19 Aprile, 2024
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«Io sono peggio della mafia»: così Rebeshi terrorizzava imprenditori e rivali in affari

«Io sono peggio della mafia». Ismail Rebeshi senza freni gioca tutte le carte per convincere due ragazzi romeni a non aprire più la discoteca Theatrò. E’ entrato nel vivo ieri in Tribunale il processo a Pavel Ionel, Emanuele Erasmi e Manuel Pecci, gli unici 3 imputati dell’operazione Erostrato a non aver scelto il rito abbreviato. I tre sono accusati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

«La mattina del 12 luglio 2018 sono entrati nel mio ufficio due uomini che non conoscevo – ha spiegato in aula  il direttore di un’azienda di Viterbo -, dopo ho scoperto essere Trovato. Mi dissero che erano parenti di Erasmi e mi chiesero in maniera gentile di pagare il debito. Ripetevano che dovevo aiutarlo. Spiegai che c’era un fallimento in corso, che non potevo pagare nessuno. Mi sembrò molto strano che due persone estranee fossero a conoscenza del debito e parlassero per Erasmi. Lavoro nel mondo dell’imprenditoria da 40 anni e alcune cose le ho capite. Io per queste vicende mi affido agli avvocati, non ai parenti. Così dopo alcune ore sono andato in Questura».

L’imprenditore alle 12 dello stesso giorno racconta ai poliziotti cosa è successo e porta in dote le telecamere di sorveglianza dell’azienda. Trovato però non si ferma e torna a far visita all’azienda, mentre Erasmi più volte chiama l’imprenditore per chiudere un incontro prima a Pratogiardino poi in un bar. «Ho sempre detto no – ha spiegato – dicendo che se voleva poteva venire in ufficio. A fine mese si sono presentati di nuovo e c’era anche Erasmi. Alla fine per evitare ulteriori problemi tra i miei dipendi che avevano timore ho chiesto un prestito e pagato 8mila euro con due bonifici. In azienda c’era un’aria strania, uno dei miei lavoratori si prese un permesso perché voleva estraniarsi da questa vicenda. E poi in quel periodo a Viterbo accadevano cose strane, andavano a fuoco auto e avevamo timore».

A raccontare perché le serata danzanti per romeni si stopparono improvvisamente è stato uno degli organizzatori. «Rebeshi ci contattò subito – ha spiegato – con minacce. Non voleva nemmeno farci partire. Ci scriveva che per queste cose dovevamo chiedere a lui il permesso che ci avrebbe ammazzato che era peggio della mafia».

A puntare il dito contro Pavel Ionel, non solo per la vicenda della discoteca ma anche per gli attentati incendiaria alle forze dell’ordine, un cittadino albanese che si presentò dai carabinieri spontaneamente offrendo informazioni in cambio di protezione. «Ionel un giorno al bar mi raccontò degli attentati ai carabinieri, ho detto queste cose perché non volevo essere tirato in mezzo. Non solo, durante la chiacchiera fu contattato da qualcuno che aveva un problema e si offrì di aiutarlo dicendo qualcosa a proposito di incendiare una macchina».

Alla prossima udienza ci sarà un solo testimone: il pentito Sokol Dervishi. L’albanese è l’unico della banda ad aver deciso di vuotare il sacco. Le sue parole sono attese per fare luce su molti aspetti. Si torna in aula il 15 ottobre.

(Il Messaggero)

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