5 Dicembre, 2025
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8 Il sapere in Cina tra regole e rivoluzioni (il mio viaggio in Cina)

Parlare di bambini in Cina significa attraversare decenni di politiche demografiche, trasformazioni sociali e scelte educative che hanno modellato il volto del Paese. La celebre politica del figlio unico, le famiglie che violavano la regola dovevano pagare multe salate, introdotta nel 1979 e ufficialmente abolita nel 2015, ha lasciato un’impronta profonda. Con alcune eccezioni, per le minoranze etniche o per le coppie rurali con una figlia femmina, la regola ha limitato la natalità per contenere l’esplosione demografica. Ma come spesso accade, ciò che nasce come soluzione può diventare problema. Dal 2016 è stato consentito avere due figli, dal 2021 tre.

Oggi, i figli unici ereditano spesso due o tre abitazioni, e possono vivere di rendita. Ma il rovescio della medaglia è evidente: i giovani non vogliono più sposarsi né avere figli, e la Cina si trova ora ad affrontare un calo della natalità e un rapido invecchiamento della popolazione. Un paradosso demografico che preoccupa il governo e che ha spinto verso nuove politiche di incentivo alla genitorialità.

Il sistema scolastico obbligatorio cinese è strutturato in sei anni di scuola primaria e tre di scuola secondaria di primo grado. Le giornate scolastiche iniziano alle 7:30 e terminano alle 17:30, con pranzo, riposo e ripasso inclusi. Ma la vera sfida arriva dopo: l’accesso alle scuole superiori è estremamente selettivo e gli studenti spesso studiano fino alle 22:00. L’università? Ancora più difficile. In passato solo il 2% degli studenti riusciva ad accedervi superando il Gaokao, l’esame nazionale di accesso all’università che dura due giorni, copre materie come cinese, matematica e inglese ed è considerato uno degli esami più difficili al mondo. Oggi si è superata la soglia del 50%.

Chi riesce a entrare in università ha ottime prospettive, anche se oggi lo stipendio medio si aggira attorno ai 1.000 euro mensili. Tuttavia, il costo della vita è contenuto, soprattutto per cibo e servizi, che sono di qualità e accessibili.

Le guide turistiche che parlavano italiano mi hanno raccontato le difficoltà nell’apprendere la nostra lingua: il suono “r”, che non esiste in cinese, e la complessità della grammatica. Ma anche il cinese non è una passeggiata: il dizionario Zhonghua Zihai contiene oltre 85.000 caratteri, e per essere considerati alfabetizzati bisogna conoscerne almeno 2.000.

E qui arriva una scoperta affascinante: i cinesi scrivono sul cellulare con tastiere latine. Usano il pinyin, un sistema fonetico creato da Zhou Youguang nel 1958, che trascrive la pronuncia dei caratteri usando l’alfabeto latino. Digitano la pronuncia, e il cellulare suggerisce il carattere corretto. Il pinyin fu creato da Zhou Youguang nel 1958, usato per insegnare la pronuncia e digitare i caratteri, è il sistema ufficiale di romanizzazione del cinese ed i bambini lo imparano prima dei caratteri tradizionali.

Per i cinesi, se devono portare il conto con le dita, è sufficiente utilizzare una sola mano. Ecco un link che illustra l’ingegnoso metodo: https://www.youtube.com/watch?v=Tc8KYyL9mHY

Una pratica scolastica che mi ha colpito e che ritengo sarebbe molto utile anche in Italia è quella della lettura condivisa tra genitori e figli. Dopo aver letto un testo insieme, entrambi devono scrivere un commento da pubblicare nella chat della classe, visibile a insegnanti e altri genitori. Un modo per coinvolgere la famiglia, monitorare il livello culturale e responsabilizzare chi critica il sistema scolastico.

In Cina, l’educazione non è solo una questione di libri e voti. È un sistema che riflette la storia, le sfide e le ambizioni di un’intera nazione. E per chi viaggia con occhi aperti, ogni scuola, ogni tastiera, ogni sorriso di un bambino diventa una lezione da portare a casa.

Riccardo Agresti

 

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