25 Aprile, 2024
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Piano industriale di Alitalia, 2025: così ambizioso da sembrare irrealizzabile

Nel pieno della più grande crisi del settore degli ultimi decenni, il programma della newco Ita prevede una crescita dei ricavi da 920 milioni nel 2021 a 3,4 miliardi alla fine del quinquennio

Il piano industriale di Ita, la nuova Alitalia, per il quinquennio 2021-2025 finalmente è pronto a partire. Si inizierà ad aprile 2021 con 52 aerei, per arrivare a 110 nel 2025. La crescita dovrà essere graduale ma rapida: 86 velivoli nel 2022, 103 nel 2023. Stesso discorso anche per i ricavi: si parte dai 920 milioni del 2021 per arrivare all’obiettivo di 3,4 miliardi alla fine del quinquennio: dovrebbero essere quadruplicati.

«Difficile capire se possa funzionare un piano così ambizioso in una situazione così complessa», dice a Linkiesta l’economista Andrea Giuricin, autore del libro “Alitalia: la privatizzazione infinita”. «La crescita dovrebbe essere molto veloce, e ora come ora è molto difficile da immaginare. Un punto a favore è che il mercato potrebbe sorprenderci perché non sappiamo come andrà da qui in avanti. Però tutti gli amministratori delegati delle compagnie aeree dicono che fino al 2024 il mercato non si normalizza».

Secondo la International Air Transport Association (Iata) nel 2021 la perdita per il settore dovrebbe assestarsi tra i 30 e i 40 miliardi di dollari, dopo i 180 persi quest’anno. Ma ancora nel primo trimestre dell’anno le maggiori compagnie aeree stimano di volare con una capacità di un terzo circa. E il mercato italiano non sembra fare eccezione: nel 2020 il numero di passeggeri si ridurrà dai 161 milioni del 2019 a meno di 50 milioni. Così il piano di crescita della nuova Alitalia, che parte con l’investimento di 3 miliardi previsto dal decreto rilancio dello scorso maggio, somiglia tanto a una scommessa, che dipenderà anche dall’imprevedibilità del nuovo mercato aereo.

Ma non sarà facile ritagliarsi delle quote di mercato, considerando che le grandi compagnie in un modo o nell’altro continuano a investire per non perdere terreno, nonostante tutto. L’esempio più evidente è quello di Ryanair, che proprio a inizio mese ha confermato un ordine di 135 velivoli a Boeing.

Non può essere un caso che nel piano industriale di Ita sia prevista una partnership strategica per accompagnare il percorso di crescita dell’azienda: l’amministratore delegato Fabio Lazzerini in conferenza stampa aveva annunciato che «già nel 2022 alcuni ricavi, anche se in poca misura, dipenderanno dalla partnership. Il pieno sfruttamento arriverà negli anni successivi e nel 2024-2025 si arriverà al 15 per cento dei ricavi legati alla nostra partnership», confermando di fatto le voci intorno a Lufthansa e Air France-Klm.

Una critica forte è arrivata anche dai sindacati. Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Trasporto Aereo hanno detto che «è un piano insoddisfacente dal punto di vista industriale e occupazionale. Serve più coraggio da parte del ministero di Economia e Finanza per dare un indirizzo chiaro al cda e all’amministratore delegato, visto che i 3 miliardi investiti dal governo sono stati stanziati per rilanciare Alitalia e tutto il trasporto aereo, non per licenziare».

I dipendenti necessari a gestire una flotta iniziale di 52 aerei infatti sono circa 5.500, cioè la metà degli 11mila attuali. E nel 2025 dovrebbero diventare, stando a quanto scritto nel piano, circa 9.500. E la possibilità che le proteste dei sindacati diventino influenti rispetto al piano industriale non sono poche.

I sindacati, secondo Giuricin, hanno grande peso, da sempre, nelle decisioni politiche che riguardano Alitalia. A inizio dicembre l’economista aveva pubblicato un paper sul sito dell’Istituto Bruno Leoni in cui criticava le triangolazioni tra politica, sindacati e dipendenti di Alitalia che «è sempre stato alla base di molti degli errori commessi dalla compagnia aerea e dalla classe politica italiana negli ultimi anni», in particolare in riferimento al periodo tra il 2017 e il 2020, in cui «la gestione commissariale di Alitalia è già costata circa 8 miliardi di euro a contribuenti, passeggeri e creditori».

Anche con l’investimento di 3 miliardi previsto con il decreto rilancio non è escluso che la compagnia possa comunque finire in un grande gruppo europeo. Un passaggio che anzi sembra sempre più logico, dal momento che nell’attuale mercato c’è poco spazio e margine di crescita per le piccole compagnie. Esemplare il caso di Norwegian, compagnia low cost che aveva 36 milioni di passeggeri nel 2019, quasi il doppio di Alitalia: ha comprato aerei nuovi, puntava anche su tratte intercontinentali, ma non ce l’ha fatta a competere da sola con le grandi compagnie ed è stata costretta al commissariamento. Se Norwegian doppiava, o quasi, il numero di passeggeri di Alitalia e comunque si è rivelata troppo piccola per il mercato, allora è ancora più difficile immaginare la nuova Ita possa camminare da sola.

Norwegian aveva dimostrato anche una discreta capacità innovativa: nel 2013 era diventata la prima compagnia aerea a tentare un servizio di voli a lungo raggio ma a basso costo, puntando sui jet 787 Dreamliner di Boeing (che poi avrebbero rivelato diversi problemi tecnici). Proprio i voli intercontinentali hanno contribuito a indebitare la compagnia. La nuova Ita vedrebbe ridotti di molto i voli a lungo raggio, che vedrebbe gli aerei ridursi dagli attuali 26 a soli 6 (5 Boeing 777-200ER e un Boeing 777-300ER), con una riduzione di capacità nei voli intercontinentali di circa il 70 per cento.

«Il problema – conclude Giuricin – non sarebbe vedere la compagnia italiana all’interno di un grande gruppo, ma sono le grandi spese dello Stato e dei contribuenti. C’è già un miliardo e mezzo per i prestiti ponte: i 900 milioni del primo prestito più 200 di interessi e 400 milioni del dicembre scorso. A questi si sommano gli attuali 3 miliardi di euro, che portano il totale a 4 miliardi e mezzo in poco più di 3 anni per arrivare comunque a una soluzione che era sul tavolo anche prima. È tutto tempo perso: immaginare un futuro indipendente per una compagnia aerea piccola è difficile e non da oggi».

(Linkiesta)

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