29 Marzo, 2024
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Delitto di Colleferrro: quando l’abito fa il monaco

di Fabrizio Marchi

l brutale assassinio del giovane di Colleferro è figlio del nulla cosmico, del vuoto pneumatico della società capitalista e nichilista in cui viviamo oggi.

E dal nulla non può nascere nulla di buono. Tutt’al più può essere e purtroppo viene riempito con modi di essere e comportamenti a dir poco balordi di vario genere. Penso, ad esempio, all’uso più o meno sistematico di alcool, droghe e sostanze varie da parte di molti giovani, finalizzato allo “sballo”, in altre parole ad estraniarsi dal contesto cercando “sensazioni forti” che consentano di spezzare la routine della vita quotidiana.

Poi ci sono i consumatori seriali, un’altra schiera molto nutrita, naturalmente, cioè quelli che cercano di colmare quel nulla riempiendosi di merci. A seguire i cultori dell’estetica, quelli che passano l’esistenza in palestra a farsi i muscoli e a tatuarseli e infine i violenti. A queste due ultime categorie appartengono gli abbrutiti energumeni che hanno massacrato il povero Willy, colpevole di aver cercato di difendere un amico e quindi, secondo il misero setaccio dei bruti di cui sopra, di essersi intromesso, di “non essersi fatto i cazzi suoi”. Ragione più che sufficiente per massacrarlo di botte in quel modo. Tanto più perché chi ha osato “sfidarli” è uno che non se lo poteva permettere: un ragazzo esile, magrolino e per di più di colore.

Un famosissimo proverbio dice che l’abito non fa il monaco. A volte è vero ma tante altre volte no. In questo caso è sufficiente, a mio parere, osservare le foto di quei soggetti per capire chi sono e che cervello hanno. Le testimonianze della gente di Colleferro lo confermano. Bulli, attaccabrighe, cultori delle arti marziali (o meglio, di una interpretazione fuorviante e distorta di quelle che sono invece filosofie di vita che questi soggetti riducono a meri strumenti di violenza e prevaricazione …) e soprattutto di questi nuovi “sport” di combattimento (strani aborti finalizzati solo ad aggredire e a far male…), di un certo tipo di fisicità (un culto esagerato e parossistico dell’estetica che finisce per essere il baricentro della loro esistenza e per sostituire ogni altra dimensione, in primis quella etica…), della violenza, della sopraffazione fisica sugli altri e, naturalmente (non è affatto casuale), ideologicamente contigui ad una becera destra neofascista e neonazista che di questi ambienti ha fatto il suo brodo di coltura. Una adesione ideologica, diciamo la verità, più (se non esclusivamente) di “pancia” che di testa, ammesso che ne siano provvisti…

Sarebbe sbagliato considerare questi personaggi come dei casi individuali, perché sono una vera e propria fenomenologia sociale, anche molto diffusa ormai, uno dei prodotti di questa nostra società. Certo, non tutti finiscono ad ammazzare di botte la gente per la strada, questo è ovvio, ma non c’è alcun dubbio che questi soggetti corrispondano ad un “modello” molto diffuso. Come ho già avuto modo di spiegare in altri articoli, questa è gente che cerca di compensare la sua inadeguatezza, o meglio la sua incapacità a reggere la competizione che la società gli impone, costruendosi questa sorta di identità fondata sull’esuberanza fisica, sulla violenza e l’aggressività. Per la serie:” Non sono ricco, non sono socialmente posizionato, non sono riuscito o non riesco a fare soldi, però in qualche modo devo pur affermarmi, e l’unico modo che ho per farlo è questo”.

Le donne con cui si accompagnano, le “loro” compagne o fidanzate (invito anche in questo caso a vedere le foto…), sono esattamente come loro, in tutto e per tutto: “pompate” e vuote come un pneumatico, la sola cosa che sanno fare è esibire la loro avvenenza fisica.

Mi auguro che questi loschi figuri vengano condannati ad una pena adeguata al delitto che hanno commesso. E per come la vedo io questa pena non dovrebbe essere inferiore ad anni venti di galera vera, effettiva, cioè senza permessi di lavoro esterno, permessi vari, e soprattutto sconti di pena che finiscono per ridurre la carcerazione a pochi anni.  Per come la vedo io hanno tolto una vita e quindi è giusto che paghino per quella vita che non c’è più perché loro l’hanno barbaramente soppressa. Quanto vale una vita umana? Quanto vale la vita di un ragazzo massacrato?

Ma penso purtroppo che ciò non accadrà perché questa nostra società, fra le altre cose, è malata anche di un falso e ipocrita permissivismo. E anche questo non è casuale. Ora i riflettori sono accesi sulla vicenda, ma fra qualche settimana non se ne parlerà più, passeranno tre o quattro anni e sono certo che vedremo gli assassini di Willy fuori del carcere in permesso di lavoro esterno e dopo un paio d’anni completamente liberi. E io non credo che questa sia giustizia. Perché se io fossi il padre di quel ragazzo e vedessi gli assassini di mio figlio circolare liberamente dopo quattro o cinque anni, credo proprio che non lo sopporterei.  Uno stato realmente democratico deve garantire la libertà di opinione, politica, religiosa, di manifestazione, di organizzazione politica, nella stessa misura in cui deve essere fermo nel reprimere (sempre entro i limiti del dettato costituzionale, ovviamente) il crimine. Su questo non ho dubbi. La certezza della pena (che naturalmente deve essere proporzionata al delitto commesso) non può essere considerato un “discorso di destra” e non deve essere lasciato alla destra. Poi, naturalmente, si può discutere all’infinito su quanto e se sia possibile l’esercizio di una “giustizia giusta” in una società divisa in classi, ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano.

Fabrizio Marchi

 

(L’interferenza)

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