31 Dicembre, 2025
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Era una donna nuova

La mezzanotte di San Silvestro era già lontana.

Il terrazzo respirava piano. Avevano bevuto quanto bastava per non avere fretta, per lasciar scivolare le frasi senza difese. Non si guardavano sempre, ma, quando accadeva, lo facevano fino in fondo.

Lei rimase in silenzio più del necessario. Poi abbassò gli occhi, come se stesse cercando il punto esatto da dove cominciare. Quando li rialzò, c’era in lei una calma nuova, una fermezza gentile. La voce era morbida, attenta, come quando si tocca una cicatrice che non fa più male, ma non si vuole dimenticare.

«Tutti pensano che la mia vita sia stata una salita luminosa,» disse. «Una di quelle storie lineari, senza inciampi. Studio, concorso, cattedra. A ventitré anni avevo già vinto tutto quello che sembrava contare.»

Sorrise appena.

«Ero la più giovane del dipartimento. Mi guardavano come si guarda una promessa. Io, invece, mi sentivo… vuota. Non infelice. Sola. Come se avessi lasciato indietro qualcosa senza accorgermene.»

Fece una pausa breve. Un mezzo sorriso. Si strinse appena nelle spalle e riprese.

«Poi ho incontrato lui. Un collega. Più grande di me, più sicuro. Aveva quella tranquillità che allora mi mancava. Con lui avevo l’impressione di potermi appoggiare, di smettere per un attimo di reggermi da sola.»

Inspirò lentamente.

«Era brillante, spiritoso, affascinante. Dopo sei mesi mi chiese di sposarlo. Risposi di sì, perché credevo che l’amore fosse quello: stabilità, ammirazione, una casa piena di quadri e di silenzi ben educati. Perché era quello che si faceva.»

Si fermò, come se stesse pesando le parole.

«Non posso dire che non avesse qualità. Ne aveva molte. Ma non c’era spazio per me. Non per quello che pensavo. Non per come parlavo. Non per la mia mente.»

«Ti amava?» le chiese, con una delicatezza che non pretendeva risposta.

Sorrise, ma il sorriso aveva qualcosa di stanco.

«Mi mostrava.» rispose «Come si mostra un oggetto prezioso: mi portava con sé, mi faceva sedere accanto, mi comprava vestiti eleganti, scelti con cura. Ma non mi ha mai chiesto davvero cosa pensassi. Non mi ha mai guardata come se fossi più di ciò che appariva.»

«E l’intimità?» domandò, con cautela, esitando un istante con voce appena percettibile

«Era fatta di abitudine.» rispose, cercando le parole, «Non di scoperta. Non di desiderio. Solo di gesti ripetuti, di una normalità che io mi sforzavo di chiamare equilibrio.»

Abbassò lo sguardo. Poi proseguì:

«Mi dicevo che era così per tutti. Che la bellezza bastava. Che il silenzio, col tempo, fosse naturale.»

Tacque un momento, poi continuò, come se stesse finalmente alleggerendo qualcosa.

«Poi è arrivata lei. Una donna diversa da me. Più diretta. Più evidente. Più disposta a offrirsi senza riserve.»

Scosse la testa e seguitò:

«In lei, aveva trovato ciò che non cercava in me. Non la mia ironia, non la mia curiosità, non il mio desiderio. Gli piaceva quel modo semplice di sedurlo, di compiacerlo. Il corpo che si adatta, non la mente che domanda.»

Le strinse la mano. Non per consolarla, ma per esserci.

«E tu?» chiese piano.

«Io sapevo di non valere meno.» rispose «Forse nemmeno di valere di più. Sapevo solo di essere diversa. Ma lui non voleva la complessità. Voleva ciò che era immediato, visibile, facile da tenere.»

Si riscosse leggermente, come tornando al presente.

«Così l’ho lasciato. Non per rabbia. Non per orgoglio. Ma perché non potevo più tradirmi. Non sono fatta per essere solo guardata. Sono fatta per essere vista.»

Respirò a fondo.

«Da allora ho scelto me. Non in modo eroico. In modo necessario.»

Il silenzio che seguì non era vuoto. Aveva una densità luminosa, come se qualcosa si fosse finalmente ricomposto.

«Avete litigato?» le chiese, sfiorando il limite della domanda.

«No.» rispose «Ed è stato questo il punto. Non c’era più nulla da difendere. Solo indifferenza.»

Esitò un attimo.

«Un giorno vidi un rossetto sulla sua camicia. Non era il mio. Era più acceso, più vistoso. Ci siamo guardati e abbiamo capito. Nessuna scena. Nessuna rabbia. Ci siamo separati come due persone che avevano condiviso un tratto di strada e poi si erano perse.»

Fece un ultimo respiro, lento.

«Ora sono sola. Libera.

Forse lui è sereno. Io… io lo sono a tratti.

A volte la libertà pesa. Ma almeno è mia.

Passò qualche mese. Era ormai settembre. Roma aveva una luce più lenta, come se l’estate stesse cercando una scusa per restare ancora un po’. Anche quella mattina mi svegliai sola. Ma questa volta me ne accorsi senza sorpresa. E senza paura, o forse con qualcosa che le somigliava solo da lontano. O forse sì. Ma per la prima volta non mi importava.

Mi alzai dal letto e camminai nuda fino alla finestra. Il pavimento era fresco sotto i piedi. Il sole mi sfiorò, piano, come fa con le cose che conosce già.»

«Ti sei sentita vista?» le chiese, dopo un istante.

Scosse appena la testa.

«Mi sono sentita mia.»

Raccontò che aveva preparato il caffè in silenzio. Che lo aveva bevuto lentamente, senza controllare il telefono. Si era vestita con ciò che trovava, senza pensarci troppo. Non si era truccata. Non per scelta, ma perché non ne sentiva il bisogno e, uscita di casa, aveva avuto la sensazione strana che ogni passo fosse leggermente diverso dal solito, come se non dovesse più anticipare nessuno, né spiegarsi.

«Camminavo e basta» spiegò «e, per la prima volta, non avevo l’impressione di dover piacere a qualcuno. Nemmeno a me stessa.»

Le sfiorò il braccio, senza interromperla:

«E poi?»

«Sono entrata in una libreria. Non avevo in mente niente di preciso.» sorrise appena «Ho preso un libro di poesie. Uno qualsiasi. L’ho aperto a caso, come si fa quando non si vuole decidere troppo.»

Fece una pausa.

«La frase mi è arrivata addosso prima ancora che riuscissi a pensarla: “Non sono fatta per essere tenuta. Sono fatta per essere capita.” Ho sentito qualcosa sciogliersi. Ho pianto lì, tra gli scaffali. Non per tristezza. Per riconoscimento.»

Si voltò. Aveva gli occhi lucidi, ma tranquilli.

«Quel giorno ho capito che non dovevo più portare la mia bellezza come un dovere. Che il mio corpo non era una vetrina. Che non dovevo aspettare che qualcuno mi guardasse, per sentirmi reale.»

Abbassò lo sguardo.

«Non è stato un momento eroico. È stato silenzioso. Ma definitivo. È lì che ho smesso di fingere di non saperlo.»

Le si avvicinò, le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.

«Io ti ho vista così.» le disse piano. «Non perché stessi cambiando. Ma perché finalmente non stavi più chiedendo permesso.»

Si sentì stringere la mano. Dopo molto tempo, le parve abbastanza e chiuse gli occhi.

Il silenzio si fece denso, abitabile. Su quel terrazzo non era più soltanto una donna che raccontava una storia. Era una donna che si era detta la verità, a bassa voce, e che, per la prima volta, le aveva creduto.

Sciolse la mano, ringraziò con gli occhi e se ne andò via da sola, verso il nuovo anno, verso un nuovo futuro, a testa alta. Era una donna nuova.

 

Riccardo Agresti

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