24 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

Dove comincia e dove finisce la tutela della sanità pubblica

Da un’esperienza personale nasce un ragionamento su democrazia e salute

 

Argomento molto caldo in questo periodo storico. Sembra tutto così confuso; siamo in un tempo che sembra correre con una velocità troppo alta per le nostre caratteristiche umane.

Ho deciso di condividere queste riflessioni, avendo sperimentato personalmente la disorganizzazione e l’inefficienza del sistema sanitario. Ne ho purtroppo testato le carenze non solo sulla presa in carico e sulla cura, ma anche sulla base di una grave mancanza di contatto con i riferimenti attivati proprio in virtù della situazione pandemica che, ricordo, è oramai presente nelle nostre vite da ben due anni.

Constatazione di fatto

Non è una critica, ma un dato di realtà. Lo scopo non è quello di sollevare discussioni o puntare il dito contro il sistema, ma di richiedere una maggiore attenzione a quello che sta accadendo.

Sono una psicologa, e dunque un’operatrice sanitaria; e ho sempre sostenuto con la mia professionalità anche il sistema sanitario pubblico con cui collaboro al servizio di un maggior benessere collettivo.

All’alba della mia condizione di “positiva” mi sono ritrovata incastrata in una serie di spiacevoli situazioni che si sono susseguite e questo mi ha dato la possibilità di osservare più da vicino quello che sta accadendo.

A partire dal sostituto del medico di base che, ahimè, risponde a una mia email solo dopo quasi due giorni e che non si preoccupa di chiedermi neanche come sto o di dirmi che tipo di terapia dovrei fare, passando per il numero verde covid che è stato istituzionalmente costituito proprio per dare informazioni alle persone che non sanno come muoversi, finendo con i presidi locali ospedalieri preposti al controllo e somministrazione dei tamponi.

Tutti questi riferimenti erano inaccessibili, occupati, irraggiungibili. Ho avuto la fortuna di avere una rete di amicizie e conoscenze mediche che hanno sopperito in maniera eccellente a questa mancanza che definirei più come un enorme buco nero del sistema: mi sono dunque chiesta con quanta angoscia e preoccupazione avrei potuto affrontare il decorso di questa esperienza-covid, per quanto i dati sulla gravità di questa variante siano confortanti, se non avessi avuto un canale personale di assistenza medica. Chi non ha la fortuna di avere amici medici (competenti), come fa?

Questa domanda è stata in gran parte la motivazione di questo mio articolo; disorientata e allibita nella verifica di un sistema che conosco e che so essere funzionante solo perché costituito da persone che sanno fare il proprio lavoro e che finora hanno “salvato” e coperto l’incapacità gestionale e organizzativa del sistema stesso. Verrebbe da pensare che in una situazione di emergenza queste cose possono accadere e il ragionamento potrebbe anche reggere se non fossimo in pandemia da due anni e non avessimo già affrontato una prima emergenza sanitaria dove le debolezze improvvise che si sono mostrate all’epoca erano senz’altro più giustificabili di queste.

Si fa una polemica infinita tra vax e no vax che serve solo a confondere e spostare l’attenzione sulle gravi problematiche organizzative di un sistema, evidentemente, collassato per una cattiva gestione di un primo screening e monitoraggio dell’incidenza del virus e delle corrette informazioni da dare all’utenza in caso di contagio.

Deformazione professionale

L’argomento è spinoso almeno quanto riuscire a intercettare le responsabilità condivise di questo grosso “incidente”. Per quanto mi riguarda, forse per deformazione professionale, la mia riflessione si vuole focalizzare non tanto sulla caccia al colpevole (a quello ci pensano già gli avvocati e i magistrati), ma sul cercare d’inquadrare le debolezze di questo sistema e sul trovare soluzioni che possano favorire in tempi brevi il ripristino di una buona linea di prevenzione.

Una prevenzione basata sull’attenzione alla comunicazione e sulla garanzia della presenza sul territorio dei presidi che possano rispondere a una prima importante richiesta dell’utenza nel momento in cui si contrae il virus. In questo modo le persone, sentendosi accolte e gestite, potrebbero evitare di slittare su ricerche di contatto e di prima presa in carico alternative, inadatte e disfunzionali ma più accessibili, come quella del pronto soccorso.

Una sfida al territorio

Mi sento di espormi personalmente lanciando una sfida al territorio che ci richiama a quel senso di condivisione e alleanza che nella mia esperienza da professionista che lavora a latere del pubblico, come privato sociale, è risultata sempre vincente. Facciamo rete e andiamo oltre e ci renderemo conto da soli che non serve fare leggi di “obbligo” per una popolazione che non si riesce a gestire perché mancano alla base fondamenta sicure che la possano accogliere e contenere.

Forse l’unico “obbligo” fortemente richiesto ora è quello morale, che è alla base di una professione d’aiuto che richiede presenza in termini di professionalità, serietà e dedizione per l’altro.

Scelta di coscienza

Del resto, stiamo parlando di una scelta di coscienza che l’intera popolazione è chiamata a prendere. Una scelta basata sulla responsabilità e sul buon senso, aspetti che valgono più di qualsiasi decreto per tutelare la salute sia personale che della collettività che poi, in realtà, coincidono.

Una particolare attenzione sulle possibili soluzioni che “favorirebbero una buona prognosi” di questo logorato sistema, potrebbe essere posta su una maggiore cura nella costruzione di una buona linea assistenziale, sulla comunicazione in ambito sanitario e sull’attivazione per il personale sanitario stesso di spazi di condivisione che fungono da “cuscinetti” salvavita per chi in questo momento si trova a combattere in prima linea, non solo con la pandemia, ma anche con tutte le contraddizioni del nostro tempo che li espongono ad un maggior rischio di stress lavoro correlato.

Non basta saper curare, ma è necessario anche prendersi cura di tutti gli elementi che ne costituiscono la complessità, primi tra tutti il rispetto per l’altro e la consapevolezza che ognuno di noi deve avere le stesse opportunità di poter usufruire dell’assistenza sanitaria non per “conoscenza personale” ma per diritto.

Rosaria Giagu, psiconcologa

 

 

 

Ultimi articoli