19 Dicembre, 2025
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Giovani tra schermi e realtà: intervista ad Adelia Lucattini

Generazione sempre più iperconnessa, con doppia vita nell’era digitale: realtà virtuale e realtà quotidiana, vissuta a Scuola, in Famiglia e con gli Amici, due realtà ormai intrinsecamente unite.  Un’abitudine, che se prima segnalava una tendenza, oggi è diventata invece, per molti giovani, “routine”. Ma quali sono gli effetti sulla loro identità e sui loro reali percorsi di costruzione della socializzazione? Ne parliamo in questa intervista con Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista, Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana

Lucattini: “Un messaggio che mi sento di dare ai giovani è quello di imparare a riconoscere quando è il momento di fermarsi. Se il telefono inizia a occupare troppo tempo, togliendo spazio alle amicizie, allo sport o ad attività che vi interessano, è un segnale da notare perché darsi un limite è una forma di cura verso se stessi”.

 

Intervista di Marialuisa Roscino

 Dott.ssa Lucattini, qual è la sua opinione in merito agli effetti del consumo dei social network sul comportamento degli adolescenti?

 Il rapporto tra uso dei social network e comportamento dei ragazzi va compreso integrando dimensione psichica, relazionale e neurobiologica. L’adolescenza è una fase evolutiva caratterizzata da una particolare sensibilità alle ricompense sociali e al riconoscimento da parte dei pari.

I social network funzionano attraverso meccanismi di rinforzo intermittente, like, commenti, visualizzazioni, che a livello cerebrale attivano il sistema dopaminergico e favoriscono un utilizzo ripetuto e compulsivo. La letteratura scientifica evidenzia come l’uso intensivo dei social sia associato a ridotta capacità di attenzione, maggiore impulsività e difficoltà di regolazione emotiva, con ricadute importanti sul rendimento scolastico (JAMA, 2024).

I social non sono solo strumenti tecnologici, ma diventano oggetti di investimento narcisistico: luoghi in cui l’adolescente cerca rispecchiamento, conferma identitaria e appartenenza. La continua esposizione allo sguardo dell’altro digitale può amplificare fragilità dell’autostima, ansia di esclusione (FOMO) e dipendenza dal giudizio esterno, come mostrano studi che correlano uso intensivo dei social a sintomi ansioso-depressivi (The Lancet Child & Adolescent Health).

In che modo, secondo Lei, il tempo trascorso sui social media influenza lo sviluppo sociale e psicologico dei ragazzi?

 I social network incidono in modo profondo sui comportamenti dei ragazzi perché agiscono direttamente sui processi psichici, razionali e affettivi, sia a livello individuale che gruppale. A differenza dei mezzi di comunicazione tradizionali, i social media immersivi non si limitano a trasmettere contenuti, ma coinvolgono l’identità, il desiderio e il bisogno di riconoscimento, elementi centrali nello sviluppo psichico adolescenziale.

I social diventano oggetti relazionali potenti, investiti narcisisticamente: luoghi di rispecchiamento continuo, in cui il Sé è costantemente esposto allo sguardo dell’altro. Questo può favorire dinamiche di dipendenza dal consenso, difficoltà di autoregolazione e una riduzione della capacità di attesa e simbolizzazione, soprattutto in una fase evolutiva in cui le funzioni di controllo e mentalizzazione sono ancora in costruzione.

La letteratura scientifica mostra come l’uso intensivo dei social sia associato a cambiamenti nei comportamenti, nel tono dell’umore e nelle competenze attentive (JAMA Pediatrics, 2020). Siamo di fronte a un cambiamento culturale epocale, che non può essere né demonizzato né banalizzato, ma compreso e governato attraverso strumenti scientifici, educativi e clinici adeguati.

 Se non in casi rari e particolari, i social network non accelerano realmente i processi di sviluppo psichico, che hanno tempi propri e non possono essere forzati. La maturazione della mente segue un percorso interno legato all’elaborazione delle emozioni, alla costruzione dell’identità e alla capacità di simbolizzazione, questi passaggi non possono essere anticipati da stimoli esterni, nemmeno se intensi e continui come quelli digitali.

In alcune situazioni, tuttavia, i social possono favorire l’imitazione di modelli adulti o idealizzati, come personaggi pubblici e influencer. I ragazzi possono così assumere atteggiamenti “adultomorfi” ovvero apparire adulti sul piano dell’immagine, del linguaggio o dei comportamenti, senza possedere ancora una reale maturità emotiva né una capacità di comprensione adeguata. Si tratta di una crescita più esteriore che interiore, spesso fragile, sostenuta dal bisogno di riconoscimento e appartenenza più che da una reale integrazione psichica.

I giovani sono oggi grandi utilizzatori di piattaforme come Instagram, TikTok, WhatsApp e YouTube. I social media possono certamente attivare dinamiche collettive positive, ampliando le reti amicali e favorendo forme di partecipazione e condivisione. Allo stesso tempo, però, possono amplificare anche aspetti più primitivi della vita psichica e gruppale, come l’aggressività, l’odio e il rancore, che trovano nel web un canale di diffusione rapido e poco mediato (Adolescent Research Review, 2025).

Dal suo punto di vista, in cosa i social network possono essere invece utili nella vita dei ragazzi? 

Dal punto di vista psicoanalitico, in una fase evolutiva in cui la mente è impegnata nella formazione del Sé e nella ricerca di appartenenza, i social possono offrire occasioni di esplorazione, di riconoscimento e di legame. I social media possono facilitare connessioni sociali significative, permettendo ai ragazzi di mantenere relazioni con coetanei, di ritrovare gruppi di interesse e di sentirsi parte di una comunità più ampia.

Questo è particolarmente importante per adolescenti che, sul piano offline, possono sentirsi isolati o marginalizzati: ad esempio, gruppi minoritari o ragazzi con identità poco rappresentate trovano nei social uno spazio in cui esprimersi e ricevere sostegno reciproco, rafforzando il senso di appartenenza e di valore personale (Current Pediatrics Reports, 2025). Inoltre, l’uso dei social può agevolare l’accesso democratico all’informazione, stimolare la curiosità culturale e fornire contenuti educativi o opportunità di apprendimento, dando forma a una partecipazione attiva alla realtà sociale e culturale.

Questa dimensione relazionale e simbolica, la possibilità di dare voce alla propria esperienza interna, di esplorare interessi, di sentirsi connessi con altri, può agire come una risorsa per lo sviluppo psicosociale, purché l’uso sia accompagnato da consapevolezza, limiti e mediazione adulta.

Quanto è importante, a Suo avviso, il tipo di comunicazione che si sceglie di utilizzare per dialogare sui social?

 Il tipo di comunicazione utilizzato sui social network è centrale, perché coinvolge non solo il contenuto del messaggio, ma il modo in cui il soggetto si relaziona all’altro. Fenomeni come la Second Screen TV ovvero la fruizione simultanea di contenuti su più dispositivi (smartphone, televisione, tablet, playstation) favoriscono una comunicazione frammentata, eccessivamente rapida, spesso impulsiva, che può facilmente trasformare il dialogo in scontro. L’assenza del corpo e dello sguardo dell’altro riduce i freni inibitori e facilita l’agito poiché, protetti dall’apparente virtualità, si oltrepassa più facilmente il confine tra critica e attacco personale.

La comunicazione digitale può così diventare il luogo in cui aggressività, proiezioni e vissuti non mentalizzati vengono scaricati sull’altro, senza il lavoro psichico della riflessione e della interiorizzazione. Studi recenti mostrano come stili comunicativi pressanti e polarizzati online siano associati a una ridotta capacità di autoregolazione e a un aumento dei conflitti interpersonali, soprattutto nei giovani (Computers in Human Behavior, 2025).

 I Social, a volte, vengono utilizzati anche come mezzo per esprimere impulsivamente  sentimenti di rabbia, di delusione o angoscia, crede che dovrebbe sempre essere tenuto presente un codice etico?

 Assolutamente sì. I social media non sono spazi psicologicamente neutri: diventano luoghi in cui i sentimenti negativi possono essere scaricati impulsivamente, anche in forme aggressive, quando manca un lavoro simbolico di elaborazione interna di questi vissuti. Ogni forma aggressività non gestita esprime una difficoltà del soggetto a pensare, elaborare e rappresentare emozioni complesse. Quando questi vissuti vengono espressi in modo diretto e senza filtri sui social, si perde l’opportunità di comprenderne i significati profondi, e la comunicazione rischia di ferire l’altro e impoverire le relazioni.

Per questo, un codice etico di comunicazione non è solo un insieme di regole formali o normative da accettare per “consenso”, ma diventa uno strumento di contenimento psichico poiché aiuta a trasformare l’impulso in pensiero, la reazione in riflessione, il vissuto in parola. Il linguaggio rispettoso, la capacità di ascolto e la scelta delle parole sono strumenti essenziali non solo per il buon vivere civile, ma anche per il lavoro interno di integrazione dei vari aspetti della personalità.

La letteratura scientifica recente evidenzia che stili comunicativi aggressivi online sono associati non solo a relazioni deteriorate, ma anche a un peggioramento della vita interiore e a un aumento di sintomi ansioso-depressivi tra gli adolescenti, sottolineando l’importanza di normative chiare e di un uso “etico” della comunicazione digitale (Journal of Adolescent Health, 2025).

 Quali consigli si sente di dare ai genitori dei ragazzi che sono sempre chiusi in stanza, immersi nei social network?

-Dare limiti chiari e prevedibili. Il limite non è una punizione è necessario per aiutare i ragazzi a regolare il tempo e l’eccitazione;

-Interessarsi con discrezione alle amicizie dei figli. È fondamentale mantenere uno sguardo attento e continuo sulle relazioni, sia online sia offline, senza controlli persecutori. Permette di cogliere segnali di disagio, isolamento o conflitto;

-Conoscere gli strumenti digitali. Imparare il funzionamento tecnico dei social, anche facendoselo spiegare dai propri figli, consente di offrire indicazioni sui contenuti, sui tempi e sui modi d’uso, rafforzando l’autorevolezza genitoriale;

-Attivare il parental control. Utilizzare i sistemi di controllo parentale su smartphone, tablet e console non è un’invasione, ma una forma di protezione necessaria, soprattutto quando l’autoregolazione dei figli è ancora fragile;

-Favorire esperienze alternative interessanti. Proporre senza timore, attività sportive, ricreative, culturali e relazionali (musica, teatro, cinema, passeggiate, feste) aiuta a distribuire il tempo tra diverse esperienze, sostenendo uno sviluppo equilibrato e riducendo la centralità esclusiva del mondo digitali.

E ai giovani?

 -Conoscere come funzionano davvero gli strumenti tecnologici. Imparare la programmazione e il coding, attraverso i corsi proposti a scuola o quelli scelti autonomamente, aiuta a passare da utenti passivi a soggetti consapevoli. Capire come funziona un mezzo e il mondo, riduce il rischio di esserne dominati, raggirati, aggrediti;

-Imparare a riconoscere quando è il momento di fermarsi. Se il telefono inizia a occupare troppo tempo, togliendo spazio alle amicizie, allo sport o ad attività che vi interessano, è un segnale da notare perché darsi un limite è una forma di cura verso sé stessi;

-Incrementare i rapporti di persona. Incontrarsi, condividere esperienze reali, guardarsi negli occhi resta fondamentale per il benessere emotivo;

-Dare parola alle emozioni difficili. Se vi sentite tristi, arrabbiati, delusi o angosciati, parlatene con i genitori o con amici fidati. Le emozioni non vanno scaricate online, ma comprese e condivise con chi avete vicino;

-Rivolgersi a un professionista se il disagio persiste. Se parlare con le persone vicine non basta, chiedere aiuto a uno psicoanalista è un atto di forza, non di debolezza. Serve a capire meglio ciò che accade dentro di voi e a stare meglio.

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