19 Aprile, 2024
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Botta e risposta. «Mio figlio, ingannato con uno stage». Troppi abusi, vanno limitati

L’amara esperienza di un 34enne impegnato per un anno in un tirocinio presso una concessionaria di auto. Pochissima formazione, tanto lavoro e alla fine nessun contratto

 

Caro direttore,
desidero raccontarle l’amara esperienza lavorativa di mio figlio trentaquattrenne: da dipendente a tempo indeterminato per 13 anni presso una ditta di servizi antincendio… a stagista senza alcuna tutela in una concessionaria di auto… a disoccupato. Stanco e preoccupato di dover apporre sui cartellini degli estintori la sua firma che attestava, come richiesto dai nuovi proprietari, servizi non effettuati, decide di lasciare il lavoro a tempo indeterminato per uno stage in una concessionaria di note marche automobilistiche. Appassionato da sempre di motori accetta il rischio di un contratto senza alcuna tutela con la speranza di poter acquisire nuove competenze. Non è un sal- to al buio, nella ditta lavora già un suo amico, i titolari garantiscono l’assunzione a tempo indeterminato dopo i 12 mesi di stage: lui si fida e si lancia con passione nel nuovo lavoro. Le difficoltà emergono subito: nessuno lo affianca per insegnargli le sue mansioni, come previsto per uno stagista, perché la persona che ricopriva il suo ruolo non lavora più lì da sei mesi. Senza esperienza, con poche, saltuarie e frammentarie informazioni riesce faticosamente a districarsi nei programmi delle due case automobilistiche rappresentate, a riordinare il magazzino, insiste per fare almeno un corso sulle garanzie. Nonostante l’enorme mole di lavoro che lo costringe a fermarsi ben oltre l’orario concordato e la fatica di do- ver apprendere da solo, il suo incarico gli piace e lo svolge con impegno. Poi il lockdown: due mesi a casa senza remunerazione perché la ditta decide di non far lavorare da remoto. Impiega questo tempo per approfondire le conoscenze dei programmi: ore e ore di impegno regalate. E si va avanti: dopo i primi sei mesi diventati otto a causa della pandemia, lo stage viene rinnovato per altri sei mesi come concordato. Si arriva al 10 dicembre, mancano solo dieci giorni alla firma del contratto promesso: la titolare lo chiama e gli comunica che non intendono assumerlo perché non è stato in grado di creare un team e di coordinare i meccanici che lavorano lì da anni. In pratica secondo lei, lo stagista ultimo arrivato avrebbe dovuto ricoprire un ruolo di coordinatore e di caposettore e dirigere persone con più esperienza lavorativa. Quale lo scopo di questo lungo racconto? Voglio denunciare l’uso improprio purtroppo molto diffuso dei contratti di stage perché consentono a datori di lavoro senza scrupoli di avere manodopera a costo zero. Voglio denunciare l’ennesimo spreco di risorse pubbliche perché non finalizzate veramente alla formazione e all’inserimento lavorativo dei giovani. Voglio denunciare il completo disinteresse delle agenzie per il lavoro che fanno da tramite tra stagisti e aziende. Voglio denunciare la totale noncuranza e la mancanza di controllo della Regione Liguria che ha finanziato questo stage. Chi deve controllare? Chi tutela questi ragazzi? Dove sono i sindacati sempre più impegnati a garantire diritti acquisiti e non a tutelare chi è senza diritti? Mio figlio ha regalato 14 mesi della sua vita, ha perso 14 mesi di contributi previdenziali, non ha diritto alla disoccupazione né al reddito di cittadinanza… in pratica è diventato un invisibile. Quanti sono gli invisibili oggi in Italia? In un Paese con un’allarmante crisi demografica come più volte denunciato da questo nostro giornale, cosa si sta facendo per dare ai giovani quel minimo di stabilità lavorativa che consente di poter realizzare il sogno di avere dei figli? Se non sapremo urgentemente dare risposta a queste domande siamo destinati a essere un Paese senza futuro. Un cordiale saluto.

Rosanna Bottino

La vicenda occorsa a suo figlio, gentile signora Bottino, è emblematica di quella che potremmo definire la ‘trappola’ degli stage. Il direttore mi chiede di risponderle perché mi occupo da anni di tali questioni e le dico subito che lei ha già ben evidenziato i nodi che gravano su questo importante strumento formativo, troppo spesso oggi ridotto a semplice mezzo per abbattere il costo del lavoro, sfruttando chi è alla ricerca di un’occupazione. Gli stage infatti nascono nel 1997, previsti nel cosiddetto ‘Pacchetto Treu’, per favorire soprattutto il passaggio dall’istruzione al lavoro, con una formazione che preveda in sostanza di ‘imparare facendo’. Da allora, però, sindacati e osservatori del mercato del lavoro hanno denunciato molte volte come addirittura nel 90% dei tirocini si celino abusi del diritto del lavoro.Tanto da sollecitare la riforma del 2017 e in particolare le Linee guida dello Stato alle Regioni, competenti in materia. Interventi che, però, hanno migliorato solo marginalmente la situazione. Pur chiarendo i ruoli e le responsabilità dei soggetti interessati allo stage – datore di lavoro, ente promotore e tirocinante – l’intervento legislativo si è limitato infatti a fissare un tetto massimo alla presenza di stagisti (fino al 10% dell’organico per le aziende oltre i 20 dipendenti) e a prevedere l’obbligatorietà di una indennità di partecipazione minima, fissata sempre dalle Regioni, per gli stage svolti al di fuori di un corso di studi. I tirocini così oggi possono essere rinnovati nel limite massimo di 12 mesi e, non essendo contratti di lavoro ma periodi di formazione professionale, prevedono per il datore di lavoro esclusivamente l’obbligo dell’assicurazione anti-infortunistica mentre non sono previsti versamenti di contributi previdenziali, né il pagamento di periodi di ferie, eventuale malattia, Tfr ecc. È chiaro che tutto ciò li rende particolarmente ‘appetibili’ per chi volesse assicurarsi manodopera a bassissimo costo e priva di tutele, tanto che nel 2018 (ultimo dato disponibile) gli stage accesi in un anno in Italia sono stati ben 350mila. Nel caso descritto dalla nostra lettrice, questa distorsione sembra evidente e potrebbe anche essere oggetto di una valutazione da parte della magistratura, rimettendo all’esame dei giudici il progetto formativo, il mancato ruolo dei tutor, gli effettivi termini della prestazione e le contestazioni finali relative al ‘mancato coordinamento’ di altri lavoratori. Se venisse accertato che lo stage nascondeva una mera prestazione lavorativa anziché un’attività formativa, a favore dello stagista scatterebbe il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. La scelta se adire le vie legali spetta ovviamente al protagonista di questa vicenda ma, sul piano generale, restano in campo tutti i dubbi e le legittime rimostranze evidenziate nella lettera. Secondo diversi osservatori gli stage dovrebbero essere semplicemente aboliti, lasciando in vita solo i tirocini curricolari, promossi cioè all’interno di percorsi universitari o di formazione professionale. Una scelta forse drastica, ma non certo priva di solide motivazioni, che potrebbe eventualmente prevedere un’eccezione: permettere stage in azienda esclusivamente ai giovani neet affinché prendano contatto con il mondo del lavoro e si riattivino. Essenziali, però, anche in questo caso sarebbero i controlli. Come denunciano da tempo il professor Michele Tiraboschi e il centro studi Adapt, infatti, perfino sui portali pubblici come quelli collegati alla ‘Garanzia giovani’ non si contano le inserzioni illegali di tirocini che nascondono in realtà la richiesta di personale per mere attività lavorative, prive di formazione, spesso addirittura con richiesta di ‘esperienza’ nel settore. Mentre, per favorire realmente l’ingresso dei giovani nelle aziende, esiste già e andrebbe ulteriormente promosso il contratto di apprendistato nelle sue tre declinazioni: per conseguire un diploma, professionalizzante o di alta formazione. Un vero contratto di lavoro a tempo indeterminato, ad alto contenuto formativo, comunque conveniente per le imprese grazie ai contributi ridotti e ai bassi livelli salariali, e che soprattutto non nasconde ‘trappole’.

(Avvenire)

 

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