25 Aprile, 2024
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La corsa ai vecchi cantieri che ricalca la legge Lunardi

(di Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente)

Italia veloce. L’approvazione “salvo intese” del “decreto semplificazioni” rischia di riprodurre gli errori del passato, trascurando le esigenze di uno sviluppo sostenibile e green della mobilità e dello spazio urbano

Un elenco lunghissimo di opere definite prioritarie, commissari per sbloccarle, riduzione delle gare e dei pareri ambientali, tanti chilometri di asfalto e pochi di ferro nelle aree urbane. Come venti anni fa, solo che questa volta non si chiama Legge Obiettivo, e Silvio Berlusconi è all’opposizione di un Governo con il Pd e il Movimento Cinque Stelle.

Il panico per la crisi economica e la fretta di sbloccare qualche cantiere, sta producendo conseguenze inimmaginabili. Qual è il senso politico di stravolgere il Codice degli appalti approvato quando Graziano Delrio era al Ministero delle infrastrutture, per tornare a ricette per aggirare le gare come ai tempi di Lunardi e che avevano portato ad arresti per corruzione, ritardi e spreco di denaro pubblico? Nessuno.

E davvero non si comprende come queste ricette possano contribuire a rilanciare il Paese. Nel Piano #Italiaveloce della ministra De Micheli sono previsti circa 3mila chilometri di nuove strade e autostrade: pedemontane in Veneto e Lombardia, Val d’Astico, Tibre, autostrada Cispadana, Pontina, Gronda di Genova, solo per citare le più note. Tutte opere che risalgono ai tempi della Legge Obiettivo, oramai inutili e che potrebbero essere sostituite da alternative ben più sostenibili, ma costosissime a beneficio dei soli concessionari. Soprattutto mancano proprio le opere più urgenti ai tempi del Covid, quelle che riguardano le aree urbane.

Dobbiamo augurarci che questa ennesima approvazione «salvo intese» porti a un risveglio politico nella maggioranza, perché se il nostro Paese è in crisi lo deve proprio alle scelte sbagliate realizzate negli ultimi venti anni.

Se le città italiane vivono una condizione ambientale e sociale così difficile la ragione è in una mobilità dove a prevalere sono gli spostamenti in automobile. I ritardi sono storici ma nel frattempo si è continuato nella stessa direzione, visto che dal 2010 ad oggi sono stati inaugurati 275 km di autostrade, 1543 di strade nazionali a fronte di 70 chilometri di metropolitane e 34 km di tram. Mentre si parla di cura del ferro per le città nel 2019 non è stato inaugurato neanche un chilometro di metropolitane.

E ancora, la tesi per cui occorre affidare gli appalti senza gara e stravolgere il codice appalti, perché non starebbe funzionando e rallenta i cantieri, è falsa.

Basta leggere le analisi del Cresme sulle gare d’appalto in corso o ascoltare le richieste di costruttori e Sindacati per capire che in realtà il Governo sta seguendo altri interessi, ossia di chi punta a ottenere appalti senza gare e controlli. Ma in una crisi drammatica come quella che stiamo vivendo non è accettabile che si rinunci a correggere le cose che non funzionano – che pure ci sono nelle stazioni appaltanti, nei tempi delle procedure, nelle valutazioni ambientali – abdicando all’idea che l’unica strada per uscire dalla crisi sia questa.

Anche perché stavolta un’alternativa credibile esiste, ed è quella di puntare sulle città come cuore del rilancio del Paese.
L’elenco è già negli uffici della ministra De Micheli, sono gli interventi che i Comuni hanno previsto nei Piani urbani della mobilità sostenibile. L’obiettivo è di raddoppiare entro il 2030 i chilometri di piste ciclabili, di realizzare 330 km di tram e 154 km di metropolitane.

Inutile aggiungere che queste opere non sono prioritarie e in larga parte non hanno finanziamenti. L’altre grande limite di questo progetto del Governo riguarda il Sud, dove si annuncia l’ennesimo elenco di cantieri ma nulla è previsto per far tornare i treni a circolare. Quando il problema oggi è che tra Bari e Napoli, tra Reggio Calabria e Taranto, tra Potenza e Lecce i treni sono scomparsi.

A proposito di ricette per il rilancio, quei treni che mancano si potrebbero produrre nelle fabbriche dell’ex Ansaldo a Napoli e Reggio Calabria, con l’acciaio proveniente da Taranto. L’augurio è che si apra un dibattito politico vero sulle idee per far ripartire il Paese, magari puntando ad aprire milioni di cantieri, grandi e piccoli, in ogni Comune e su cui costruire l’ossatura della proposta italiana per il green deal da finanziare con risorse europee.

(Il Manifesto)

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