30 Aprile, 2024
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Eurogruppo, un rinvio che ricorda le crisi del 2011 e 2015

AGI – Il fallimento europeo della notte scorsa, un nulla di fatto dopo 16 ore di discussioni fra i ministri dell’Economia dell’Eurozona e un ennesimo rinvio delle misure a sostegno di un’economia pesantemente provata dalla pandemia di Covid-19, ha riportato alla memoria altre nottate passate, negli anni scorsi a discutere su come evitare la fine della moneta unica. Le incomprensioni fra i partner sono forse acuite dalla lontananza: discutere in videoconferenza con una trentina di faccine sullo schermo (la riunione è stata estesa a tutti e 27 i ministri Ue, e poi all’Eurogruppo partecipano anche i presidenti della Bce e del Meccanismo europeo di stabilità oltre al vicepresidente della Commissione) non è come essere seduti allo stesso tavolo.

A 18 anni dall’inizio della sua circolazione in 12 paesi, l’Euro è oggi “maggiorenne” e viene utilizzato in 19 Stati del vecchio continente, ma la sua stabilità di seconda (a volte prima) moneta più importante del mondo è stata messa in diverse occasioni a dura prova. Molti ricordano in particolare, quella notte fra l’11 e il 12 luglio del 2015, quando a Bruxelles, proprio durante una riunione dell’Eurogruppo, allora guidato dall’olandese Jeroen Dijsselbloem, i 19 ministri dell’Economia sembrarono sul punto di alzare bandiera bianca e di rassegnarsi all’uscita della Grecia, oltre che a una probabile fine dell’Euro. In quell’occasione, l’allora capo del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde richiamò i partecipanti alla riunione a comportarsi da adulti. E l’ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, che pure era fra i principali destinatari dell’invito, ha citato proprio quella frase intitolando “Adults in the room” il libro, da cui è stato anche tratto un film, in cui racconta il suo punto di vista su quelle estenuanti trattative. ​Varoufakis finì per rimetterci il posto, la Grecia fu sottoposta a misure di austerità pesantissime per la sua società, ma l’Euro fu salvato.

Qualche anno prima, nell’autunno del 2011, era stato un vertice più esteso, durante la presidenza francese del G20, a Cannes, a dare la misura dell’entità della crisi finanziaria dell’Eurozona, in quel momento ancora a 17 paesi, perché Lettonia e Lituania sarebbero entrati negli anni successivi. La crisi del debito sovrano, scaturita da quella Usa del 2008, era peggiorata nell’estate precedente, e il livello elevatissimo raggiunto dallo “spread”, il divario fra i rendimenti dei titoli italiani e quelli tedeschi (giunto in quel periodo fino a un massimo di 572 punti), fece temere la fine dell’Euro appena prima del suo decimo compleanno. Si finì, su pressione dei partner, soprattutto Francia e Germania, per cambiare il governo italiano, “too big to fail”, con le dimissioni di Silvio Berlusconi e l’arrivo al governo del “tecnico” Mario Monti. Fu anche l’inizio dei lunghi anni di politiche “austere”, sotto l’egida dell’impostazione “rigorista” dei paesi del Nord, in contrasto con quella più “spendacciona” dei mediterranei. Questo periodo ha contribuito notevolmente alla creazione di un terreno fertile per le forze antieuropee e sovraniste, oltre che all’uscita del Regno Unito dall’Ue, e anche se oggi il clima è in parte cambiato, restano fra i 27 come fra i 19 diffidenze reciproche e un approccio istituzionale prevalentemente intergovernativo.

Nei giorni scorsi, complice la pandemia, qualche segnale di apertura a un approccio più solidale era venuto dalla decisione della Commissione europea di sospendere le regole del patto di stabilità e crescita a partire da quella sul deficit (pari al massimo al 3% del Pil) e del debito (massimo 60%), e anche da qualche apertura, nei paesi più “rigoristi”, alla possibilità di discutere di debito comune. All’Eurogruppo se ne riparla giovedì.

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