19 Aprile, 2024
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Incontro con l’associazione Acqui

Nell’Aula Magna del liceo scientifico “Ignazio Vian”, il giorno 23 marzo 2023 ha avuto luogo un incontro con l’associazione Acqui. Hanno partecipato: Massimo Sepielli, presidente dell’associazione Acqui di Roma, Maria Massullo anche lei membro dell’associazione, Giuseppina Allegrini, che oltre a far parte dell’associazione, ha divulgato la testimonianza di suo padre, fatto prigioniero durante l’eccidio di Corfù e Cefalonia, la preside Lolli, la professoressa Di Santo, la professoressa Ettorri e la professoressa Fiorani.

L’associazione nazionale divisione Acqui

L’associazione nazionale divisione Acqui nasce con lo scopo di ricordare gli eccidi di Cefalonia e Corfù avvenuti subito dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. In queste isole greche erano presenti circa dodici mila soldati tra cui ufficiali della Marina Militare, della Finanza, dei Carabinieri e tanti altri. L’obiettivo principale di questa associazione è quello di ricordare, avere la memoria di ciò che accadde e di queste persone. L’associazione ha sede Nazionale a Verona, dove risiedeva la maggior parte dei caduti in guerra. Sono presenti sul territorio nazionale circa 22 sezioni.

Ogni anno questa associazione presenta nuovi progetti di diversa natura da portare nelle scuole per coinvolgere gli studenti nel tener vivo il ricordo degli eventi e per commemorare i caduti.

Quest’anno, a settembre, si celebreranno gli 80 anni dall’eccidio di Cefalonia e per l’anniversario si terrà una cerimonia ufficiale con la partecipazione del Presidente della Repubblica.

La professoressa Fiorani apre l’incontro presentando un quadro generale della situazione storica prima dell’eccidio di Cefalonia.

Quando Hitler il 1 settembre del 1939 invase la Polonia, Mussolini rimase stupito e in un primo momento si tirò fuori perché l’Italia non era preparata per un conflitto di questo genere. Quando vide che Hitler aveva conquistato tutta l’Europa centrale decise di entrare nel conflitto, pensando fosse una guerra lampo. Il 28 ottobre del 1940 in Grecia cominciò la sua campagna militare di occupazione ritenendo che i greci non avrebbero resistito molto, convinto di intraprendere questa guerra come “protagonista”.

Quando effettivamente gli italiani arrivarono in Grecia si trovarono in una situazione difficile a causa della resistenza greca; perciò l’esercito tedesco decise di aiutare l’esercito italiano. Nel 1941 alla situazione difficile seguì una fase di stabilità, che durò fino all’estate. Mentre la guerra da tutte le altre parti era devastante, qui si creò una situazione di equilibrio nell’ambito della quale greci e italiani incominciarono a fraternizzare tra loro. Infatti dal 1941 fino al 1943 si registrarono circa 200 matrimoni.

La situazione cambiò nella primavera del 1943. L’Italia perse su tutti i fronti e iniziarono in Italia settentrionale scioperi e proteste, nei confronti della dittatura. Ormai il governo di Mussolini aveva le ore contate e ciò divenne chiaro anche ai vertici tedeschi. Tra il 24 e il 25 luglio 1943 Benito Mussolini venne esautorato dal Gran Consiglio del Fascismo e subito dopo gli americani sbarcarono in Italia.  A ciò seguì l’8 settembre del 1943 data in cui venne reso noto l’armistizio firmato con le forze alleate qualche giorno prima. È stato reso noto dopo perché in tutta l’Europa c’erano presidi italiani che combattevano vicino a presidi tedeschi. Ciò successe anche a Cefalonia: la divisione Acqui, affidata al generale Gandin, si trovava nel presidio occidentale dove erano presenti circa 13 mila italiani e 2 mila tedeschi.

Sia i soldati italiani che il popolo greco erano contenti che la guerra fosse finita, si suonarono anche le campane. Fu una situazione paradossale perché subito dopo si verificò l’eccidio di Cefalonia.

 

Successivamente Massimo Sepielli ci ha presentato un video da lui realizzato relativo all’eccidio di Cefalonia.

Di questo video ricordiamo in particolare una scena molto significativa: si tratta di quando le truppe presero, con un atto estremo di coraggio, la decisione di combattere contro i tedeschi per salvare l’onore e attenersi al giuramento di fedeltà verso l’esercito italiano.

Inoltre nel video si parla del “Dopo armistizio”: l’Italia si trovò di fatto divisa in due, al Centro-Nord c’erano i nazisti insieme al governo della Repubblica di Salò, a Sud gli americani, sostenuti dal governo Badoglio, che risalivano lentamente la penisola, con battaglie e bombardamenti per riportare la libertà, causando però anche distruzione e nuove morti.

I tedeschi misero in opera operazioni di rastrellamento e riuscirono a catturare oltre 600 mila soldati che vennero portati in campi di concentramento.

In seguito Giuseppina Allegrini ci ha presentato la storia di suo padre attraverso una lettera che lei stessa gli ha scritto provando ad immaginare un dialogo.

Lei ricorda i racconti di sofferenza del padre che gli avevano segnato l’esistenza. Quando lui ne parlava le persone lo ascoltavano interessate, ma lei a volte lo rimproverava pensando che li disturbasse, solo dopo ha realizzato quanto gli episodi vissuti lo avessero impressionato. Racconta di aver ritrovato il foglio matricolare del padre emesso dall’esercito italiano per coloro che si erano arruolati dal 1937 al 1945.

La sua odissea iniziò il 10 giugno con la partenza per la Grecia; arrivò a Corfù presso il 18° reggimento della divisione Acqui. Quando i tedeschi diventarono nemici, chiesero agli italiani la consegna delle armi, ma il comandante Lusignani rifiutò, perciò iniziarono a bombardare e quindi si chiesero dei rinforzi per fronteggiarli. Siccome non arrivarono, si arresero. Molti dei suoi compagni morirono; nonostante suo padre e gli altri italiani lottassero per il presidio, fu una battaglia persa per carenza di mezzi. Suo padre si considerava fortunato per essere sopravvissuto, ma era disperato per l’ingiustizia della guerra. Venne catturato e fatto prigioniero dai tedeschi, mentre il generale Lusignani ed altri suoi compagni vennero fucilati.

Rimase in Germania fino a quando non venne liberato dai Russi. Navigò nel Mar Nero per 28 giorni durante i quali mangiò solo sette volte.  Sopra le zattere si trovava in condizioni esistenziali disastrose, gli passò alla mente il pensiero di scappare ma gettarsi in mare avrebbe significato per lui e i suoi compagni annegare o essere fucilati. Venne condotto in un campo di prigionia e lavoro a Rostov vicino all’attuale Ucraina. Ricorda che questo campo era molto vasto e circondato da un filo spinato con delle torrette di guardia. Era un campo sovraffollato e non c’era posto per dormire al chiuso, perciò trovó una tavola dove dormire in una baracca. Durante il giorno lavorava per la costruzione di una ferrovia e d’inverno il freddo russo lo paralizzava. Un giorno rischiò di morire per il freddo e la fame, una donna gli donò un pezzo di pane e lui, non essendo più abituato a mangiare, si sentì male tutta la notte. Inoltre le guardie si prendevano gioco dei prigionieri gettando loro dei secchi di acqua addosso. La condizione di vita era decisamente disumana in quanto il freddo provocava loro il congelamento di mani e piedi. Alla conclusione della guerra non avevano né viveri né vestiario; riuscirono a sopravvivere al viaggio di ritorno grazie all’aiuto del popolo polacco che riempì di patate i vagoni dei treni. Attraversò la Polonia, la Germania, l’Austria e infine arrivò in Italia, a Bologna, dove cambiò il suo vestiario grazie ai rifornimenti della Santa Sede; solo dopo proseguì il viaggio fino a casa dove si ricongiunse con la sua famiglia. Così si chiuse un capitolo drammatico della sua vita, per aprirsene un altro, di sicuro difficile ma felice in un’Italia libera e democratica.

Attraverso questa sua lettera immaginaria Giuseppina Allegrini è riuscita a trasmetterci a pieno tutta la sua emozione, le sue parole e la sua commozione che ci hanno colpito nel profondo e ci hanno fatto capire il dolore provato dal padre.

 

Quali sono stati i sentimenti provati dai vostri genitori davanti a tutte le ingiustizie che hanno subito?

Massimo Sepielli: “Mio padre è stato un ufficiale di artiglieria e anche lui fu mandato in un reparto a Corfù ma è stato “fortunato” perché ebbe un problema fisico serio prima dell’Armistizio, perciò fu rimpatriato a Bari. Mio padre ha sofferto molto perché su quell’isola erano presenti tutti i suoi compagni e amici che purtroppo furono fucilati. Il ricordo dei compagni lo ha accompagnato per tutta la vita.

È stato presidente della sezione del Lazio quando è nata l’associazione divisione Acqui nazionale. Ha supportato la memoria dei reduci e dei caduti. Ha anche fatto realizzare un monumento per omaggiare i caduti, al laghetto dell’Eur a Roma nel 1988 dallo scultore Vinci. Mentre a Verona si trova il monumento nazionale dove tutti gli anni ha luogo la commemorazione”.

 

Giuseppina Allegrini: “Mio padre ha sempre parlato della guerra come morte e distruzione che segna profondamente l’animo umano. Era però orgoglioso di essere stato un soldato e di aver combattuto per la patria, ma si è reso conto che era una guerra di conquista. Diceva sempre di aver conosciuto l’Europa anche se in un’occasione tragica e drammatica”.

 

Per concludere la professoressa Ettorri ricorda brevemente un altro episodio della Resistenza legato alla figura di Ignazio Vian, a cui è intitolato il nostro liceo.

In una cittadina in provincia di Cuneo di nome Boves, dopo l’8 settembre, ha luogo una delle prime stragi compiute dai nazisti. Sul monte Bisalta il giovane tenente Ignazio Vian, partigiano di origine veneziana, raggruppa intorno a sé un gruppo di volontari. Il maggiore Joachim Peiper, a capo di SS tedesche, minaccia tutti coloro che avrebbero aiutati i militari fuggiaschi; solo alcuni giorni dopo l’armistizio, il 16 settembre vengono fatti prigionieri due tedeschi. In un successivo scontro, muoiono un partigiano e uno dei due tedeschi.  Il maggiore Peiper chiede subito che venga riconsegnato ai tedeschi il corpo del soldato tedesco ucciso oltre che il prigioniero. Quindi inizia una trattativa tra il maggiore e gli abitanti di Boves. Ci sono due figure   importanti che agiscono da mediatori: il parroco del paese Don Giuseppe Bernardi e l’ingegnere Antonio Vassallo. Grazie alla loro mediazione riescono ad ottenere che il Maggiore non avrebbe ucciso i partigiani prigionieri se loro avessero consegnato il corpo del soldato. Ma le SS non mantengono la parola data, perciò dopo aver ottenuto ciò che avevano chiesto, iniziano un’azione di rappresaglia. Incendiano la cittadina di Boves e uccidono anche molti civili, se ne contano 23, tra cui gli stessi mediatori. Ignazio Vian riesce a salvarsi e continua la sua attività di partigiano, a Torino ma nella primavera del 1944 (il 19 aprile) mentre si trova in missione, è arrestato dai tedeschi e portato nelle carceri.  In seguito viene portato in una caserma e torturato perché volevano sapere i nomi dei suoi compagni partigiani e i loro nascondigli. Lui resiste a tutte le torture senza fare nomi. Tenta persino il suicidio pur di non cedere. Alla fine viene condannato a morte per impiccagione insieme ad altri 5 compagni: i tedeschi non hanno voluto dare sepoltura al suo corpo perché doveva servire da monito per tutti gli altri. Dopo la Liberazione, nel mese di maggio del 1945 l’albero dove fu impiccato viene ricoperto di fiori, lettere e messaggi da parte della popolazione. Ignazio Vian è stato poi insignito della medaglia d’oro al valore militare. La nostra scuola è intitolata a lui, al suo sacrificio, alla sua forza e alla sua resistenza.

Vi invitiamo per maggiori approfondimenti a consultare il sito web: associazioneacqui.it dove ci sono notizie, immagini, eventi, medaglie d’oro, argento, bronzo e informazioni.

Ringraziamo l’Associazione Acqui e le docenti per la partecipazione e la divulgazione delle loro conoscenze per la realizzazione di questo articolo.

Sara Ferretti, Valentina D’Attilio e Marta Sborzacchi

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