5 Dicembre, 2025
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Greccio

Greccio, arroccato a 705 metri sulle pendici del Monte Lacerone, fa parte della “Valle Santa” reatina ed è oggi uno dei Borghi più Belli d’Italia, ricordato ovunque come il luogo del primo presepe. Le sue origini risalgono al IX secolo, quando era un “castrum” fortificato chiamato Grecce o Grezze.

 

Il primo presepe

La nascita del “Presepe vivente” si deve alla volontà di Giovanni di Pietro di Bernardone, noto tra gli amici come san Francesco d’Assisi.

Ci racconta la sua storia Tommaso da Celano nella sua opera “Vita Prima”, testo del 1228-1229, detta anche “Legenda Gregorii” dal nome del Papa Gregorio IX cui fu presentata per la canonizzazione di Francesco; testo scampato dalla condanna alla totale distruzione di tutte le primitive biografie del santo. In questa cronaca preziosa viene riportata la richiesta del Poverello al suo amico Giovanni Velita, un nobile locale, di allestire una rappresentazione del presepe:

Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria del bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asino.” (Vita Prima, 84,468)

L’idea di rievocare, in uno scenario naturale, il presepe affondava le radici nell’esperienza del santo d’Assisi a Betlemme nel Natale del 1222, dove ebbe modo di assistere alle funzioni per la nascita di Gesù. Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. A quei tempi, le rappresentazioni erano vietate nelle chiese, così il Papa gli permise solo di officiare una messa all’aperto. Fu così che, la notte della Vigilia di Natale del 1223, a Greccio, in Umbria, come continua il racconto di Tommaso da Celano, Francesco allestì il primo presepe vivente della storia:

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.” (Vita Prima, 85,469)

Con questa sua invenzione, probabilmente Francesco volle inviare un messaggio politico al papa: le guerre delle crociate per conquistare Gerusalemme erano inutili perché Gesù si può adorare ovunque, anche in un bosco di lecci in un paesello sui monti, la “nuova Betlemme”.

 

Federico II di Svevia

Nel cuore del XIII secolo l’Italia centrale viveva sospesa tra due forze inconciliabili: l’Impero di Federico II e il Papato romano. Rieti, incastonata tra l’Umbria e il Lazio, occupava una posizione cruciale: baluardo naturale sulla via verso Roma, città di confine e di acque, crocevia di ambizioni e timori.

Nell’estate del 1244 l’Aquila imperiale di Federico II tornò a solcare i cieli d’Italia, decisa a piegare l’autorità della Chiesa e a consolidare il dominio sulla penisola contro i Comuni. Le sue truppe raggiunsero la piana reatina per sferrare un colpo diretto al cuore del Papato, un tentativo di aprirsi un corridoio militare verso Roma.

L’assedio a Rieti fu breve. Le mura resistettero, gli abitanti videro l’esercito avvicinarsi, tentare di piegare la città e infine ritirarsi. Federico II non cercava una guerra di logoramento: constatata l’impossibilità di conquistare rapidamente Rieti, scelse una strategia più crudele e sottile, colpire il territorio per colpire il Papato, trasformando la geografia stessa in campo di battaglia.

Le campagne divennero teatro di devastazione: campi incendiati, mura abbattute, popolazioni disperse. Non fu solo distruzione materiale: le terre fertili e ricche d’acqua intorno a Rieti persero per anni la capacità di nutrire i loro abitanti. Era il segno che l’Impero poteva colpire ovunque.

Ancora oggi si racconta che Rieti visse un assedio “breve come un lampo, ma devastante come un incendio”. Da quelle ferite nacque la consapevolezza che la storia non si misura in anni, ma in attimi capaci di mutare il destino di una terra. Il passaggio dell’esercito imperiale non fu soltanto un episodio militare, ma un trauma che segnò per sempre il rapporto tra le comunità locali e i grandi poteri.

Greccio fu distrutta, e l’intera valle santa reatina messa a ferro e fuoco.

 

Napoleone Bonaparte

Nel pieno della guerra della Seconda Coalizione, le armate francesi, impegnate in Italia contro austro-russi e borbonici, attraversarono e devastarono numerosi centri minori. Era il 1799: in marcia verso il Nord, le truppe francesi giunsero anche a Greccio, depredando beni e risorse della popolazione. Non fu un assedio, ma un’incursione rapida e brutale, tipica delle campagne militari dell’epoca, quando i villaggi erano costretti a fornire viveri e denaro. La memoria locale conserva questo episodio come una delle ferite più profonde del borgo, accanto alla distruzione medievale. È un ricordo che testimonia come i grandi conflitti europei abbiano inciso anche sulle comunità più periferiche, lasciando tracce durature nella memoria collettiva e nel paesaggio culturale.

Le montagne della Valle Santa tacevano sotto il vento d’inverno, ma il silenzio fu infranto dal passo pesante delle truppe francesi. Non pellegrini né viandanti: soldati affamati, reduci dalle guerre che incendiavano l’Italia. Le campane di Greccio suonarono, la gente si chiuse nelle case, serrando porte e finestre, mentre i soldati calavano sul borgo. Le botteghe furono sfondate, il grano e il vino requisiti, le poche ricchezze strappate con violenza.

Il santuario francescano, cuore del paese, subì l’arroganza della guerra: non fu incendiato né distrutto, ma profanato dalla brutalità dei soldati. Gli anziani raccontano che una donna, inginocchiata davanti al presepe di San Francesco, implorò i militari di risparmiare almeno quel simbolo. Forse fu la forza della sua voce, forse la stanchezza dei soldati: il presepe rimase intatto, segno di pace in mezzo alla devastazione.

Il saccheggio del 1799 non è soltanto un episodio di violenza: è entrato nella leggenda del borgo. Greccio appare come un luogo che ha conosciuto la furia degli imperi, ma che ha sempre ritrovato la sua voce attraverso il presepe francescano, simbolo di resilienza e speranza.

 

Il centro storico

Oggi Greccio custodisce ancora l’anima del suo castrum medievale. Le pietre dell’antico castello dell’XI secolo, le torri e le mura sembrano vegliare sul borgo, mentre le case si stringono l’una all’altra, abbracciando vicoli e scalinate che conducono verso l’alto, quasi a sorreggere la Chiesa di San Michele Arcangelo e la sua Torre Campanaria.

Là, nella parte più alta, al termine di una scalinata che pare un rito di ascesa, si erge la Chiesa di San Michele, cuore spirituale del paese. Fondata nel XIV secolo sulle vestigia del castello, porta con sé la memoria della difesa e della fede: la torre campanaria, un tempo torre di guardia, oggi innalza il suo suono come richiamo celeste.

All’interno, la navata unica accoglie il visitatore in un silenzio solenne, dove opere del Quattrocento e Cinquecento raccontano la devozione di generazioni. Le cappelle laterali, ornate con ricche decorazioni, brillano come scrigni di arte e memoria, custodendo la bellezza che il borgo ha saputo preservare nei secoli.

 

La Rievocazione Storica del Presepe

Greccio incanta in ogni stagione, ma è nel tempo di Natale che si trasfigura in un luogo di meraviglia, dove lo spirito autentico delle feste torna a vivere tra pietre e silenzi.

L’evento più atteso è la Rievocazione Storica del Presepe: dal 1972, il borgo diventa palcoscenico e memoria, riportando alla luce quella notte del 1223. Gli abitanti, avvolti in costumi d’epoca, danno vita a sei quadri viventi che narrano l’arrivo di Francesco, la sua supplica al Papa e la nascita del primo presepe.

Tra dicembre e gennaio, le rappresentazioni scandiscono il tempo dell’attesa, fino alla notte di Natale, quando il rito si fa più intenso e solenne. È un’esperienza che intreccia fede e storia, tradizione e comunità, trasformando Greccio in un simbolo di pace e di bellezza condivisa.

 

Il Santuario Francescano di Greccio

Oggi il Santuario Francescano di Greccio, cuore spirituale del borgo, posto ad un paio di chilometri dal centro, custodisce il luogo del primo presepe e accoglie il visitatore con la Cappella del Presepe e un Museo che raccoglie natività provenienti da ogni parte del mondo. Qui esposizioni artistiche e popolari si intrecciano con la tradizione, creando un’atmosfera di pace profonda e di spiritualità silenziosa: un invito a rallentare, a respirare e a connettersi con la storia francescana. Il santuario è aperto ogni giorno, libero nell’accoglienza come lo fu Francesco.

Il nucleo più antico e suggestivo è la Cappella del Presepe, ricavata nella grotta dove, nel 1223, San Francesco volle ricreare la Natività. Edificata nel 1228, anno della canonizzazione del Santo, questa piccola cavità è il vero cuore pulsante di Greccio. Sotto l’altare affiora ancora la roccia viva su cui fu posta la mangiatoia, mentre sulla parete di fondo un affresco trecentesco di scuola giottesca raffigura insieme la Natività di Betlemme e il Presepe di Greccio. Fermarsi qui, nel silenzio, è un’esperienza che tocca l’anima e permette di cogliere l’essenza del messaggio francescano.

Accanto alla parte più antica, il complesso si arricchisce di una chiesa moderna, costruita nel 1959, che ospita una sorprendente collezione di presepi. Non un museo qualunque, ma una celebrazione universale dell’arte presepiale: opere in terracotta, ceramica e materiali diversi che raccontano, ciascuna a modo suo, la stessa storia di pace e di nascita.

 

Il Museo Internazionale del Presepe

A pochi passi dal centro storico sorge il Museo Internazionale del Presepe, ospitato nell’antica chiesa di Santa Maria. Qui si apre un viaggio affascinante attraverso una collezione straordinaria di presepi artistici, ciascuno capace di interpretare la Natività secondo culture e stili diversi. È un percorso che racconta l’eredità universale lasciata da San Francesco, trasformando la tradizione in un linguaggio senza confini.

 

Il Sentiero degli Artisti

Tra le esperienze più sorprendenti che Greccio offre c’è il Sentiero degli Artisti: un itinerario panoramico che fonde arte contemporanea e paesaggio naturale, trasformando il borgo in una galleria a cielo aperto. Lungo le vie del centro storico, le facciate delle case antiche si animano con 26 affreschi realizzati da artisti internazionali. Ogni opera narra episodi della vita di San Francesco e interpreta i valori del francescanesimo con sensibilità moderna.

Camminare lungo questo percorso significa immergersi in un dialogo continuo tra pietra e colore, tra memoria e creatività. La passeggiata diventa così un’esperienza unica, dove la bellezza architettonica del borgo si intreccia con l’arte contemporanea, regalando al visitatore un mosaico di emozioni e visioni.

 

La Fonte Lupetta

Tra i boschi che avvolgono Greccio, nascosta tra le rocce del Monte Peschio, sgorga la Fonte Lupetta. La sua acqua limpida e leggera scivola dalla pietra come un canto segreto della montagna.

La tradizione racconta che qui dimorasse un uomo che bevendo quest’acqua avesse l’ appetito un lupo o che vi vivesse un lupo famelico, ammansito dalla forza gentile di Francesco. Da allora la sorgente porta il suo nome, custodendo insieme leggenda e natura.

 

Greccio è dunque un luogo sospeso tra storia, spiritualità e paesaggio, dove la memoria francescana si intreccia con l’incanto del borgo medievale. Esempio di come mito, architettura e tradizione popolare si trasformano in simbolo universale: un piccolo paese che ha dato vita a un rito collettivo destinato a durare nei secoli.

 

Riccardo Agresti

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