19 Aprile, 2024
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Dalla caduta del Covid allo sprint, così la Cina è diventata la regina di Borsa

Il Paese da cui è partita la pandemia è il primo a riprendersi sui listini: da gennaio Shanghai +11%, Shenzen +35%

L’Asia è stato l’epicentro del coronavirus, ma anche la prima area a reagire al diffondersi della pandemia. Già alcuni listini borsistici hanno un bilancio positivo rispetto a inizio anno. Shanghai in prima battuta ma anche le piazze finanziarie di Corea e Taiwan: listini dove la forza della tecnologia sta avendo un impatto rilevante.

Oggi il continente si presenta agli investitori forte del recupero economico messo a segno dalla Cina. Il gigante asiatico dovrebbe chiudere il 2020 con una crescita marginale: un segno più che fa decisamente la differenza rispetto al resto del mondo.

Secondo l’Fmi, infatti, il Pil globale quest’anno dovrebbe flettere poco meno del 5% e la Cina sarà l’unica tra le grandi economie ad archiviare un dato positivo, con una ricaduta salutare sull’intero continente. Questo effetto benefico del Dragone sui mercati si traduce in un calo degli utili per azione, a livello societario, che in Asia dovrebbe essere più contenuto rispetto al resto del mondo.

A ciò si aggiunge l’indebolimento del dollaro, che per molte nazioni emergenti leva pressione sul debito, in gran parte espresso nella valuta americana.

Un rialzo non casuale

In termini borsistici, quindi, non è casuale il rialzo di Shanghai e di Shenzen, che risultano tra i migliori listini azionari da inizio anno, rispettivamente a +11% e a +35%. A trainare gli indici cinesi sono soprattutto le molte aziende quotate innovative e ad alta crescita, surriscaldate dall’aumento della domanda di beni e servizi a elevato contenuto tecnologico e digitale.

A fronte delle prospettive favorevoli, tuttavia, ci sono dei fattori di rischio da considerare con attenzione.

La Cina non è ancora un paese completamente liberalizzato dal punto di vista finanziario e l’accesso al mercato azionario interno è riservato a investitori esteri qualificati. Si tratta quindi un mercato azionario esposto molto ai piccoli investitori locali. La presenza di numerosissimi trader spiega la forte volatilità del listino, caratterizzato da frequenti oscillazioni violente che lo rendono adatto a risparmiatori con elevata propensione al rischio. Per questo motivo i grandi investitori preferiscono puntare sulle società cinesi quotate a Hong Kong.

Attenzione, inoltre, al rischio di sovra-esposizione. Le azioni di tutte le società cinesi, anche quelle quotate fuori dalla madrepatria, rappresentano circa il 34% dell’intero Msci Emerging (con un peso di circa il 4% delle sole azioni quotate a Shanghai e Shenzen), ma la loro importanza è destinata a crescere. Se includiamo altri paesi come India e Corea, il peso dell’Asia sugli Emergenti arriva a sfiorare il 50%. Dunque, chi ha investito sui mercati emergenti è già esposto in maniera significativa al mercato asiatico.

Infine, tra i rischi dell’area ci sono le questioni politiche.

I rischi geopolitici

Il tema di Hong Kong è un fronte delicato dopo l’approvazione della nuova legge cinese sulla sicurezza, che limita l’indipendenza dell’ex colonia britannica. Questo è uno dei nodi nei rapporti con gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali. Per il momento, soltanto gli Usa hanno tolto lo status speciale alla città-stato, ma vista la guerra commerciale in corso, non è esclusa una pressione su altri paesi perché facciano altrettanto.

Sullo sfondo c’è poi la guerra commerciale. Le trattative tra Washington e Pechino dovrebbero riprendere a breve, ma gli accordi della fase 1 sono ancora in gran parte da implementare e la crisi economica globale non agevola il passaggio alla fase 2. Questa è la maggiore incognita per tutti i listini asiatici anche se l’impasse potrebbe avere effetti maggiormente negativi sugli States (alla vigilia del voto) rispetto a Pechino.

Infine, su tutto incombe l’incognita dei contagi e la grande diffusione del coronavirus in India. Una seconda ondata pandemica sarebbe letale per i mercati emergenti, anche per il ritorno dell’avversione al rischio su scala globale.

(Il Sole24Ore)

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