18 Aprile, 2024
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La Cina riconosce Biden. Ci sarà meno conflittualità, ma cambierà poco

Sarebbe un errore credere che le relazioni degli Usa con Pechino torneranno allo status quo pre-Trump

Con Biden alla Casa Bianca la politica statunitense nei confronti della Cina è destinata a cambiare. Ma non troppo. Di fronte alla potenza di fuoco economica sui mercati e alla capacità tecnologica della Cina in crescita, e alla necessità di confrontarsi con un’agenda politica sempre più assertiva a Pechino, la gestione delle questioni bilaterali sarà centrale per la politica estera americana sotto la guida democratica. In questo senso, molte cose sono già chiare.

In primo luogo, le politiche di Biden saranno meno conflittuali.

Dobbiamo aspettarci che l’accesa retorica e il bullismo dell’era Trump si attenui e che il discorso sul disaccoppiamento svanisca. La guerra commerciale, attualmente in pausa, potrebbe anche essere ritardata mentre il team di Biden sta già riconsiderando la strategia tariffaria degli ultimi quattro anni.

Indicazioni positive, ma sarebbe un errore credere che, in una presidenza Biden, le relazioni USA-Cina torneranno allo status quo pre-Trump. Sotto il presidente Barack Obama, gli Stati Uniti stavano già perdendo la pazienza, e lo si era visto chiaramente con le restrizioni al commercio e agli investimenti in Cina varate da quella amministrazione. Trump ha portato il confronto a un nuovo livello, allo scontro aperto, con la sua guerra commerciale, le restrizioni sugli investimenti cinesi in entrata e il controllo delle attività cinesi nei campus statunitensi. In questo modo, Trump ha esteso la portata del conflitto con Pechino oltre il commercio e gli investimenti convenzionali, con una crescente attenzione alla sicurezza nazionale e al confronto geopolitico. Alla sua agenda The Donald ha aggiunto le tecnologie considerate spionistiche di Huawei, le catene di approvvigionamento sicure e il disaccoppiamento sistemico.

Anche se le relazioni politiche tra le due superpotenze sicuramente miglioreranno, questi problemi non scompariranno. A Washington, infatti, c’è una notevole sintonia tra le due parti – democratici e repubblicani – sul fatto che una linea più dura con la Cina sul commercio e l’accesso al mercato vada perseguita senza tentennamenti. E anche se in molti hanno messo in discussione l’efficacia delle strategie tariffarie dell’amministrazione Trump, in realtà c’è un ampio sostegno in quella direzione. Basti pensare alla legislazione approvata nel 2018, che ha aumentato l’autorità della commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, dotandola del potere di rivedere gli investimenti in entrata per scopi di sicurezza nazionale – stimolata dalla preoccupazione per l’accesso della Cina a tecnologie sensibili – che ha avuto un sostegno bipartisan.

Altre questioni estremamente delicate, poi, come la resistenza della Cina all’indagine internazionale sulle origini del coronavirus, le sue politiche riguardo agli uiguri, la sua attività nel Mar Cinese Meridionale e le mosse per limitare la libertà di espressione a Hong Kong, restano sul piatto e lo stesso governo cinese non si fa illusioni su questi temi, come ha spiegato molto bene, nei giorni scorsi, un’editoriale del giornale voce del Partito Comunista Cinese al potere, il Global Times.

Non è un caso, del resto – e se ne sono accorti subito a Pechino – che una delle primissime mosse di Biden quale presidente eletto sia stata quella di chiamare, giovedì, i leader di Corea del Sud, Giappone e Australia, per enfatizzare la disponibilità alla collaborazione americana al mantenimento della pace nell’area del Mar Cinese Meridionale, oggetto delle ambizioni territoriali della Cina e al centro di una disputa con Pechino sempre sul filo del rasoio, che da tempo mostra tutte le potenzialità di sfociare in un confronto militare aperto con le altre parti in causa: Taiwan, Vietnam, Filippine e anche la stessa Australia. Uno scenario estremamente preoccupante nel quale, Biden lo ha fatto chiaramente intendere, gli Stati Uniti non potrebbero restarsene alla finestra a guardare. E infatti ha voluto subito rassicurare Tokyo sul fatto che l’America sotto il suo comando rispetterà senza esitazioni il trattato di sicurezza e cooperazione militare firmato tra le due nazioni.

Il risultato è che un’amministrazione Biden non sarà sicuramente tenera con la Cina

e alla fine non si allontanerà troppo dal tavolo che Trump ha allestito in questi quattro anni. La preoccupazione per le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti cinesi nelle aziende tecnologiche statunitensi continuerà, così come il controllo delle attività cinesi nei campus americani, la pressione su Hong Kong e il sostegno a Taiwan.

Le tensioni pregresse sull’accesso al libero mercato rimarranno sul tavolo, così come la ferma critica statunitense agli effetti distorsivi delle sovvenzioni statali cinesi e la loro incompatibilità con gli impegni presi dalla Cina al momento del suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Hong Kong resterà una spina nel fianco, anche se il neo presidente gestirà quest’ultimo tema – delicatissimo e particolarmente urticante per Pechino – con molta meno animosità e sovrapposizione retorica, rispetto alle sparate di Pompeo.

In generale, nei confronti dell’antagonista cinese, il suo approccio sarà meno unilaterale e più multilaterale

– utilizzando molto più di Trump le istituzioni internazionali, e costruendo accordi con partner che la pensano allo stesso modo su strategie comuni per affrontare questioni condivise con la Cina. Ma non si tirerà indietro.

Quando Biden si insedierà ufficialmente, gli Stati Uniti e la Cina avranno una finestra di opportunità per ripristinare le loro relazioni, resettandole – ma solo in parte, come abbiamo detto – a una situazione pre-Trump. L’amministrazione Biden sarà pragmatica e ci si può aspettare che cerchi aree di dialogo in cui entrambi i paesi possano cooperare, come la salute globale e il cambiamento climatico. Tuttavia, la Cina non dovrebbe aspettarsi che le relazioni USA-Cina tornino al loro status prima che Trump entrasse in carica. Dovrebbe anche evitare di mettere in discussione la determinazione della nuova amministrazione sui punti di attrito, o di scambiare quello che è stato un processo elettorale controverso per debolezza o mancanza di volontà.

Il cambio di amministrazione offre ad entrambe le potenze l’opportunità di un ripristino che può riportare le relazioni USA-Cina su un nuovo piano. Ciò aiuterebbe entrambe le economie e rassicurerebbe i partner globali danneggiati pesantemente dalla guerra commerciale scatenata da Trump.

Nel prossimo futuro sapremo se l’America di Biden nei suoi rapporti con la Cina darà effettivamente il via a un nuovo corso, aprendo le porte a un nuovo dialogo verso una relazione più stabile e produttiva, oppure sarà un cambio solo apparente, dal sapore “gattopardiano”: “bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com’è”

(Huffpost)

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