5 Dicembre, 2025
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Donnafugata – Tra realtà e fantasia la leggenda di Bianca di Navarra (parte 2 di 7)

 

Bianca di Navarra

Bianca di Navarra, figlia del re Carlo III il Nobile e di Eleonora di Castiglia, restò nuovamente sola nella stanza, ma ora cominciava a comprendere tutto.

Bianca era nata a Pamplona il 6 luglio 1387. Cresciuta tra le mura austere e incantate del castello di Olite, si era appassionata precocemente allo studio, nutrendo la mente con filosofia, lettere e scienze, imparando a leggere la realtà con lucida intelligenza e spirito critico.

Molto bella e dotata di tutte le virtù”, la giovane principessa, raffinata, colta e di straordinaria grazia, fu scelta a soli quindici anni come sposa di Martino il Giovane, re di Sicilia, vedovo e di età quasi doppia rispetto a lei, che la condusse tra le corti aragonesi e le città siciliane, dove il sole aveva un altro calore e il mare un altro respiro.

Bianca aveva imparato rapidamente la nuova lingua, abbracciando con curiosità e interesse la cultura siciliana e le usanze dell’isola. Il popolo siciliano, col suo calore viscerale, aveva visto in lei non solo una sovrana, ma una donna che parlava con gli occhi e ascoltava con l’anima e l’aveva accolta come una regina e come una figlia. Aveva accolto quella giovane regina con l’amore che il Sud sa offrire: un amore ardente, che si dona senza riserve.

Bianca, aperta alla vita e al cuore della gente, aveva ricambiato con affetto sincero e gesti di profonda umanità, conquistando il rispetto e la devozione dei siciliani.

Le nozze erano state celebrate nella splendida cattedrale di Palermo con fasto e solenni festeggiamenti. Tuttavia, la vita coniugale si era rivelata presto amara. Martino preferiva le braccia catanesi, tradendola con leggerezza e crudeltà, e aveva generato figli da altre donne, mentre Bianca, in cinque anni, aveva subito tre dolorosi aborti e perso un figlio di otto mesi.

Queste perdite, unite all’umiliazione di vedere Martino ostentare i suoi figli illegittimi, l’avevano condotta a una profonda crisi dell’anima, un abisso di dolore silenzioso e dignitoso.

Eppure aveva saputo rialzarsi con fierezza e lucidità, sostenuta dall’amore del popolo e dalla sua indomita intelligenza.

Alla morte di Martino, il suocero Martino il Vecchio le aveva affidato pieni poteri come “Vicaria del Regno di Sicilia” e Bianca aveva governato con fermezza, giustizia e straordinaria competenza, mantenendo il controllo totale sull’amministrazione, le finanze e la giustizia.

In un mondo dominato da uomini e da lotte dinastiche, aveva brillato come una stella solitaria e autorevole, dimostrando abilità politica, saggezza diplomatica e una visione moderna del potere. Aveva riformato le finanze, amministrato la giustizia e placato le lotte dinastiche. Il popolo la chiamava “la regina che ascolta” e i nobili la temevano per la sua lucidità. Bianca era la visione di ciò che il potere femminile poteva essere, in un’epoca che lo negava.

 

Bernardo di Cabrera

Dopo la morte del suocero, Martino il Vecchio, nel 1410, Bianca di Navarra aveva continuato a esercitare un ruolo centrale nel governo del Regno di Sicilia. Ma la sua presenza al potere, in quanto donna, non era gradita a molti potenti che ambivano all’autonomia o al trono stesso.

Fra questi, il più insidioso e temuto era il conte di Modica, Bernardo di Cabrera y Foix, uno dei più potenti feudatari della Sicilia del XV secolo, uomo astuto e spietato, che le aveva chiesto di divenire sua moglie, con l’intento di impadronirsi del regno, ma che Bianca aveva rifiutato, con un atto di coraggio e autonomia, raro per una donna dell’epoca.

Durante un viaggio nelle campagne di Ragusa, Bianca, accompagnata da una piccola scorta, si era trovata sorpresa da una minaccia di tempesta improvvisa proprio nei pressi della tenuta di Donnafugata del conte Cabrera. Nuvole nere come presagi di morte avevano improvvisamente oscurato il cielo mentre il vento urlava tra gli ulivi come se volesse avvisarla di qualcosa.

Per ripararsi, aveva chiesto ospitalità al conte, che l’aveva accolta nel suo castello con una generosità tanto ostentata quanto evidentemente falsa.

La scorta era stata sistemata in un casale vicino, mentre Bianca era stata invitata a un sontuoso pranzo, con tutti gli onori dovuti a una regina. La tavola era imbandita con raffinatezze, ma l’atmosfera era stranamente gelida, come se ogni sorriso celasse un pugnale.

Durante il banchetto, Bianca aveva notato che il vino dolcificato, servito con insistenza, aveva tuttavia un retrogusto amaro e pungente, come il sospetto che le cresceva nel cuore, ma non era riuscita a reagire: in poco tempo il mondo le era divenuto ovattato, i pensieri confusi, la memoria sfocata.

 

Drogata

Ora che si era risvegliata, cominciava a comprendere che nel calice di vino le era stato mescolato un infuso di qualche droga. Forse mandragora oppure oppio, o forse la pericolosa belladonna. Le dosi, per fortuna, erano state minime: sufficienti a renderla inerme, a cancellare il ricordo di ciò che accadeva, ma non a ucciderla.

Ora, la sua scorta, ignara del tradimento, non sarebbe potuta intervenire.

La sua mente cominciava a schiarirsi, dolorosamente e a fatica, ma finalmente poteva ragionare. Aveva compreso immediatamente il senso della corda e del vestito, il motivo della sua prigionia e chi l’aveva voluta rinchiudere, non per punirla, ma per piegarla.

Ma la chiave, nascosta tra le pieghe, era evidentemente una promessa. Ma di chi e di cosa?

La verità le si era comunque presentata come una lama fredda: il conte Bernardo l’aveva posta davanti a due sole possibilità.

 

 

 

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Riccardo Agresti

 

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