23 Marzo, 2025
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Quando la storia è maschilista

Dopo avere gestito per oltre 20 anni il governo egizio, donando alla popolazione pace e abbondanza, il nome della regina Hatshepsut fu cancellato e solo casualmente gli storici sono riusciti a ricostruirne la storia. Il motivo di questa damnatio memoriae? Era una donna e di una donna che abbia gestito bene il potere non si deve perpetuarne il ricordo. Ma di quante altre donne quel ricordo è perduto? Quante donne sono state bruciate sul rogo e quante infamate solo perché non si poteva accettare che fossero pari, se non migliori, degli uomini?

Nella giornata internazionale della donna, l’Associazione “Forum Clodii”, dal 2018, con questa sesta edizione ha voluto ricordare figure femminili del passato e, nella splendida cornice della Sala degli Avi del Museo di Palazzo Altieri ad Oriolo Romano, brillantemente presentate dalla dottoressa Elisabetta Mori, tre bravissime e chiarissime relatrici, le docenti universitarie Anna Esposito (Università La Sapienza di Roma), Claudia Bischetti (Università La Sapienza di Roma) e Loredana Lorizzo (Università Chieti Pescara), hanno ricostruito, sulla base della loro ricerca e dello studio di documenti storici (corrispondenze, atti notarili eccetera), chi fossero veramente tre donne con una personalità che ha comportato la loro condanna da parte del potere maschile infangandone la memoria: Lucrezia Borgia, Clarice Orsini e Maria Mancini. Per queste tre figure, la strategia di disinformazione (ebbene sì, è sempre esistita da secoli: le fake news sono esistite da molto prima della diffusione dei social cui si vorrebbero oggi addossare tutta le colpe) ha costruito su di loro un castello di falsità e calunnie, soprattutto nel corso del XIX secolo, dipingendole come assassine, pazze e di facili costumi.

Il convegno, che ha visto la sala strapiena di ascoltatori interessatissimi, con la presenza dell’Associazione L’Agone nuovo, è stato introdotto dalla dottoressa Cinzia Caccia, consigliera dell’associazione e storica organizzatrice di questo format, che ha ringraziato la direttrice del palazzo Altieri, la dott.ssa Valeria Di Giuseppe Di Paolo, il presidente della associazione “Forum Clodii”, il dottor Massimo Mondini, ed il sindaco di Oriolo Romano, dottor Emanuele Rallo.

La prima figura controversa, trattata magistralmente dalla professoressa Anna Esposito, è stata quella di Lucrezia Borgia, donna cui sono state assegnate, da una visione maschilista, le malefatte di due uomini, il padre ed il fratello.

Lucrezia, figlia Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI, nata a Subiaco nel 1480, fu inizialmente strumento e vittima delle manovre politiche del padre in quanto i Borgia, avendo necessità, per rafforzarsi, di stringere alleanze, utilizzarono la “politica matrimoniale”. Ci sono una ventina di atti notarili che riguardano contratti e annullamenti di matrimoni di Lucrezia. La leggenda nera della famiglia nasce da un manoscritto sicuramente rimaneggiato, alla morte di Alessandro VI, forse ad opera dei della Rovere, acerrimi nemici dei Borgia e dai romanzi (Victor Hugo) e melodrammi (Gaetano Donizetti) ottocenteschi privi di reali fonti storiche.

Lucrezia fu inizialmente promessa allo spagnolo Don Cesare conte di Aversa, poi data in sposa a Giovanni Sforza, signore e vicario della Chiesa per Pesaro. Fu un breve periodo di felice vita coniugale, ma il matrimonio fu annullato dal papa con la accusa di impotenza di Giovanni per cui Lucrezia fu data in sposa ad Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie e figlio naturale di Alfonso II re di Napoli. Ma Alfonso fu fatto strangolare dal fratello di Lucrezia, Cesare Borgia, il quale aveva cambiato politica alleandosi con i francesi. Il dolore per Lucrezia fu immenso, perché era realmente innamorata di Alfonso e accettò, riluttante, di sposare Alfonso d’Este, pur di andare via da Roma. Alla corte estense, lontana dalla dolorosa Roma, Lucrezia divenne, grazie alla sua bellezza ed alla sua intelligenza, popolarissima, disinteressandosi della politica fatta di intrighi e promuovendo una vita intellettuale di corte celebrata da grandi poeti e raccogliendo attorno a sé uomini tra i più famosi del Rinascimento. Nella parte finale della sua breve vita passò lunghi periodi in convento a chiedere perdono “per li peccati de questa nostra etade” e morì a soli 39 anni per complicazioni di un parto.

Lucrezia dominò le scene di Roma e d’Europa a cavallo tra la fine del Quattrocento e il primo ventennio del Cinquecento; fu osannata per le “qualità rare per la sua età” durante il suo governo a Ferrara; fu chiara la sua competenza e la sua capacità di ragionamento oculato negli affari di governo e nella imprenditoria, soprattutto in campo agricolo; fu virtuosa come moglie e come madre e grande mecenate dell’arte nel Rinascimento. Infine fu chiara la sua vicinanza alla religiosità, cosa che potrebbe sembrare assurda se ci si basasse sui racconti misogini diffusi nei social. Una spiritualità evidenziata dalle lettere scritte da un insospettabile: il suo confessore, seguace del Savanarola. Di Lucrezia restano tre ritratti sicuri, due nelle monete ferraresi, in quanto duchessa, e un affresco del Pinturicchio negli appartamenti Borgia in Vaticano.

La professoressa Claudia Bischetti ha poi trattato in maniera brillantissima la figura di Clarice Orsini, tramandata ai posteri come persona dal carattere intrattabile, scontrosa, rifuggente la cultura. In realtà poco amata solo perché “moglie straniera” del rifulgente astro Lorenzo il Magnifico.

Clarice, del ramo di Monterotondo della potente famiglia Orsini, nacque nel 1455. Il matrimonio fra un Medici e una Orsini è una “stranezza” perché si tratta dell’unione della famiglia Medici, ricchissima e potentissima, ma non nobile, con la famiglia Orsini che già vantava un papa in famiglia e che prevedeva matrimoni solo al proprio interno e comunque eventualmente solo con altri nobili. L’intento dei Medici era chiaramente quello di legarsi ad una delle più blasonate casate nobili romane, una dinastia di uomini d’arme che poteva rimediare alla mancanza di un autonomo ed efficiente apparato militare; inoltre la presenza di numerosi prelati nella famiglia avrebbe favorito relazioni più strette con la santa sede dove i Medici avevano una importante filiale bancaria.

Una descrizione minuziosa di Clarice, poco più che tredicenne, la abbiamo proprio da parte di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo, giunta a Roma allo scopo di trovare moglie al primogenito. Il lussuoso festeggiamento del matrimonio durerà ben tre giorni. Clarice era stata educata per divenire signora di castello, ma a Firenze troverà un ambiente totalmente diverso: vive sì in un palazzo lussuoso e principesco, ma a Firenze non è una principessa. Non riesce ad essere partecipe a tutte le feste e avvenimenti culturali per via della salute cagionevole, malata di tisi e spossata dalle continue gravidanze, ben 10 che daranno 7 figli alla casata Medici. Queste gravidanze non furono delle passeggiate per Clarice e la morte di parto della sua strettissima amica, Francesca Pitti, la portarono ad avere il serio timore di fare la stessa fine. Il suo atteggiamento di protezione della salute propria e dei figli ed il timore, assolutamente non infondato, per la vita del marito verranno letti come altezzosa arroganza nobiliare e, nonostante il suo prodigo ed instancabile sostegno ai poveri la rese cara e amabile al popolo, si dirà di lei che aveva un carattere intrattabile ed una scarsa tendenza alla cultura e all’arte. In realtà nessun documento fa trapelare una sua avversione alla cultura, anzi al figlio scrive incitandolo a studiare affinché, alla corte romana, sia notato come persona acculturata e non come ignorante.

Moglie del potente Lorenzo, Clarice si ritrovò ad avere una miriade di richieste di aiuto e favori da parte della famiglia e si prodigò per soddisfarle, ma l’ambiente fiorentino non era quello di una corte e, nonostante l’interessamento del potente marito, non riuscirà a appagare tutte le richieste e finirà con il non rispondere più alle perorazioni, attirandosi la rabbia dei familiari. Non riuscirà nemmeno nella missione di far diventare cardinale il fratello, questo proprio a causa di Gentil Virginio del ramo familiare di Bracciano, il quale aveva puntato su un altro Orsini. A questo proposito la lite con la famiglia sarà dura e Clarice arriverà a rifiutare di essere ospitata a Roma nel palazzo degli Orsini di Bracciano a Campo de’ fiori, per andare invece nel freddo e scomodo palazzo di Monte Giordano, in ricostruzione perché andato a fuoco, ma di proprietà condivisa fra i due rami della famiglia per sentirsi autonoma e padrona.

In seguito alla congiura dei Pazzi e l’arrivo della peste, Clarice e figli si trasferirono fuori Firenze per motivi di sicurezza e Lorenzo chiese a Poliziano di essere istitutore dei propri figli Piero e Giovanni ma, nato il piccolo Giuliano, si verificò un crescendo di tensione tra Clarice e Poliziano. La divergenza fra il poeta e Clarice fu causata da un lato dallo stress dovuto alla separazione forzata da Lorenzo, dall’altro dalla diversa concezione del percorso educativo di Giovanni, già destinato alla carriera ecclesiastica. Infatti, se per Piero, erede di Lorenzo, l’educazione classica era stata accettata da Clarice, invece per Giovanni, destinato alla carriera ecclesiastica, lei voleva una educazione di tipo teologico che gli avrebbe dato più sicurezza nello spazio curiale romano a lei ben noto. Lorenzo sarà dalla parte della moglie e Poliziano allontanato alimentando le dicerie che dipingeranno Clarice come una ignorante che si è opposta a Poliziano. Clarice sarà comunque coinvolta nella politica locale e nazionale e dispenserà corretti consigli al marito il quale non la tradirà mai.

Il 30 luglio 1488, otto giorni dopo la partenza del marito per curarsi, Clarice morì a causa d’un improvviso peggioramento della sua malattia.

A concludere l’interessante incontro è stata la professoressa Loredana Lorizzo che, con un salto di un paio di secoli, illustra la figura di Maria Mancini, attaccata per avere voluto essere libera.

Anna Maria Mancini, nata nel 1639, fu la terza delle cinque sorelle Mancini, nipoti dell’intellettuale e politico raffinatissimo cardinale Giulio Mazzarino, portate dalla madre a Parigi per sfruttare l’influenza del fratello, tutore del giovanissimo re di Francia, Luigi XIV.

Fra i due giovanissimi, Maria e Luigi, nacque un amore romantico, quasi sicuramente non consumato, ma l’opposizione del cardinale Mazzarino e della madre del re, Anna d’Austria, non permise che la loro storia proseguisse, nonostante il futuro “re sole” ne fosse probabilmente veramente innamorato. Uno dei maggiori storici di Luigi XIV, Louis Bertrand, definì quello per Maria Mancini come il primo, ma anche come il solo amore del re. Un amore mai dimenticato da Maria che fu allontanata e data in sposa a Lorenzo Onofrio Colonna, giovane non propriamente bello, ma rampollo della potentissima casata. Le nozze furono celebrate a Parigi nella cappella reale del Louvre, onore riservato solo alle principesse, segno della benevolenza di Luigi XIV. Maria si trasferì quindi in Italia, nel meraviglioso palazzo Colonna ma, in nome della propria indipendenza, chiese ed ottenne dal marito di poter continuare a vivere “alla francese”, cioè libera dalla chiusura bigotta della Roma di allora, che vedeva i rigidi divieti papalini a feste, spettacoli teatrali, carnevale eccetera. La giovane cominciò a partecipare alla vita culturale e sociale dell’epoca, superando le malelingue dei salotti romani che vedevano con invidia la sua libertà. Lorenzo attratto da una donna giovane, intelligente, capace di leggere, scrivere, suonare e poetare, in contrasto con la rigida ed ingessata società romana, seguì la vita della giovane moglie ed il palazzo divenne il centro della vita mondana: All’interno del palazzo venne realizzato un teatro per mettere in scena spettacoli liberamente. Maria sarà un ciclone nel mortorio romano: vestendo scollata e adornata di gioielli (inusuale per le romane), sarà ritratta come Venere, insomma la sua vita, normale a Parigi, divenne scandalo a Roma.

I due ebbero, comunque, tre figli che, però, provarono fortemente la salute di Maria mettendone a rischio la vita. Il timore di morire di parto e magari di essere uccisa dal marito, che nel frattempo aveva avuto relazioni extraconiugali, deteriorò i rapporti fra i due, tanto che Maria decise di fuggire da Roma, calandosi rocambolescamente con delle lenzuola dal palazzo, per raggiungere il suo antico amore a Parigi. Ma Luigi XIV ormai non avrebbe potuto più accoglierla, sia per la fuga dal marito sia perché, come italiana, era invisa alla corte. Maria iniziò allora un lungo periodo di viaggi iniziati a Torino, nella corte dei Savoia, e poi proseguiti per tutta Europa.

Durante il suo peregrinare, fu dato alle stampe una sua falsa autobiografia. Una donna normale dell’epoca si sarebbe rinchiusa in convento per la vergogna di quanto riportato nel libello, ma non Maria che, invece, decide di scrivere lei la sua vera autobiografia. Saranno solo la morte di Lorenzo e le pressioni dei suoi familiari che la riporteranno a Roma, ma per poco tempo: riprese presto la sua vita raminga fino a che, colpita da una serie di lutti familiari, si ritirò a Pisa, dove morì nel 1706 e dove fu sepolta, assieme alla collana di 35 perle che il re Luigi le aveva donato al momento della loro separazione e all’anello con diamante che il principe Lorenzo le infilò al dito nel giorno del loro matrimonio.

Maria mai tradì la sua natura libera, non aveva paura di mostrare i propri sentimenti, si abbandonò alla forza travolgente dell’amore e della passione e per questo fu dipinta con stereotipi da invidiosi di quella libertà che tutte le donne dovrebbero sempre avere.

Riccardo Agresti, foto di Pino Pesci

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