La bellezza
Portava con sé un mantello ruvido, ma intriso del suo tepore e lo porse alla regina con mani stranamente tremanti, ancora umide di sudore per lo sforzo, dell’acqua della pelle e della paura del cuore di Bianca. Lei, bagnata e gelata, si liberò delle vesti che le aderivano al corpo come una pelle imposta, lucida di fuga e di luna. Il tessuto si staccò lentamente, con un suono sordo, vischioso e ammaliante, rivelando le curve morbide, la pelle che brillava sotto la luce lunare come alabastro umido e il respiro, ancora affaticato, che sollevava il petto con ritmo irregolare, come se il cuore non avesse ancora deciso se fuggire o restare.
L’odore salmastro della pelle bagnata si mescolava a quello del mantello, un aroma di lana grezza e corpo maschile, caldo e vivo. Lui distolse lo sguardo, ma non prima che la luna gli concedesse un istante di bellezza silenziosa. Un istante che si incise nella carne, come una visione che non si può raccontare. A quindici anni, il bocciolo era stato offerto a Martino, che non aveva saputo apprezzarla. Ora, a quasi il doppio, Bianca era un fiore esploso, carnale e sacro, nella sua piena maturità luminosa. Un angelo abbagliante, ma non celeste: terrestre, vivo, travolgente.
Si avvicinò per avvolgerla nel mantello, ma il gesto lo portò troppo vicino. Le dita sfiorarono per errore la pelle nuda del fianco, e lui trattenne il respiro, come se il contatto lo avesse bruciato. Per un istante, il corpo tradì la volontà: la distanza si annullò, il desiderio si fece presenza. Poi si ritrasse di scatto, come se avesse violato un confine sacro.
Bianca lo guardò. Non con rimprovero, ma con consapevolezza. I suoi occhi, lucidi e profondi, non dissero nulla, ma era come se tutto fosse stato già detto. Un gesto lento, il modo in cui si strinse nel mantello, come se accogliesse il calore e respingesse l’istinto. Per un momento, il freddo sembrò svanire per entrambi. Non per il tessuto, ma per ciò che non osavano confessare.
L’attrazione
Il cavallo attendeva poco lontano, con gli zoccoli avvolti in stracci per attutire ogni suono. Nessuna sella, per non destare sospetti. Lui gli salì in groppa con un gesto rapido ma silenzioso e aiutò Bianca a salire e raccogliersi davanti a lui, il corpo stretto tra le sue braccia forti, il respiro ancora affannato per la fuga.
Le mani di lui la proteggevano, ma il contatto era più di una difesa o di una promessa di fedeltà: era un desiderio trattenuto, un confine che tremava sotto la pelle. Il profumo dei lunghi capelli bagnati di Bianca si mescolava all’odore della notte, al sudore, alla terra e lui ne fu inebriato come da un vino proibito.
Il mantello che la avvolgeva si era sollevato appena, lasciando intravedere la curva del collo, il profilo del seno, la pelle che ancora brillava di luna e di acqua. Lui si chinò impercettibilmente, non per toccarla, ma per sentirla più vicino, come se il calore del suo corpo potesse attraversare il silenzio.
Per un istante, il suo volto sfiorò il suo orecchio. Il respiro si fece più lento, più profondo. Il desiderio lo attraversò come una lama che gli incideva il cuore, ma non osò oltrepassare il limite. Era la regina. Era la donna che aveva giurato di servire, non di violare e possedere.
Bianca lo sentì. Sentì il tremore delle sue mani, il trattenersi del suo corpo, il rispetto che lottava contro l’istinto. Non disse nulla. Ma il modo in cui si appoggiò a lui, il modo in cui lasciò che il suo capo sfiorasse il suo petto, fu un gesto ambiguo, consapevole, un silenzio che diceva tutto, ma non poteva essere rivelato.
Ancora una volta il freddo sembrò svanire. Non per il calore del mantello, ma per quello che nessuno dei due osava confessare.
Il passo
Partirono al passo, in silenzio, sotto il plenilunio. La strada era lunga fino al castello amico più vicino. Ogni passo del cavallo sembrava un battito del cuore, lento e profondo. Le mani di lui restavano ferme, ma il corpo parlava: sentiva il calore di lei, il ritmo del suo respiro, il peso della sua fiducia. Il mantello si era sollevato appena, lasciando intravedere la curva del fianco, la pelle ancora umida che profumava di vento e di fuga. Il suo volto era vicino al collo di Bianca, e il respiro di lei gli sfiorava la guancia, tiepido, ritmato, quasi intimo. Per un istante, il silenzio sembrò diventare spazio per qualcosa di più: una parola non detta, un gesto che avrebbe potuto svelare l’inconfessabile.
Ma all’improvviso, lui fermò il cavallo. Un gesto rapido, deciso. Il corpo si irrigidì, come se il desiderio si fosse spezzato contro la lama del pericolo. Le fece cenno di scendere, senza parlare, indicando in lontananza, tra le ombre degli alberi, un fuoco che brillava. Una luce tremolante, sinistra, come un occhio che osserva. uno sguardo che non dorme mai. Sicuramente guardie del conte, messe a sorvegliare il passo.
Bianca si accovacciò accanto a lui, il mantello stretto intorno al corpo. Il freddo tornò a morderle la pelle, ma non era il vento: era la paura. I due si guardarono per un istante. In quello sguardo c’era tutto: paura, determinazione e qualcosa che non era ancora amore, ma ne portava il seme. Un seme che il pericolo aveva interrotto, ma non cancellato.
Lui estrasse un piccolo pugnale, l’unica arma che aveva potuto portare con sé, e glielo porse. Non per combattere, ma per scegliere. Se fossero stati scoperti, Bianca avrebbe potuto decidere se essere presa viva o se reclamare la sua libertà con il sangue.
Lei non sapeva se con quel coltello si sarebbe liberata o avrebbe ucciso qualcuno: i servi di chi l’aveva umiliata, di chi l’aveva ritenuta inferiore, di chi l’aveva imprigionata, di chi la voleva con la forza, di chi non l’aveva mai vista per ciò che era: una regina e una donna.
Poi, con movimenti lenti e silenziosi, si avvicinarono al ciglio del sentiero. Il vento era calato, ma la luna continuava a vegliare. Bianca, con passo leggero, lo seguì spostandosi tra le rocce, cercando un punto da cui spiare le guardie per comprendere come andare avanti. Il pugnale le pesava nella mano come una scelta ancora da scrivere, come una parola non detta, pronta a diventare destino.
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Riccardo Agresti


