Nel cuore del presepe, tra statuine immobili e gesti meccanici che si ripetono come un respiro trattenuto, si cela un mistero che affonda le radici in uno dei passi più poetici del “Protovangelo di Giacomo”: la miracolosa e straordinaria sospensione del tempo nel momento della nascita di Gesù.
“Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai l’aria. La vidi colpita da stupore. Guardai verso la volta del cielo e la vidi fissa, e immobili gli uccelli del cielo. Guardai sulla terra e vi vidi un recipiente e degli operai coricati con le mani dentro, ma quelli che prendevano il cibo non l’alzavano, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano, quelli che masticavano non masticavano, i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Le pecore, spinte innanzi, invece stavano ferme, il pastore alzava la mano per percuoterle, ma la sua mano restava ferma in aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso.” (18, 2-3).
Il passo è quasi una descrizione fotografica della scena, un’istantanea cosmica, la cui fissità vuole rendere eterno l’incanto dell’intero universo che trattiene il fiato in questo momento magico, inchiodato dal silenzio nell’istante in cui la vita rinasce ancora una volta. Nel Presepe ogni statuina immobile diventa allora simbolo di quell’istante eterno e ogni gesto congelato rimanda alla sospensione universale descritta negli apocrifi.
Il prodigio dell’immobilità della Natura, citata nel “Protovangelo di Giacomo”, è riportato anche dal “Vangelo dell’infanzia armeno” (1,73), di stesura successiva, che aggiunge, per bocca della levatrice presente all’evento, l’ulteriore miracolo: il dettaglio del diffondersi, nella grotta, del profumo soavissimo di una essenza sconosciuta. Nella tradizione bizantina e orientale, il tema del profumo miracoloso è spesso associato alla presenza divina: l’”odore di santità” diventa segno tangibile della grazia.
Ogni volta che si rievoca questo evento, ci si ritrova in un pensiero vertiginoso: se potessimo sostituirci a Giuseppe, che senso avrebbe fermare il flusso del tempo? Cosa proveremmo in un mondo cristallizzato, dove tutto è immobile, senza voce, senza calore? Saremmo vivi, o prigionieri di un’eternità senza contatto?
Questa immobilità miracolosa riecheggia nelle leggende della notte incantata, racconti in cui la meraviglia si intreccia con il soprannaturale e la magia della nascita si espande, trasfigurando il mondo. Sono storie di eventi straordinari, in cui la luce del bene trionfa e fa sbocciare rose tra la neve, fa scaturire vino e olio dalle fontane, rivela il segreto linguaggio degli animali, trasforma la foresta oscura in un giardino di splendore, e ammansisce i lupi perché possano avvolgere gli agnelli in un abbraccio di calore, sotto la volta stellata di una notte che risplende come il giorno.
Sono leggende che parlano della forza dell’amore e della pace, di un’armonia che per un istante sembra estendersi ovunque, persino nel nostro mondo tormentato dall’ignoranza e dal rancore, in cui troppi vedono nella guerra l’unico rimedio ai conflitti. In quell’attimo eterno, mentre il tempo trattiene il respiro, la bellezza di un universo riconciliato si lascia intravedere, come se fosse possibile, anche solo per un battito d’ali, riscrivere il destino dell’umanità. È la visione di un mondo riconciliato, dove l’amore disarma l’odio e la luce dissolve le tenebre.
La “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine riporta altri eventi straordinari:
“Infatti in quella notte stessa l’oscurità si trasmutò nella luminosità del giorno. Anche a Roma – come attestano Orosio e papa Innocenzo III – una fonte d’acqua prese a versare olio e sgorgando defluì fino al Tevere e proruppe abbondante per tutto il giorno: ora lì si trova Santa Maria in Trastevere” (De Nativitate Domini 6, 82-83)
“Infatti in quella notte, come attesta Bartolomeo nella sua compilazione, le vigne di Engaddi, che producono balsamo, fiorirono, fecero spuntare il frutto e produssero il loro balsamo” (De Nativitate Domini 6, 111)
In particolare, la copiosa fonte termale di Engaddi (oggi Ein Gedi), sulle rive del Mar Morto, alimenta oggi un boschetto di tamerici e acacie, nonché qualche arbusto di Calotropis procera (il celebre “pomo di Sodoma”). San Bernardo, nel suo commento al “Cantico dei Cantici”, che in 1,14 cita le vigne nei pressi di questa fonte, afferma che non vi crescevano viti produttrici di vino, ma piante da balsamo, gestite dalla gente locale come se fossero vigne.
Da sempre, la fantasia popolare ha creato leggende per dare forma all’inspiegabile, addomesticare l’ignoto, comprendere ciò che la mancanza di una spiegazione razionale lasciava avvolto nel caos, generando ansia e paura. Era un modo per rendere familiare la stranezza e cercare di offrire una spiegazione logica a ciò che altrimenti sarebbe rimasto ignoto e incomprensibile. La straordinarietà, l’eccezionalità, la magia stimolano la fantasia e la memorizzazione di eventi e concetti. Questo aspetto è una funzione del presepe da non trascurare: con i suoi prodigi rappresentati, permette di insegnare la morale, ricordare i modi per prevenire i rischi e imparare ad amare.
In questo senso, il presepe non è solo un ricordo della nascita di Gesù, ma un manuale simbolico di sopravvivenza culturale, che insegna come affrontare il mistero della vita e della morte attraverso la bellezza, la memoria e la speranza.
Brano tratto dal libro “Il senso nascosto del Presepe” disponibile solo on line al link: https://bookabook.it/libro/il-senso-nascosto-del-presepe/
Riccardo Agresti


