Spesso, negli anni, ho sentito intorno a me, dalle persone che ho frequentato, il desiderio di tornare bambini. Per mille ragioni, a volte futili, a volte molto serie. Oggi, forse, è solo un espediente per ricominciare la vita, per azzerare tutto e incamminarsi verso una nuova e lunga esistenza. Tutto lecito, comprensibile e anche un po’ scherzoso.
C’è però una ragione che sento come fosse un dovere civico tornare bambini, quasi un obbligo, una di quelle ragioni molto serie: quella di tornare a vivere un’età in cui non ci sono differenze tra noi, nati a sud, nord, est, ovest o extraterrestri, maschi, femmine o chissà cos’altro, bianchi, neri, gialli, rossi o a pois, con gli occhi a mandorla o scegliete voi la forma della frutta secca, con i capelli ricci, lisci o rasta, biondi, mori, rossi, senza capelli o con le meches.
Invece, in questo mondo di donne e uomini che hanno, sempre secondo la legge, la facoltà di intendere e di volere, c’è chi contesta addirittura la naturale decisione dell’amministrazione comunale di Bracciano di conferire simbolicamente la cittadinanza italiana alle bambine e ai bambini nati in Italia, ripeto: nati in Italia, da genitori stranieri, proprio il due giugno, in occasione della Festa della Repubblica, bambini ai quali sarà donata la Costituzione e la bandiera Italiana. Sembra davvero tutto logico, naturale, su questo non ci dovrebbero essere divisioni politiche o ideologiche, non ci dovrebbero essere strumentalizzazioni per racimolare qualche voto, chissà poi da chi.
E allora davvero mi piacerebbe tornare bambino, in un ambiente ancora naturalmente sano, dove non c’è bisogno dell’invito del papa (che secondo la religione cattolica è la voce di dio) a costruire ponti invece che muri o della pittrice messicana Frida Kahlo che, molto più laicamente, suggerisce di guardare orizzonti invece che disegnare confini.
Lorenzo Avincola