Natura. Il recinto sacro fu profanato, i boschi violati. Il popolo, ebbro di orgoglio, calpestò i confini tra sacro e profano, distrusse le spighe dorate, simbolo e realtà della fertilità, e sfidò la Natura stessa, che avevano illusoriamente sottomesso.
Quella notte, il cielo assunse un colore blu innaturale, e una pioggia gelida cadde senza preavviso. Le spighe spezzate si tramutarono in onde e il lago, fino ad allora una superficie argentea e pacifica, si gonfiò con furia divina. La terra tremò e l’acqua salì. Sommerse Sabate in poche ore. L’intera città fu inghiottita, e nessuno si salvò.
Una sola sfuggì, spinta dal sangue e dall’amore: la figlia della sacerdotessa, leggera di cuore. Corse nel bosco, i rami graffiavano il volto, le vesti semplici, la paura nel fiato. “Corri finché senti la mia voce”, diceva la madre, lontana, ma vicina.
Spinta dalla madre, la ragazza fuggì verso la cima di un colle, rinunciando alle sue ricchezze per alleggerirsi. Correva senza voltarsi, seguendo la voce rotta dal pianto dell’anziana madre: “Corri finché hai fiato”. Giunta in cima, stanca e ferita, cadde a terra, sfinita. Finalmente si voltò. Il lago era tornato uno specchio, e le stelle si riflettevano silenziose. La fanciulla, col cuore spezzato, pianse calde lacrime fertili nella terra muta e nacque una piantina dove il pianto cadde, ricordo silente di amore e di lutto. Le sue lacrime fecero fiorire un mandorlo solitario, che oggi cresce accanto alla Chiesa della Madonna del Riposo, edificata su quel colle. Il nome stesso è un tributo alla giovane, lì accasciatasi, testimone della fine di un mondo.
Il canto del lago nelle notti di Luna piena
Con il passare dei secoli, pescatori e contadini hanno raccontato di aver visto, nelle giornate limpide e calme, ombre di rovine sul fondale. Alcuni giurano che, nelle albe d’autunno, il lago diventi uno specchio magico: chi lo guarda con animo puro dal romantico belvedere della chiesetta può vedere torri, templi e giardini perduti. E nelle notti di luna piena, dalle profondità del lago, emerge un canto lieve, come un coro ancestrale.
Gli abitanti di Sabate, eternamente sospesi sotto l’acqua, per mantenere la loro magia ed esistere ancora, esigerebbero ogni anno il sacrificio di una vittima tra i bagnanti più arroganti e meno rispettosi della natura: benevola, ma intransigente.
Frammenti di verità
Alcuni storici ritengono che il mito possa nascondere frammenti di verità: Sabate potrebbe davvero essere esistita, forse come insediamento etrusco o paleolitico, e la natura vulcanica del bacino avrebbe contribuito alla nascita della leggenda.
La memoria collettiva tiene viva la storia in celebrazioni locali come la Processione delle Barche di Trevignano Romano, simbolo del legame spirituale tra la comunità e il lago.
Lo storico Philipp Clüver, nel suo Italia Antiqua (1624), cita rovine visibili sul fondo e riporta il misterioso Sozione, forse autore imperiale, che scrisse:
“In quel luogo sorgeva un’antica città chiamata Sabate, oggi sommersa dal lago. Quando le acque sono limpide, si racconta che si possano scorgere rovine di edifici e statue sul fondo, come se il passato fosse lì, cristallizzato sotto la superficie.”
Nel XIX secolo, Paolo Bondi da Fiumalbo ipotizzò un collegamento con Trevignano Romano e con la toponomastica del Bacino Sabatino, segno che il mito ha lasciato un’impronta profonda nella cultura e geografia locale.
Il mito ci parla ancora
La leggenda diella città sommersa di Sabate non è solo folclore: è una parabola ammonitrice sulla presunzione umana di dominare la Natura. Oggi, con l’evidenza scientifica del riscaldamento globale e l’aumento di eventi climatici estremi, ignorare i segnali ambientali equivale a ripetere il peccato di Sabate.
Eppure, c’è chi nega tutto: un negazionismo, dannoso, che alimenta la crisi invece di affrontarla.
Le storie come quella di Sabate ci ricordano che la Natura può essere generosa, ma non tollera l’arroganza. C’è sempre una voce che ci chiama al rispetto e alla consapevolezza: ignorarla può essere fatale.
Sabate non è solo racconto del passato: è parabola viva, lezione per l’oggi. Il negazionismo climatico è l’eco dell’orgoglio: l’uomo che ignora, rifiuta, sfida. E chi non ascolta, perderà ciò che ama.
“La Natura non punisce. Reagisce.” — Lao Tse
Riccardo Agresti


