6 Dicembre, 2025
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I racconti d’inizio settimana: Il viale del tramonto

Stavamo attraversando l’anno 1981 e Antonio si trovava, con la sua Fiat Cinquecento, con un microfono in mano e l’altoparlante fissato sul tettuccio dell’auto, di fianco al passaggio a livello che taglia in due via Principe di Napoli, proprio all’inizio di viale Odescalchi.

L’altoparlante era rivolto verso l’altra parte della strada, tra l’eterno negozio di Materiale Elettrico di Maria Grazia Jadicicco e l’ingresso principale della scuola elementare intitolata a Tommaso Tittoni, un importante uomo politico nato nel 1855 e morto a Manziana il 7 Febbraio del 1931, importante perché dal 6 Agosto 1881 al 31 Dicembre del 1886 fu consigliere provinciale eletto nel mandamento di Bracciano, poi arrivò ad essere Presidente del Consiglio e Ministro della difesa ad interim, per pochi giorni, dal 16 al 27 Marzo del 1905 e tra tanti altri incarichi fu Presidente del Senato dal 1919 al 1929.

Nel 1929 Tommaso Tittoni fu il primo Presidente dell’Accademia d’Italia, l’istituzione culturale fondata da Benito Mussolini per promuovere il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti e per conservare puro il carattere nazionale secondo il genio e le tradizioni della stirpe. Fu lo stesso capo del governo Benito Mussolini a intervenire nell’aula del parlamento in occasione della commemorazione avvenuta il 16 Marzo 1931 e lo ricordò come la più  alta figura di più alto rilievo politico-morale che si schierò senza indugio tra le file dei sostenitori della rivoluzione fascista.

Lo dico sottovoce ma questo Tommaso Tittoni non mi è mai sembrato una personalità meritevole di essere ricordata sui muri di una scuola elementare dove la solidarietà e il rispetto per gli uguali e per i diversi dovrebbero essere presenti nell’aria che si respira tra i banchi delle aule.

Tornando al nostro Antonio, egli aveva parcheggiato la sua auto in quella parte del paese non per puro caso ma perché quello era ritenuto un posto strategico: in quegli anni viale Odescalchi, meglio conosciuto come il viale della stazione o più semplicemente il viale, veniva, tutti i pomeriggi, chiuso al traffico ed era il posto in cui i cittadini di Bracciano erano soliti trascorrere qualche ora passeggiando.

Il viale continuava a essere piuttosto frequentato, anche se iniziava a perdere un po’ del fascino che possedeva qualche anno prima, intorno alla metà degli anni settanta, quando sulla sua destra, andando verso la stazione ferroviaria, si cominciava ad affrontare la prima vasca guardando, solo per curiosità, un piccolo salone che esponeva, all’interno di grandi vetrine, una, al massimo due, automobili Fiat della Concessionaria dei Fratelli Flamini.

Subito dopo, proprio in mezzo, tra Raffaele il parrucchiere e le estetiste Sorelle Flamini (due locali per sole donne), c’era la pizzeria al taglio del sor Antonio che preparava e infornava nel forno elettrico, in bella vista, ogni tipo di pizza ma soprattutto la famosa pizza bianca, sempre calda perché veniva consumata in continuazione, servita sempre da Rossella Baldi, una tappa obbligata.

Proseguendo verso la stazione, accanto alle estetiste, c’erano i barbieri Fefo e Sandro, questa volta un locale per soli uomini, poi, continuando a passeggiare, si potevano ammirare le spiritose vetrine di Peter Sport, quelle belle e austere della farmacia, appena diventata Morelli e i seriosi mobili D’Achille, in elegante mostra.

Un poco più avanti, a metà del viale, c’era il bar Splendore di Giorgio Ernesto, dove potevi gustare, tra le altre cose, il suo famoso gelato artigianale. Il nome del proprietario era Ernesto Giorgio, ma a pronunciarlo nel modo giusto, ancora adesso che il bar non c’è più, suona male.

Si arrivava così, dopo essere passati davanti all’oscura sede dell’Enel, al secondo bar, quello di Socrate Pontanari. Si chiamava La fiorita e i due bar di viale Odescalchi, d’estate, avevano i tavolini, tra una fila di alberi, sul marciapiede del lato opposto, il lato che continua a costeggiare la ferrovia. Proprio di seguito al bar, si trovava l’ultimo negozio del viale, sempre di proprietà di Socrate Pontanari, si chiamava Music Market, ma per noi quello era il vero e unico negozio di Socrate, (…ci vediamo da Socrate! L’ho comprato da Socrate! Oggi Socrate è chiuso!), era il negozio di dischi, luogo magico e incantevole per tutti noi amanti della musica.

Il viale chiuso al traffico terminava li, poco prima del parcheggio tra l’ingresso della stazione ferroviaria e a uno dei tre ingressi del giardino comunale. Il posto che aveva scelto Antonio per presentare al pubblico lo scandalo di un concorso truccato, era il luogo dove gli abitanti di Bracciano continuavano a essere soliti dedicarsi allo struscio e li, in quel luogo, in quei non più di duecento metri, sono iniziate, spesso continuate e a volte anche finite, molte storie d’ amore.

Credo che molti figli di Bracciano siano stati il prodotto delle continue vasche del viale della stazione.

La tecnica era raffinata ma antica come il mondo: s’iniziava con furtive ma ripetute sbirciate poi, quando si trasformavano in sufficienti sguardi ricambiati, ci si presentava, con qualche piccola scusa o con la complicità, a volte involontaria, di un amico comune, animati da un cauto ma giustificato ottimismo e se tutto fosse andato bene, dopo un congruo numero di vasche condivise, si finiva su una panchina dei giardini pubblici, cercando di approfondire la conoscenza.

Mentre i ragazzi più grandi, la conoscenza, in maniera molto più dettagliata, la approfondivano presso il Club Sabatino, un locale dove si ballava, a volte anche con musica dal vivo, suonata da gruppi locali.

Il club si trovava alla fine di via dei giardini, subito dopo aver oltrepassato il parcheggio della stazione ferroviaria. Per molti di noi quel locale, a causa della nostra giovane età, era un luogo inaccessibile, ignoto, ma spesso raccontato dagli adulti e, forse proprio per questo motivo, sviluppava in noi erotici pensieri e galoppanti fantasie, strumenti necessari per svolgere, nel migliore dei modi, l’unica attività sessuale possibile a quell’età. Qualche tempo dopo, non ricordo in quale occasione, forse una festa di compleanno, entrai per la prima volta nel famigerato locale. Ricordo solo un basso soffitto, poche luci soffuse, un ritmo musicale lento, ballato molto stretto con una ragazza sconosciuta, mi disse di chiamarsi Raffaella e continuò a essere sconosciuta.

Oggi tutto questo non esiste più perché le persone hanno smesso di passeggiare sul viale della stazione, quello che chiamavamo viale. Adesso i punti di ritrovo dei cittadini sono diversi, collocati in diversi angoli delle strade e delle piazze, anche perché, con il passare degli anni, il nostro paese ha avuto un rilevante aumento della popolazione e quindi delle aree abitate.

Eppure, ancora oggi, le rare volte che lo attraverso a piedi, mi sembra di sentire l’insieme delle voci, la moltitudine degli odori, il rumore dei passi lenti o delle corse più sfrenate, accompagnate dalle risate spesso spontanee o dai pianti soffocati dalla paura di essere scoperti. Sono il ricordo di tante persone, alcune delle quali oggi non ci sono più ma che continuo ad ascoltare tutte assieme, perché le ho sempre considerate appartenenti al mio mondo anche senza averle conosciute tutte, ma sufficientemente sfiorate ogni giorno, in quelle poche ore in cui il viale diceva no al passaggio delle auto. E mi sembra di scorgere Antonio che si allontana in silenzio, con la sua Fiat Cinquecento, dopo un breve intervento di pubblica denuncia, ascoltato da pochi ma con la certezza di aver fatto il proprio dovere, raccontando una verità, per molti, ancora scomoda.

Lorenzo Avincola  

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