25 Aprile, 2024
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Regeni, i pm del Cairo: “Diteci cosa faceva in Egitto”. I genitori: “Ha fallito chi ha fatto affari e stretto mani. Ora ritirare l’ambasciatore”

Non solo i magistrati egiziani non hanno dato risposte (dopo più di un anno) alle rogatorie italiane, ma hanno anche “formulato alcune richieste investigative” per “meglio delineare l’attività di Giulio Regeni in Egitto“. A rivelarlo, al termine dell’atteso dodicesimo incontro in video-conferenza tra i pm del Cairo e i colleghi romani, è stata la stessa procura di Roma con una nota. Una richiesta di informazioni, quella del procuratore egiziano Hamada Elsawy, avanzata nonostante siano 14 mesi che l’Italia aspetta (invano) una risposta per l’elezione del domicilio dei cinque indagati e arrivata pochi giorni dopo l’invio dei presunti effetti personali di Giulio Regeni, che si sono rivelati falsi. Poi anche la beffa di un comunicato della Procura egiziana che sostiene come “Roma toccherà con mano la nostra trasparenza“. Per i genitori del ricercatore ucciso nel 2016 è l’ennesimo schiaffo: “Si tratta di un’istanza offensiva e provocatoria”, hanno commentato in una nota poco dopo Paola e Claudio Regeni e l’avvocata Alessandra Ballerini , “dopo quattro anni e mezzo dall’uccisione di Giulio e senza che nessuna indagine sugli assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo”. I genitori hanno quindi criticato duramente la linea della “condiscendenza” e del “stringere mani” e “fare affari con l’Egitto”, difesa dal premier Giuseppe Conte solo poche settimane fa nella sua audizione davanti alla commissione d’inchiesta. E hanno ribadito la necessità di “richiamare l’ambasciatore” perché “oggi è l’unica strada percorribile“. Nessun commento da Palazzo Chigi, mentre fonti della Farnesina hanno parlato di forte “delusione” e assicurato che dopo l’incontro di oggi “saranno fatte valutazioni” perché la famiglia “merita rispetto”.

I genitori: “Fallimento di chi ha scelto la strategia della condiscendenza”

Durissime le parole dei genitori, che non solo hanno condannato il comportamento del Cairo, ma hanno messo sotto accusa la linea diplomatica scelta dallo stesso governo italiano in questi anni. “Chi”, si legge ancora, “sosteneva che la migliore strategia nei confronti degli egiziani per ottenere verità fosse quella della condiscendenza, chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra, stringere mani e guardare negli occhi gli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, oggi sa di aver fallito”. Parole molto pesanti che rievocano quanto ha dichiarato lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in audizione in commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni il 19 giugno scorso. Il premier, convocato per rispondere nel merito della vendita di armi all’Egitto, in quell’occasione ribadì l’importanza di mantenere aperto il dialogo per arrivare alla verità. Ma disse anche: “Parlare guardandosi negli occhi ed esprimendo tutto il rammarico vis a vis non ha portato a risultati, non sono stato capace”. E nonostante il mea culpa, i genitori, che già il 12 giugno dissero di essere stati “traditi dallo Stato italiano”, oggi hanno direttamente messo sotto accusa la linea del premier e dell’esecutivo.

Il dodicesimo incontro tra i magistrati e il comunicato della procura di Roma

L’incontro è durato poco più di un’ora e si è svolto in videoconferenza per l’emergenza coronavirus. A leggere il comunicato diffuso al termine del vertice emerge che le autorità egiziane non hanno fornito alcun elemento nuovo o risposte alla rogatoria inviata da Roma nell’aprile del 2019 a cominciare dall’elezione di domicilio dei cinque indagati, tutti appartenenti ai servizi di sicurezza egiziana, e accusati dal pm Sergio Colaiocco del reato di sequestro di persona. Il procuratore generale egiziano, hanno riferito i colleghi di Roma, “ha assicurato che, sulla base del principio di reciprocità, le richieste avanzate dalla procura di Roma sono allo studio per la formulazione delle relative risposte alla luce della legislazione egiziana vigente”. Sul punto però il Procuratore di Roma, Michele Prestipino, ha “insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017″ e, novità emersa oggi, di “mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque indagati”.

La risposta della procura egiziana: “Roma vedrà nostra traparenza”

Dopo quanto comunicato dai magistrati romani, la Procura egiziana risponde in serata con un comunicato pubblicato sulla pagina Facebook: “Il procuratore generale (egiziano) conferma al procuratore di Roma la ‘serietà‘ delle misure riguardanti l’omicidio di Regeni e (il fatto che) ‘la Procura di Roma toccherà con mano la trasparenza della squadra di inquirenti egiziani e il suo desiderio di giungere alla verità nel prossimo periodo”, sostengono dal Cairo nonostante i silenzi e ritardi. Il comunicato sostiene ancora che il lavoro della Procura “non agisce né è influenzato da ciò che i diversi media diffondono circa le inchieste su questo caso”. Il procuratore, Hamada Al Sawi, “conferma che la buona comprensione e la fiducia reciproca fra le parti coinvolte da queste inchieste giudiziarie contribuiranno direttamente ad agevolare le loro procedure”, viene aggiunto. “La squadra di inquirenti egiziani intraprende un esame e uno studio di tutte le inchieste sul caso come anche un esame delle rogatorie e delle (richieste di) collaborazioni giudiziarie precedenti ricevute da parte italiana per esaminare ciò che possa essere fatto”, si afferma ancora nel comunicato.

Palazzotto: “Finora dall’Egitto solo depistaggi”

Chi ha preso posizione subito dopo l’incontro è stato il presidente della commissione d’inchiesta per la morte di Regeni Erasmo Palazzotto. “Non abbiamo motivo di essere fiduciosi perché fino ad ora da parte egiziana sono arrivati soltanto tentativi di depistaggio e di coprire la verità”, ha dichiarato a Rai Radio 1. Palazzotto ha anche citato la “consegna degli oggetti che appartenevano a Giulio Regeni”, avvenuta pochi giorni fa, “e che poi in realtà erano oggetti di uno dei tentativi di depistaggio“. Questo, ha continuato il deputato di Leu, “ci dice che da parte egiziana non arrivano segnali positivi. Per cui anche noi non siamo molto fiduciosi. Però speriamo che si possa ottenere qualcosa e che si possano fare passi in avanti. Da questo punto di vista noi siamo a supporto dell’attività della magistratura che è l’autorità che oggi deve accertare la verità e soprattutto fare giustizia”. Quindi ha concluso: “Non c’è solo il diritto, da parte della famiglia Regeni ad ottenere giustizia. Ci sono anche la dignità e la credibilità internazionale del nostro Paese che sono in gioco. L’Italia non può essere un paese che non protegge la vita dei propri cittadini e soprattutto non ottiene giustizia quando uno dei propri cittadini viene ucciso barbaramente dagli apparati di un altro Stato”.

Critiche per le non risposte del Cairo sono arrivate anche dalla capogruppo Pd in commissione Esteri alla Camera Lia Quartapelle: “Dall’Egitto”, ha scritto su Twitter, “abbiamo ricevuto: oggetti non di Regeni spacciati come suoi; una richiesta offensiva sulle sue attività di ricerca; un rinvio (dopo 14 mesi!!!) sulle rogatorie. L’Italia non si faccia prendere in giro. Questa non è una ‘soddisfacente cooperazione giudiziaria’”.

(Il Fatto Quotidiano)

 

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