20 Aprile, 2024
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La sindrome di Crono: il populismo divorerà i suoi figli

Il Movimento 5 Stelle “paga” in termini di consenso l’alleanza di governo con la Lega di Salvini

Piccola riflessione mentre ci avviciniamo alle elezioni europee e continuiamo a scandagliare il territorio osservando come stia cambiando la conformazione politica a destra alla luce dell’exploit della Lega.
Dall’insediamento del Governo Conte la crescita del partito di Salvini (ormai si deve chiamare così, vista l’identificazione quasi cresimale tra il partito ed il suo leader) è stata inversamente proporzionale sia al crollo verticale di Forza Italia ma anche al calo (lieve ma costante) dei 5 Stelle.
Se ai blocchi di partenza di questa legislatura all’insegna della campagna elettorale permanente la Lega partiva da un pur ottimo 17% e i 5 Stelle da un roboante 33% i rapporti di forza sembrano ora invertiti, stando ai sondaggi infatti sarebbero ora i “verdi” a viaggiare sul 30% ed i gialli in affanno rispetto al continuum catodico-social del Ministro dell’interno attorno al 25%.
Due dati saltano agli occhi: il blocco di governo nel suo complesso guadagna consensi (si passa da un 50% ad un 55%), secondo poi i 5 Stelle pagano di più questa alleanza.
I motivi sono vari: la legittimazione del leader in primis, mentre Salvini oggi è sovrano incontrastato del suo partito, il suo omologo Di Maio sembra maggiormente legato a dinamiche interne in cui il regista vero, Davide Casaleggio gioca una partita parallela.
Un altro elemento che salta agli occhi è che il movimento di Grillo su questa avventura di governo ci ha messo di più la faccia, ha legiferato di più ed ha avuto maggiore dinamismo in aula e nelle commissioni: nell’azione amministrativa si prendono decisioni che hanno inevitabilmente una impronta politica, ciò per un partito che ha costruito la sua fortuna su un posizionamento “nè di destra nè di sinistra” significa scontentare inevitabilmente almeno una parte dell’elettorato.
Una certa duttilità dell’elettorato di centrodestra, che trovatosi orfano del Cavaliere ha eletto Matteo Salvini nuovo leader con una compattezza e una rapidità sorprendenti.
Che un governo formatosi pochi mesi fa, con un consenso elevato e praticamente senza opposizione (Forza Italia è appesa ai destini del suo fondatore e il Partito Democratico appare ancora avvitato nel suo dibattito interno) sia ancora in luna di miele con l’elettorato è del tutto normale, il fatto però che l’unico dei due che si sia “scottato” nel rapporto di amorosi sensi col suo elettorato sia il partito che più ha messo la faccia nell’azione di governo e invece chi ha giocato di rimessa e si sia “limitato” (con grandissima perizia tattica) a incassare risultati, marcare territori simbolici (con cambi di casacca degni del miglior Arturo Brachetti) e politici (riempiendo l’assenza di competitor a destra) stia crescendo con forza fa pensare che l’offerta politica populista abbia dei limiti intrinseci: è inarrestabile in campagna elettorale, dove la bulimia di promesse intenta ad incassare ogni malessere per trasformarlo in consenso paga indiscutibilmente, nella fase di governo messa di fronte alla realtà dei fatti si scopre meno potente della sua narrazione.
Oggi il Ministro dell’interno è un re tutt’altro che nudo, ma ha bisogno di un alleato di governo che si assuma le responsabilità più scomode, di restare in campagna elettorale permanente.
Ecco perché nel rapporto di governo a dispetto di quella che è l’analisi più in voga è la Lega quella che ha meno interesse a interrompere i rapporti, anche quando il sorpasso sui 5 Stelle sarà conclamato.
Il populismo divora i suoi figli: l’idea che un leader chieda direttamente al popolo sempre più potere per “compiere il miracolo” a dispetto dei “legacci” della democrazia rappresentativa lo sovraespone dal punto di vista delle promesse e delle aspettative, ha quindi bisogno di un capro espiatorio sempre al suo fianco. Cosa ne sarebbe del “cambiamento” senza i fantomatici “poteri forti” che tentano di ostacolarlo?
Simone Pazzaglia

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