26 Aprile, 2024
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Canale Monterano, Dante il multiforme ingegno visto da una studentessa

Il giorno 29 ottobre 2021, dopo due lunghi anni senza uscite didattiche, io (Ludovica Iannozzi) e la mia classe 4°B del Liceo Scientifico Ignazio Vian, ci siamo recati a Canale Monterano per celebrare l’immensa figura di Dante Alighieri attraverso l’ascolto di una conferenza.

Il titolo di quest’ultima era “Dante il multiforme ingegno” ed era presieduta da quattro esperti professori che nominerò in seguito.

Come sappiamo bene “multiforme ingegno” è un appellativo che generalmente non si attribuisce a Dante, ma ad una figura mitologica, quella di Ulisse, senonché osservando bene entrambi i personaggi possiamo ritrovare delle evidenti somiglianze.

Non hanno forse entrambi viaggiato oltre il limite della realtà?

Non hanno forse entrambi avuto la grande curiosità del sapere o la voglia di conoscenza?

Si, ed entrambi ci hanno fornito la concezione di un sapere universale e di una conoscenza unita di tutto ciò che ci circonda. Il primo intervento del filosofo Esper Russo è stato utile a capire l’analogia tra queste due famose figure della letteratura italiana.

 

Il viaggio di Dante nell’immenso tormento dell’inferno dà spazio proprio alla figura di Ulisse nel XXVI canto. Ci troviamo nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dedicato ai consiglieri di frode e per la prima volte Dante, vedendo la fiamma a due lingue contenente Ulisse e Diomede, non si incuriosisce sul perché i due siano lì, dando per scontato che utilizzeranno il loro ingegno per ingannare i troiani con il celebre cavallo, ma piuttosto dal sapere quale fu l’ultimo viaggio di Ulisse.

Dante immagina e ci racconta che Ulisse, finalmente tornato a casa ad Itaca e ripreso il potere, prende l’ardua decisione di ripartire. Si, la sua voglia di conoscenza e la sua sensazione di incompletezza sono più forti dell’amore per la moglie Penelope, della pietà per il padre Laerte e della dolcezza per il figlio Telemaco.

Ulisse vuole conoscere più di quello che è concesso ai limiti dell’umanità; vuole navigare, perché in fondo la vita è un viaggio e la realtà è che non importa qual è la fine, ma il processo del viaggio stesso. Come diceva anche un famoso verso latino “naufragi feci, bene navigavi“. Ulisse dopo aver oltrepassato le colonne d’Ercole, oltre le quali c’è l’ignoto, fa naufragio e non ritornerà mai più a casa.

L’Ulisse omerico e l’Ulisse dantesco hanno un sostanziale elemento che divide i loro destini, la nostalgia, il dolore per la voglia di tornare a casa. L’Ulisse di Omero fa un viaggio mosso dall’idea del ritorno in patria, mentre l’Ulisse di Dante fa un viaggio mosso dalla cultura; crede che il vero viaggio non sia quello attraverso il mare, ma quello all’interno di noi stessi, l’ispirazione alla massima elevazione della nostra anima che si può ottenere solo tramite la conoscenza, del possibile si, ma anche dell’impossibile.

Ringrazio profondamente la professoressa Lucrezia Ercoli per avermi fatto capire questo, tramite le sue parole e l’arte.

Successivamente il professor Battafarano ci fa riflettere sul luogo in cui si trova Dante, l’inferno, e sul perché Dante sia così spaventato nel ritrovarsi in quel posto pieno di fiamme nel XXVI canto. Dante ci descrive questo scenario facendo una similitudine con le notti estive colme di lucciole, riesce a creare un’atmosfera tetra, ma anche calma, angosciante, ma silenziosa. Dante ha paura di quello che sta facendo, perché come il cavallo di Troia era stato fatto passare come un “dono di Dio” lui si sta completamente sostituendo ad esso nel decidere le anime che saranno punite eternamente. Dante vuole conoscere come Ulisse, che con la sua ultima “orazion picciola” riesce a convincere la sua ciurma a spingersi “più in là” di quello che era concesso da Dio. Vedono la montagna del Purgatorio, quella che Ulisse, stando all’Inferno, non avrà mai più la possibilità di vedere. Ci sorge però spontanea una domanda :”la nostra conoscenza, se porta all’inferno è diabolica?”

Come diceva anche il grande filosofo Aristotele l’uomo può arrivare alla felicità solamente con l’eudaimonia e quindi la conoscenza di se stesso e la buona riuscita del proprio “demone” e cioè del genio che si trova in ognuno di noi. Secondo Dante conoscere se stessi non è abbastanza, l’uomo non può essere il valore assoluto di se stesso, ma c’è qualcosa di più che si deve sapere, per questo viene definito antimoderno.

Dell’intervento finale del professor Antonio Torzolini capiamo che il motore della vita è l’amore, l’amore per la conoscenza, per la nostra passione, meravigliarsi delle cose più semplici ed essere onorati di intromettere nella nostra anima anche i più piccoli semi di sapere, solo in questo modo potremo sentirci liberi, liberi di fare a meno delle cose di cui non abbiamo realmente bisogno, liberi di goderci a pieno la vita e liberi di amare. Solo in questo modo avremo la possibilità di essere veramente felici.

Ludovica Iannozzi

 

 

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