Speranze, desideri, aspettative e visioni all’alba della vita
In questi giorni che precedono il Natale, sullo sfondo di tante persone che freneticamente vanno, fanno, comprano, ridono o si arrabbiano, cercano e trovano, parlano e gridano, si baciano e litigano, il mio sguardo cerca i bambini.
Sullo sfondo, appunto.
Forse è il mio bambino interiore a cercarsi in quelle innocenze poliedriche e belle, l’adulto saggio che sa ritornare al tempo beato dell’immediatezza, fatto sta che m’incanto, smarrisco la razionalità imposta dall’adultesimo per perdermi nel pulviscolo dei sogni a occhi aperti.
Mi chiedo se quegli occhietti puliti e quelle manine trascinate dalla frenesia dei loro conduttori credano ancora a Babbo Natale, a quel vecchio buono che vola di tetto in tetto nei cieli freddi che precedono la Santa Notte; mi chiedo se qualcuno gli insegni a scrivere la letterina con i propri desideri, da mettere sotto il caminetto (o sotto la cappa aspiratrice dei fornelli se il caminetto non c’è).
Li guardo, i bambini, sanno ridere per nulla, sorridere a prescindere, trovare entusiasmo nelle condizioni peggiori, con una farfalla che vola, una palla che rotola, una caramella o un fischietto; li guardo e mi sembra di leggerli i loro pensieri, scritti in stampatello ordinato su quaderni a quadretti grandi e le cornicette curate.
Il Natale è la festa di un Bambino che nasce e che cambierà la storia del mondo; ma non è, in fondo, la storia di ogni bambino che nasce, non contribuirà a cambiare a sua volta la storia del mondo con ciò che farà e come lo farà?
In ogni ‘oh’ di stupore c’è la favola delicata di ciò che è ancora possibile, una vocale aspirata e pronunciata a bocca aperta che può ribaltare le logiche corrotte dell’insensibilità, del cinismo, dell’utilitarismo.
In quegli sguardi apparentemente distratti ma in realtà persi a cercare un folletto o una fata, c’è la richiesta di più tempo e meno giocattoli, più racconti e meno silenzi, più calore di abbracci e meno luce fredda di schermi tecnologici.
Il Natale visto con i loro occhi è un abete altissimo e pieno di sfere di vetro che arrivi fin su, su, su,…su, per poter affidare le suppliche a un cielo che sia per tutti casa e serenità, pacificazione e uguaglianza.
Il Natale visto con i loro occhi è il Natale che vorrei, vorremmo tutti noi schierati nelle moltitudini dei giusti, una festa senza lacrime, senza privazioni e senza notti insonni squassate da fragori e lampi di bombe e temporali.
Una festa di case e non di cose, di legami e non di molliche disperse nel bosco, di adulti che sappiano esserci e non divagare; forse questo è il Natale che vogliono i bambini, meravigliosi, unici, impareggiabili cacciatori d’infinito.
Una richiesta. Un desiderio. Un rimprovero, per adulti che corrono dietro al Natale dalle luminarie senza luci e senza futuro.
Gianluca Di Pietrantonio


