19 Aprile, 2024
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Caos Csm, Primo Di Nicola: “Il vicepresidente Ermini si dimetta”. La giustizia diventa una grana tra alleati di governo

Ermini si dimetta”.

La richiesta del senatore del Movimento 5 Stelle Primo Di Nicola dall’Aula di Palazzo Madama ha un effetto chiaro: fa piombare la vicenda Csm e i veleni che l’accompagnano direttamente all’interno del Governo Conte. Perché mai fino ad ora c’era stata una presa di posizione così netta da parte di un esponente pentastellato e soprattutto perché il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura a cui si chiede un passo indietro è un deputato del Partito democratico. Tradotto: se prima era la Lega a volere lo scioglimento del Csm e contestualmente un intervento del presidente della Repubblica SergioMattarella, ora sono gli alleati di governo a chiedere al dem Ermini di farsi da parte. “Valuti la opportunità di lasciare il suo incarico” ha detto Primo Di Nicola, sostenendo in un intervento di fine seduta che “anticipare la elezione del Csm con nuove regole serve a limitare questo insulto della democrazia“.

L’insulto della democrazia di cui parla il senatore del Movimento 5 Stelle altro non è che lo scandalo che sta travolgendo la magistratura per via di quelle chat che in tanti scambiavano con Luca Palamara, il pm romano indagato a Perugia.

Conversazioni whatsapp da cui appare uno spaccato fatto di richieste di aiuti per far carriera, logiche spartitorie, persino sgambetti tra colleghi e strategie per attaccare i politici. In quest’ultimo capitolo rientrano le intercettazioni pubblicate oggi da La Verità: si tratta di alcuni messaggi inviati dal predecessore di Erimini al Csm (Giovanni Legnini, sempre del Pd) Palamara affinché si prendesse una posizione sul caso Diciotti. Per Salvini si tratta di “trame” contro di lui, con il leader della Lega che ha evocato di nuovo il Quirinale: “Sono sicuro che il Capo delloStato non resterà indifferente: ne va della credibilità dell’intera Magistratura”. Da registrare anche la replica di Legnini, che ha parlato di “intervento doveroso che rientra nelle competenze del Csm”.

Anche David Ermini (nominato vicepresidente Csm a fine settembre 2018) neanche 24 ore fa aveva parlato del caso Csm, definendolo un “miserabile mercimonio di pratiche correntizie” che rappresenta “l’indegno tradimento” del patrimonio di “coraggio e fiducia” dei magistrati caduti per mano del terrorismo e della mafia.

Ermini ha parlato di “scadimento morale” della magistratura, ma al contempo ha assicurato che il Csm ha “la forza di avviare un riscatto”. Anzi. A chi come Matteo Salvini che continua a chiamare in causa il capo dello Stato, per chiedergli di sciogliere il Csm di cui Sergio Mattarella è presidente, ha replica secco: “Questo Csm non deve cambiare passo perché l’ha già fatto da tempo. Nessuno si illuda chiedendo lo scioglimento che questo Csm torni indietro”.

Ora però la richiesta del Movimento 5 Stelle cambia (di molto) le carte in tavola, anche perché arriva nei giorni in cui il Guardasigilli Bonafede ha portato al tavolo della maggioranza la bozza della riforma del Csm, che “non può più attendere”, dopo il “terremoto” che ha investito la magistratura e che ha fatto emergere “dinamiche inaccettabili nell’assegnazione degli incarichi”.

Per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, che sono al centro dello scandalo, si pensa di introdurre “oggettivi criteri meritocratici”. E poi, un nuovo sistema elettorale “che sfugga alle logiche correntizie“. E ancora: “Il blocco definitivo delle porte girevoli fra politica e magistratura: chi sceglie di entrare in politica deve essere consapevole che non potrà tornare a fare il magistrato“. Sarà un regola stringente che si applicherà a chi ricopre cariche politiche elettive o di governo, anche a livello territoriale, inclusi i sindaci dei Comuni con più di 100mila abitanti. C’è anche una stretta per i magistrati che vanno a ricoprire incarichi dirigenziali nei ministeri o presso altre istituzioni e per gli ex consiglieri del Csm: per evitare che possano avvantaggiarsi di queste esperienze, non potranno concorrere per un determinato periodo di tempo per incarichi apicali. Per Bonafede non si tratta di “norme punitive” per la magistratura, tutt’altro: sono a tutela della “stragrande maggioranza” dei giudici, “che non merita di essere trascinata, come sta avvenendo, nelle squallide paludi delle polemiche”.

(Il Fatto Quotidiano)

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