23 Aprile, 2024
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Covid Regole chiare, isolamento e tanta fede I segreti nascosti nei due «paesi zero»

Ad Averara e Cassiglio, in Val Brembana, l’anno più nero non ha portato casi legati alla pandemia. Merito del rigore dei cittadini, che hanno chiesto disciplina anche ai turisti

Alle dieci del mattino non c’è nessuno in strada, ma il passante solitario indossa comunque la mascherina. Cassiglio, con la vicina Averara, è l’unico Comune della martoriata Bergamasca a contare zero casi Covid dall’inizio della pandemia. Ma la sua gente non si fida e preferisce rispettare comunque le regole, consapevole com’è della caducità della vita. Dal XV secolo la “Danza macabra”, dipinta sulla facciata della parrocchiale da Simone Baschenis II, ammonisce incauti e faciloni: ogni personaggio raffigurato ha uno scheletro come ombra. Un memento mori rinforzato dall’affresco di casa Milesi, dove la morte in persona è ritratta nell’atto di colpire alle spalle un giovin signore. Le 110 anime della borgata, quasi tutti anziani, devono aver assimilato il messaggio. Se non si vogliono correre rischi, meglio non scherzare troppo con il destino. Altro che no mask.

«Qui tutti hanno preso sul serio fin da subito il virus – spiega Aurelio Zenato, friulano trapiantato in alta Val Brembana e titolare del “Casèi”, l’unico bar di Cassiglio – anche perché dai paesi vicini arrivava un tragico passaparola. A Cusio, pochi chilometri da qui, è morto un 31enne. Quindi sì, c’è stata molta paura, soprattutto durante la prima ondata». A Santa Brigida, poco più a monte, il bilancio è nerissimo: 22 morti in un anno, quando di solito se ne contano sette al massimo. «A Cassiglio ci sono stati solo tre defunti, ma nessuno per Covid» conferma il parroco, don Simone Lanfranchi. L’isolamento geografico ha aiutato a tenersi lontani dalle direttrici del contagio, ma forse anche il senso civico ha fatto la differenza. «Da me entra solo un cliente alla volta, e con la mascherina – spiega Rosangela Beltramelli da dietro il bancone dell’unico market –. Abbiamo avuto fortuna, ma seguiamo comunque le regole. E lo stesso hanno fatto i villeggianti in estate. Per la verità quest’anno sono venuti in pochi, perché si tratta soprattutto di discendenti di chi emigrò in Francia nel dopoguerra. Le restrizioni ai viaggi li hanno costretti a restare a casa».

Pochi contatti con l’esterno, prudenza e un pizzico di sana diffidenza verso “il forestiero” spiegano però solo in parte il mistero del “paese zero”. Forse c’è anche dell’altro. Ai credenti, perlomeno, piace pensarlo. «La Madonna ci protegge, lo ha sempre fatto» sentenzia una casalinga frettolosa senza fermarsi. Alle porte di Cassiglio sorge il santuario dell’Immacolata: costruito nel 1630 come chiesa dei morti di peste, è stato successivamente ingrandito e dedicato alla Vergine in segno di riconoscenza per aver tenuto il paese al sicuro da epidemie successive, compresa la temibile spagnola, e altre sciagure. «È un santuario votivo, per grazia ricevuta – racconta don Lino Ruffinoni, prevosto di Averara e originario proprio di Cassiglio –. La grande alluvione del 1890, ad esempio, spazzò via le antiche fucine di chiodi vicino al torrente Stabina, nonché mezzo paese. Ma non ci furono vittime. La gente se lo ricorda bene e prega molto. La domenica metà degli abitanti va a Messa, mentre nei paesi vicini non si arriva al 10%».

Una fede robusta che permea anche Averara. La sua chiesa più grande è dedicata a San Pantaleone che, sottolinea don Lino, «era un medico ed è il patrono di Crema, dove non lo festeggiano il 27 luglio come altrove, bensì il 10 giugno, giorno in cui apparve sopra la città per fermare la peste del 1361».

Il sindaco Mauro Egman conferma la devozione dei suoi concittadini, 177 in tutto. «Ogni frazione ha la sua chiesetta di cui si prende cura, ognuna ha il suo santo protettore e gli anziani in particolare ci tengono tanto». Poi, più laicamente, analizza anche le possibili ragioni “terrene” dell’assenza di contagi. «La posizione ci agevola certamente, ma ci abbiamo anche messo del nostro, cambiando le abitudini. Prima tutti scendevano a far la spesa nell’unico negozio al mattino, e poi si fermavano all’unico bar per il caffè. Da marzo in poi abbiamo scaglionato gli accessi, limitando al minimo i contatti». Il bar dopo il lockdown non ha più riaperto: la titolare, originaria della Bassa, ha perso il padre proprio a causa del Covid e non se l’è più sentita di continuare l’attività. «Era l’unico punto di ritrovo – continua il sindaco – e quindi ogni residua possibilità di assembramento è venuta meno. Ora sarebbe bello che qualcuno riaprisse, perché c’è bisogno di tornare a scambiare due chiacchiere. Ma di questi tempi nessuno si sente di investire in un’attività, specialmente in montagna».

Alle porte di Cassiglio sorge il santuario dell’Immacolata: è statocostruito nel 1630 come chiesa dei morti di peste. «È un santuario votivo» spiega don Lino. Per gli abitanti «è la Madonna che ci ha protetto»

Il male, però, finisce per lasciare anche buoni semi. «Per sfuggire al lockdown in città alcune famiglie si sono trasferite qui da marzo a giugno. E hanno scoperto che si può vivere bene anche in un piccolo borgo di montagna. Questo ci fa ben sperare». Il sindaco ha già nel cassetto un piano di rilancio, in sintonia con la nuova tendenza a riscoprire il bello della vita fuori porta: «Quando tutto questo sarà finito proseguiremo nella valorizzazione del borgo, posto lungo l’antica via mercatorum che conduceva in Valtellina. Sotto il nostro porticato brulicavano mercanti e pellegrini, noi vorremmo recuperare un po’ di quella vivacità. Ma sempre nell’ottica di un turismo sostenibile e di qualità, non certamente di massa».

Il sindaco: «La posizione ci agevola, ma ci abbiamo anche messo del nostro, cambiando le abitudini». Accessi scaglionati, bar chiuso. Nella vicina Santa Brigida il bilancio del Covid invece è stato pesantissimo

​I visitatori saranno sempre i benvenuti, a patto che rispettino le regole. Da queste parti non ammettono deroghe. Non a caso gli Egman discendono dai vecchi dominatori austroungarici. Il sindaco tuttavia contesta il criterio dell’uno vale uno. «Averara non è Milano. Non poter andare a fare acquisti due chilometri più su, nel Comune vicino, ha poco senso. Semmai è chi arriva da fuori che deve adeguarsi: basta osservare poche e giuste precauzioni per potersi muovere liberamente, senza rischi».
Concetto ribadito anche dalla negoziante Barbara, stesso cognome del sindaco («ma siamo parenti di quarto grado»), che espone un ritaglio di giornale dal tono severo: “Il vero vaccino è la mascherina”. E infatti lei non fa entrare nessuno a volto scoperto: «Qualche turista quest’estate ci ha provato, ma l’ho respinto senza esitare. Purtroppo manca la mentalità giusta. Non capisco quelli che si ammassano in città davanti alle vetrine. Cos’avranno poi da guardare?». Uscendo dal minuscolo negozio, la vista delle montagne innevate riempie gli occhi. La domanda rimane sospesa nell’aria pungente, senza risposta.

(Avvenire)

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