25 Aprile, 2024
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Perchè leggere libri antichi che parlano di agricoltura

Amo comprare e leggere libri antichi che parlano d’agricoltura, come anche guardare quadri che ritraggono gli ambiti rurali del passato. Devo ciò all’acquisto che feci qualche decennio fa, e poi alla successiva lettura, del De Re Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella, considerato il trattato di agronomia più importante dell’antichità, ma dotato di una straordinaria attualità. Noto scrittore romano di agricoltura, Columella visse nel primo secolo dopo Cristo. Di De Re Rustica esiste anche quello scritto da Marco Terenzio Varrone, ma i contenuti sono molto diversi.

L’ultimo libro che ho scovato nello stand di Panda edizioni all’edizione 2022 di “Più Libri Più Liberi” si intitola “Catechismo agricolo ad uso dei contadini” ed è scritto da Don Giovanni Rizzo nel 1869. Questo volume non è ovviamente paragonabile con l’opera di Columella ma è comunque molto interessante. In mezzo a questi due, ne ho comprati e letti molti.

Al di là della piacevolezza con la quale sono scritti questi vecchi libri tecnici, ma anche storici e antropologici, la loro lettura serve a capire come sono evolute o meno le conoscenze, e quali sono i temi irrisolti e controversi rimasti in ballo. Ovvio è che il progresso tecnico e scientifico è accelerato nei secoli, e la figura dell’agricoltore/allevatore si è trasformata dall’essere contadino ad imprenditore, ma alcuni contesti e presupposti non sono cambiati.

Le tribù umane, all’inizio nomadi con un’economia fatta di caccia e di raccolta, sono diventate stanziali circa 11.500 anni fa nella Mezzaluna Fertile, che comprende una vasta zona del Medio Oriente bagnata dai fiumi Nilo, Eufrate e Tigri, e del Chogha Golan nel moderno Iran. L’uomo, che in queste aree ha cominciato a coltivare la terra e allevare gli animali, ha iniziato il percorso evolutivo che ci ha portato ai giorni nostri sempre diviso tra l’“abbiamo fatto sempre così” (la tradizione) e l’innovazione portata dalle nuove generazioni (il progresso). La genetica e le tecniche agronomiche e zootecniche nel corso di questi 11.500 anni sono parecchio evolute, ma alcuni punti fermi non sono mai cambiati.

La lettura dei libri antichi e dei vecchi trattati di agricoltura non è un’abitudine da datati nostalgici ma un metodo per capire cosa negli anni è veramente evoluto e cosa ancora no. Questo deve essere da stimolo per gli scienziati, i tecnici e gli agricoltori, ma anche per i legislatori. Si dice spesso che “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla” (Edmund Burke), e questa frase vale anche per l’agricoltura e l’allevamento degli animali. Lo stato dell’arte delle conoscenze sull’allevamento degli animali da cibo si articola in una serie di paradigmi che insieme costituiscono la dottrina la cui conoscenza integrale, quasi mnemonica, è un requisito per chi vuole allevare animali e coltivare la terra, o offrire loro servizi di consulenza o beni strumentali.

L’incessante attività di ricerca della comunità scientifica e le esperienze empiriche della comunità dei tecnici periodicamente “stressano” i paradigmi e sostituiscono quelli diventati obsoleti cercando di schivare bias ed euristiche. La conoscenza di questo divenire aiuta a non ripetere gli sbagli, perché è saggio non ripartire sempre da capo ma almeno da tre, prendendo a prestito il titolo del noto film “Ricomincio da tre” di Massimo Troisi. Dalla lettura dei libri antichi di veterinaria, zootecnia e agricoltura si può conoscere come in una determinata epoca venivano diagnosticate e curate le malattie di piante e animali, o come era più opportuno coltivare la terra e costruire le stalle. Dalle illustrazioni delle razze degli animali allora allevati e dalla produttività riportata si possono fare considerazioni qualitative su cosa è eventualmente “andato storto” nella selezione genetica. Quello che oggi sembra essere il gold standard magari allora era considerato un grave difetto.

Il prof. Umberto Galimberti nei suoi scritti e nelle sue conferenze instancabilmente ci ricorda che ci troviamo nell’antropocene, una nuova epoca in cui è l’uomo a rimodellare la Terra, e ciò che domina questa “era” è la tecnica. Anche in ambiti ristretti come l’agricoltura il livello di specializzazione auspicato è molto elevato. Chi si occupa di veterinaria e zootecnia sa bene quanto sia impossibile avere un livello di conoscenze e aggiornamento adeguato su tutti gli animali da allevamento. Nell’ambito poi delle singole specie esistono ulteriori specializzazioni. Nei vecchi libri di agronomia, zootecnia e veterinaria ci si poteva permettere il lusso della tuttologia. Sembrerebbe che la nostra società, o meglio il modello occidentale, premi in ogni settore la specializzazione estrema, e c’è anche una forte pressione sui programmi di studio accademici ad adeguarsi. Se la specializzazione premia la qualità del lavoro svolto nel suo contesto, impedisce quella visione complessiva, anche detta olistica, che a mio avviso permette di cercare innovazioni (anche rivoluzionarie) e costruire nuovi punti di vista.

Nella mia lunga carriera lavorativa ho avuto la fortuna di conoscere persone che hanno lasciato una traccia indelebile del loro passaggio per la loro saggezza e lungimiranza. Geni che hanno ricoperto, esclusivamente per merito, ruoli importanti nella ricerca, nella didattica, nella professione, nell’industria e in agricoltura. Mi sono sempre chiesto cosa avessero in comune al di là della granitica motivazione e di un quoziente d’intelligenza nettamente superiore alla media. Probabilmente la capacità di contestualizzare gli argomenti e la dotazione di un buon livello di cultura generale e umanista. Non c’è bisogno di essere laureati o professori per essere colti e saggi, anche se la probabilità aumenta. Un mio grande maestro dell’età giovanile, forse il più importante che abbia mai avuto, è stato il capostalla del nostro allevamento, praticamente analfabeta ma dotato di una straordinaria capacità di osservare e quindi capire gli animali. Nei libri antichi d’agricoltura, veterinaria e zootecnia ogni argomento trattato è sempre contestualizzato, anche quando viene gestito in modo approfondito, e questo è anche un motivo importante per leggerli. La cultura occidentale, ben rappresentata nel libro Weird di Joseph Henric, declinata anche in agricoltura ha una grande propensione ad accogliere i cambiamenti tecnologici ma una grande difficoltà ad adattarsi ad un contesto che cambia. un esempio su tutti sono le incredibili performance ormai raggiunte dagli allevamenti e dalle coltivazioni agricole che non sono però accompagnate da adeguamenti anche strutturali dei paradigmi alla luce di come sta evolvendo il comportamento d’acquisto dei consumatori. (fonte Ruminantia)

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