15 Novembre, 2025
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Donnafugata – Tra realtà e fantasia la leggenda di Bianca di Navarra (parte 7 di 7)

Fine della fuga

Una voce si levò dal fuoco. Un nome. Il suo nome. Ma non era un nemico a pronunciarlo. Era un richiamo, un segnale di vita, come se il destino stesso avesse pronunciato il suo nome.

Il fuoco acceso non era quello di una pattuglia ostile. Le sagome che si muovevano attorno alla fiamma, vestite di stracci e avvolte dal chiaroscuro della notte, erano contadini, con volti scavati dal lavoro e mani segnate dalla terra. Ma nei loro occhi brillava qualcosa di diverso: attesa, speranza, riconoscenza.

Il soldato si voltò verso Bianca e le sussurrò: «Sono loro. I contadini. Avvisati dai servi del castello. Si sono posizionati qui per accogliervi e portarvi in salvo.»

Bianca lo guardò, incredula. Quegli uomini e quelle donne, che forse non avevano mai varcato le soglie della corte, ora rischiavano tutto per lei. Per la regina. Per la donna che aveva osato sfidare il potere, non per ambizione, ma per giustizia.

Si avvicinarono lentamente. Uno dei contadini, un uomo anziano con la schiena curva e gli occhi limpidi, si inchinò appena. «Madonna, vi stavamo aspettando. Il vento ci ha portato il vostro nome, e il coraggio dei vostri servi ci ha guidati fin qui.»

Le offrirono pane, una veste asciutta e una coperta di lana grezza. Bianca si cambiò dietro un telo improvvisato, mentre il soldato restava di guardia. Il mantello le scivolò dalle spalle, e per un istante, sotto la luna, il suo corpo apparve nudo e vulnerabile per l’ultima volta. Ma non debole. Era la nudità di chi ha attraversato la morte e ne è uscita viva, come una statua che ha perso il marmo e ritrovato la carne.

Il soldato la osservò da lontano, senza osare avvicinarsi. Il desiderio era lì, silenzioso, come una fiamma che non brucia, ma illumina. Inchiodato al rispetto. Non per timore, ma per devozione. Quando lei tornò, avvolta nella veste contadina, sembrava una figura uscita da una leggenda: non più regina, ma donna libera, portatrice di un destino scelto.

Una donna dai capelli grigi, le porse il pane con un gesto lento, come si porge un’offerta a una santa, ma senza inginocchiarsi. Bianca accettò, e nel suo sguardo c’era gratitudine, ma anche consapevolezza: non era sopra di loro, era con loro.

I contadini avevano preparato un carro coperto di fieno, trainato da buoi lenti, ma instancabili. Bianca vi salì, nascosta tra le coperte. Il soldato le si inchinò, con un gesto che non era solo militare, ma umano. Poi si voltò. Doveva andare ad avvisare i compagni che la regina era salva, che la luce aveva vinto sull’ombra, e che il castello poteva essere lasciato alle sue rovine.

Mentre si allontanava, il cuore gli si strinse. Non si voltò, ma sapeva che forse non l’avrebbe mai più rivista. Se anche l’avesse rivista, non sarebbe più stata la donna che aveva stretto tra le braccia.

 

Come governare

Nel carro, avvolta nel profumo acre del fieno e nel calore ruvido della lana, Bianca chiuse gli occhi. Il corpo tremava ancora, ma non per il freddo. Era il tremore di chi ha attraversato il confine tra la morte e la vita, tra il potere e la verità.

La libertà non era come l’aveva immaginata. Non era un trono vuoto, né una fuga gloriosa. Era fatta di mani callose che porgevano pane, di occhi che non chiedevano nulla, ma offrivano tutto. Era fatta di silenzi condivisi, di corpi che si piegano per lavorare, non per servire. Lei, che aveva governato con giustizia, ora capiva: non bastava essere giusta. Bisognava essere presente. Vicina. Umana.

Il potere, pensò, è una veste che si indossa per proteggere, non per dominare. Se non si sa quando toglierla, si diventa prigionieri del proprio ruolo. Ora, avvolta in una veste contadina, sentiva il peso della corona come un ricordo, non come un destino. Forse sarebbe dovuto tornare. Forse sarebbe dovuto restare. Ma qualunque fosse la strada, non sarebbe più stata la stessa.

Fuori dal carro, il soldato si era fermato un istante prima di voltarsi. Il vento gli accarezzava il volto, ma non lo rinfrescava. Guardò il carro, poi il cielo. Non disse nulla. Ma nel cuore, una promessa si incise come una lama sottile. “Ovunque tu sarai, io sarò il tuo confine invisibile. Non ti seguirò, ma veglierò. Non ti parlerò, ma ti ricorderò. E se un giorno avrai bisogno di una mano che non chiede nulla, la mia sarà lì, anche se non mi vedrai.”

Poi si voltò, e il rumore dei suoi passi si confuse con il respiro della terra.

Non la rivide più.

 

Fine della storia

La storia racconta che Bianca ritornò sana e salva nella capitale siciliana, aiutata da Giovanni Moncada, che la scortò fino a Palermo. Il potente Bernardo Cabrera diede inizio a una campagna di saccheggi in tutta la Sicilia, guidando truppe mercenarie con ferocia e ambizione, come un lupo affamato che credeva di poter divorare il regno. Ma Bianca, con astuzia e determinazione, riuscì a riconquistare le città occupate, a ricompattare le forze rimaste fedeli alla Corona Aragonese e a ristabilire l’ordine.

Il conflitto militare vide la regina vincitrice, non solo sul campo, ma nel cuore del popolo, che riconobbe in lei una guida capace di resistere all’usurpazione. Regnò ancora per poco, poi fece ritorno in Spagna. Il suo governo in Sicilia segnò la fine dell’autonomia insulare e l’inizio dell’epoca dei viceré, un lungo periodo in cui il potere locale venne subordinato alla volontà della corona.

Nel 1425, Bianca divenne regina di Navarra accanto al suo secondo marito, Giovanni II d’Aragona. Ma anche questo matrimonio fu segnato da tensioni politiche, freddezza e una solitudine che si fece più profonda con il tempo. Bianca morì nel 1441, a Santa María la Real de Nieva, in un monastero avvolto dal silenzio e dalla pietra, lasciando dietro di sé un regno diviso e una memoria che ancora oggi affascina storici e narratori.

Una donna forte, colta e coraggiosa, che cercò di governare con giustizia in un mondo dominato dagli uomini, e che nella sua tomba volle fosse conservato solo un pugnale, di cui nessuno conosceva l’origine, né il significato. Un oggetto muto, ricordo di un amore mai vissuto.

 

Chi fu Bianca di Navarra

Bianca visse in un periodo turbolento, segnato dalle ambizioni aragonesi e dalle tensioni con Napoli e la Francia. Fu una donna di carattere, capace di governare con saggezza e fermezza in un mondo che non le concedeva spazio, ma che lei seppe conquistare con intelligenza e coraggio. Seppe sottrarsi alle aspettative di genere, ai ruoli imposti, alla narrazione dominante. Fu una sovrana colta, determinata e politicamente attiva, anche se spesso ostacolata dalle convenzioni e dalle ostilità dell’epoca. Una mente lucida in un mondo che non voleva ascoltare.

È stata l’ultima regina regnante di Sicilia, e la sua figura è ricordata con rispetto e ammirazione, soprattutto nell’isola, dove il suo nome è ancora pronunciato con affetto e reverenza: “la regina Bianca”. Non solo per il suo ruolo istituzionale, ma per la sua capacità di incarnare una regalità umana, vicina al popolo, capace di resistere alle trame di corte e alle minacce esterne.

 

Una donna forte e libera

Bianca di Navarra incarna la figura della donna forte e libera, capace di sfuggire alle trame del potere maschile e alle insidie di una corte ostile. Il mito della sua fuga è diventato simbolo di libertà, resilienza e astuzia femminile, un gesto che ha attraversato i secoli come un’eco di coraggio.

Non solo scappò fisicamente, ma anche metaforicamente: si sottrasse a un destino imposto, a un matrimonio forzato, a un potere che voleva piegarla e possederla. La sua ribellione fu un atto di volontà, una dichiarazione silenziosa ma irrevocabile di autonomia.

Spesso citata come esempio di donna colta, forte e sfortunata, la sua figura è stata romanticizzata da storici umanisti e autori siciliani, che ne hanno esaltato la grazia, la fermezza e la malinconia. Ma sotto il velo della leggenda, resta il volto di una sovrana che seppe scegliere, resistere e sopravvivere, quello di una donna concreta, con le sue paure, le sue scelte, le sue perdite.

 

Il castello di Donnafugata

Il Castello di Donnafugata, situato nei pressi di Ragusa, è oggi una delle mete più affascinanti della Sicilia barocca, noto anche per essere stato set di numerosi film celebri. Il toponimo “Donnafugata”, carico di suggestione, è diventato simbolo di resistenza femminile e libertà, un nome che evoca fuga, ribellione e salvezza. Parola che non è solo luogo, ma battito, memoria, eco. Parola che ha superato la sua origine per diventare simbolo universale di libertà femminile.

Oggi il castello è una meta turistica dove la leggenda viene raccontata ai visitatori come parte integrante del patrimonio culturale. Le stanze, i giardini e persino i passaggi segreti alimentano il mito con ogni pietra, ogni ombra, ogni silenzio che sembra custodire una storia non detta.

In realtà, la costruzione attuale del castello è successiva alla leggenda associata a Bianca di Navarra. Nel 1982 venne acquistato dal Comune di Ragusa che, dopo lunghi lavori di restauro, lo ha restituito alla collettività, rendendolo nuovamente fruibile come luogo di memoria, bellezza e narrazione.

Anche se il castello non è direttamente legato a Bianca di Navarra, la leggenda ha trovato lì una dimora simbolica ed eterna.

 

Forse Bianca non fuggì mai da quel castello. Forse non ci entrò nemmeno. Ma ogni volta che una donna rifiuta di essere posseduta, ogni volta che sceglie la propria strada, la leggenda si rinnova e Donnafugata non è più un luogo: è un nome che cammina.

 

 

Per leggere dall’inizio

 

Riccardo Agresti

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