Mario Carmelo Cirillo
L’Italia, come tutti gli aderenti alla NATO (tranne qualche distinguo da parte della Spagna), si è impegnata a spendere il 5% del PIL per la difesa, di cui il 3,5% in armamenti e l’1,5% in sicurezza, ovvero in infrastrutture e in quant’altro serve a rendere il Paese più resiliente. Tutto ciò si inserisce nello sforzo di rendere la difesa dell’Europa più autonoma, dal momento che l’amministrazione USA ha fatto capire che non ritiene più conveniente investire nella sicurezza del vecchio continente. L’investimento europeo in sicurezza militare dovrebbe servire come strumento di deterrenza contro possibili aggressioni da parte di potenze straniere ostili. Ma al contempo noi stiamo già assistendo ad aggressioni crescenti, dovute al climate change.
In Italia per arginare gli impatti del clima che cambia si fa poco o nulla, soprattutto a livello statale. Le risorse da dedicare alla sicurezza nell’ambito delle spese per la difesa (1,5% del PIL) sono una cifra ragguardevole di svariati miliardi all’anno (pur nell’incertezza delle stime) che – credo – potrebbe essere utilizzata per rafforzare la sicurezza, oltre che da potenziali incursioni da parte di Paesi ostili, anche dalle ben più incombenti e attuali aggressioni del cambiamento climatico. Chiunque concordi sul fatto che siamo in piena transizione climatica non può negare la necessità di realizzare politiche di adattamento, indipendentemente dal fatto che pensi che il climate change sia causato dall’uomo, o meno, o in che misura. Poi ci sono quanti continuano a negare il cambiamento del clima: per loro il riscaldamento dell’atmosfera, dei mari e dei laghi, l’aumento degli eventi estremi semplicemente non esiste. Che dire? Tocca farsene una ragione, a questo mondo ci sono pure i terrapiattisti. Solo che nel caso del clima i danni sono incomparabilmente maggiori: nel recente rapporto sul clima del Dipartimento dell’Energia USA si sostiene che gli impatti negativi delle emissioni di gas serra sono insignificanti, e che i cambiamenti climatici non ci sono, quelli che appaiono tali fanno parte della naturale variabilità del sistema climatico; poco importa se scienziati citati nel rapporto hanno dichiarato che la loro ricerca è stata utilizzata impropriamente e manipolata: il documento ha l’obiettivo di deregolamentare l’emissione dei gas serra, assecondando lo slogan di Trump “Drill baby drill”. Questo significa che almeno per i prossimi anni politiche incisive di decarbonizzazione a livello globale sono una chimera, e secondo la scienza mainstream ciò implica un inseverirsi degli impatti climatici. Peraltro la transizione climatica è un dato di fatto; essendo preclusa, quanto meno negli anni immediatamente a venire, l’opzione della decarbonizzazione a livello globale, è più che mai indispensabile puntare su politiche di adattamento. Le strategie di adattamento hanno una caratteristica interessante che le differenzia da quelle di mitigazione (riduzione delle emissioni di gas serra): per funzionare non sono necessarie faticose – e, a quanto pare, inefficaci – negoziazioni internazionali, indispensabili per decarbonizzare a livello globale (altrimenti si conclude poco o niente). Basta volerlo fare seriamente.
In Italia c’è un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di cui non si sente parlare. Un’analisi fatta a suo tempo ne ha evidenziato le carenze, ma dubito che se ne sia tenuto conto. So che è stato approvato a fine 2023, da allora però non sono più stati comunicati aggiornamenti sullo stato di attuazione, né sono state stanziate risorse. Nessuna menzione nella Legge di Bilancio 2025. L’unica misura di cui ho sentito, introdotta nella Legge di Bilancio 2024, è l’assicurazione obbligatoria delle imprese contro gli “eventi catastrofali”; un provvedimento specifico e settoriale, quindi insufficiente a fronte di quanto si è abbattuto e, peggio ancora, si abbatterà su questo Paese e sui cittadini a causa del climate change. Voglio sottolineare che il disinteresse sul tema è una responsabilità condivisa da tutti i governi che si sono avvicendati negli ultimi decenni.
Non resta che organizzarsi a livello locale per fronteggiare gli impatti crescenti dovuti al cambiamento climatico, considerando che gli ambienti lacustri e le aree circostanti sono particolarmente vulnerabili a causa della loro natura chiusa, per cui i processi di ricambio e di diluizione sono meno vigorosi rispetto ad altri contesti come gli ambienti marini: questo significa una maggiore sensibilità agli impatti sia dell’inquinamento, essendo le aree lacuali più soggette all’accumulo degli inquinanti, che del clima che cambia: basta pensare all’aumento della temperatura dell’acqua nei laghi di Bracciano e Martignano, con conseguente stress per le specie e gli ecosistemi presenti, senza contare lo sfruttamento dell’acqua del lago per uso idropotabile, che aggrava la situazione. Va inoltre messo nel conto, a causa del climate change, un progressivo incremento di eventi estremi come: ondate di calore; siccità; precipitazioni improvvise e intense, quale l’evento di pioggia e grandine che si è verificato la sera del 11 agosto, che ha abbattuto alberi e provocato danni in stabilimenti balneari e in giardini; una maggiore probabilità di incendi, come l’incendio del 19 giugno, quando le fiamme hanno colpito la riserva naturale di Bracciano-Martignano ed il rogo si è propagato in maniera violenta arrivando a ridosso delle abitazioni e minacciando alberi secolari, o come quello del 28 giugno che si è sviluppato tra Cesano ed Anguillara interessando anche la località I due laghi, dove è presente un’abitazione occupata da due anziani disabili che sono stati messi in salvo.
Per quel che riguarda le maggiori temperature soprattutto nella stagione calda, e le connesse ondate di calore, la cosa principale da fare è aumentare l’albedo. La parola deriva dal termine latino albus, che significa “bianco”, ed indica la capacità di un corpo di riflettere la radiazione solare che lo raggiunge. Un corpo perfettamente bianco riflette il 100% della radiazione solare incidente e quindi non aumenta di temperatura, un corpo nero l’assorbe tutta e si scalda (ecco perché col caldo è buona norma indossare abiti chiari). Negli agglomerati urbani il suolo asfaltato e cementificato, essendo scuro, assorbe quantità incredibili di radiazione solare, senza contare gli edifici che in estate diventano degli immensi termosifoni. Cosa fa aumentare l’albedo, mitigando le alte temperature? Più suolo naturale ricoperto di alberi e vegetazione, meno suolo asfaltato e cementificato: il suolo naturale, gli alberi e la vegetazione, oltre ad avere un albedo superiore a quello di cemento e asfalto, giocano un ruolo prezioso di mitigazione delle temperature con l’evapotraspirazione e l’ombreggiatura; ecco perché il taglio indiscriminato di alberi, come quello che si è fatto a viale Poggio dei Pini in Anguillara, non è sicuramente la cosa migliore da fare; e per di più dove “crescono nuovi alberi” molti sono stati fatti seccare … . Sempre per aumentare l’albedo è opportuno utilizzare i cosiddetti cool pavements che includono asfalti chiari – mentre vedo che per rifare le strade si continua a usare asfalto nero. Molto utili sono pure tetti e muri esterni bianchi o comunque molto chiari.
Per fronteggiare le precipitazioni intense, va ricordato in primo luogo che suolo naturale, alberi e vegetazione regolano naturalmente il deflusso delle acque e il loro assorbimento; poi è necessaria una assidua e puntuale manutenzione dei sistemi di smaltimento delle acque meteoriche: troppo spesso si vedono tombini e griglie intasati, il che favorisce, soprattutto in presenza di precipitazioni intense, l’allagamento delle strade e degli edifici adiacenti. L’utilizzo di pavimentazioni drenanti e filtranti favorisce il deflusso delle acque meteoriche anche in aree adibite al traffico pedonale e veicolare: è già in atto in vari comuni il ripristino di superfici drenanti in luogo di asfalto e cemento, con progetti che puntano alla rimozione delle aree impermeabili nei centri urbani. Peraltro è necessario un aumento di consapevolezza da parte dei cittadini: se la propria abitazione è a rischio di allagamento occorre premunirsi con pompe, barriere, paratie, scarichi di emergenza, con le opportune ridondanze in maniera che se, per esempio, la pompa non funziona, o non è sufficiente a smaltire tutta l’acqua che arriva, le altre salvaguardie riducono i danni. Inoltre poiché anche gli eventi di siccità tendono a essere più frequenti e prolungati, bisogna considerare l’opportunità di accumulare l’acqua piovana per usi non potabili, sia a livello pubblico che privato; tra l’altro i sistemi di accumulo delle acque possono svolgere pure il prezioso ruolo di vasche di laminazione, regolando il deflusso dell’acqua, in particolare durante eventi di intense precipitazioni, riducendo così il rischio di allagamenti e conseguenti danni.
Alcune azioni di adattamento ai cambiamenti climatici sono molto più efficaci se realizzati congiuntamente da tutti i comuni che insistono sull’area lacuale: penso alla gestione delle risorse idriche in uno scenario di crescente scarsità, con connessa riduzione dei rischi di esondazione tramite gestione condivisa di sistemi di laminazione e di accumulo; ma anche alla prevenzione degli incendi, tra l’altro favorendo le attività di volontariato nella protezione civile e nei vigili del fuoco, nonché lo svolgimento di attività volontarie di monitoraggio e ripulitura del territorio anche da parte dei giovani, ad esempio quelli che fanno parte degli scout, e di associazioni ambientaliste.
Una buona pratica, già utilizzata in vari comuni, è stabilire un “filo diretto” tra amministrazione comunale e cittadini per avvisare del rischio di una situazione critica e/o di un evento estremo. Anche questa attività può essere svolta più efficacemente in modo congiunto tra tutti i comuni dell’area lacuale. Gli incendi del 19 e del 28 giugno, l’intensa e inattesa precipitazione del 11 agosto (temporale di calore), sono eventi la cui probabilità aumenta quanto più le temperature vanno oltre i 30 °C, per cui in concomitanza di ondate di calore è opportuno avvisare i cittadini, oltre che con consigli su come comportarsi nelle ore più calde, anche sul maggior rischio di incendi e di eventi meteo estremi: va considerato che l’incremento di temperatura dell’aria di 1°C significa un aumento dell’umidità di circa il 7%; a questo corrisponde un enorme eccesso di energia accumulata in atmosfera, che in certe condizioni può deflagrare in fenomeni quali temporali di calore o trombe d’aria, così come una maggiore temperatura dell’acqua nei mari e nei laghi favorisce l’innesco di trombe d’acqua.
In conclusione dobbiamo essere consapevoli, sia da parte dei politici e decisori locali che dei cittadini, che siamo in una situazione di impatti crescenti dovuti al cambiamento del clima, che è in piena evoluzione. Inoltre è estremamente difficile capire quale sarà la nuova situazione di equilibrio, per il cui raggiungimento si parla di secoli, millenni e oltre: i tempi del clima non sono quelli dell’essere umano! Si tratta di limitare i danni, e su questo bisogna essere pragmatici e agire da subito per fare quello che realisticamente si può fare, consapevoli che ci stiamo inoltrando verso scenari molto incerti ma di sicuro molto impegnativi dal punto di vista della gestione dell’ambiente, del territorio e della nostra vivibilità. Capisco che queste cose sono molto difficili da digerire, ed è probabile che solleveranno reazioni negative, e forse qualcuno parlerà di eccessivo pessimismo o addirittura di catastrofismo; ritengo però che, arrivati al punto in cui siamo, si debbano dire le cose come stanno, alla luce dei migliori dati e delle migliori conoscenze scientifiche disponibili: su questo punto mi limito a riportare quanto affermato unanimemente dai ricercatori che studiano il clima in Artico, come riferito dall’attore Giorgio Lupano (che qui citerò testualmente) durante la trasmissione Tg1UnoMattina Estate del 23 luglio 2024. Lupano ha parlato di una docuserie sul clima che ha fatto insieme ad altri tre amici, recandosi nell’Artico e incontrando i ricercatori che lì lavorano sul clima. A tutti i ricercatori nel corso delle interviste è stato chiesto: “Che cosa vedete nel nostro futuro?”, e la risposta unanime è stata: “Un grande cambiamento. Dobbiamo prepararci a cambiare perché il mondo non sarà quello a cui siamo abituati, nei prossimi anni cambierà moltissimo e come sapremo adattarci farà la differenza tra la nostra vita come specie e la nostra estinzione”. Francamente io penso che la nostra estinzione a causa del climate change sia un’ipotesi molto remota, ma il grande cambiamento annunciato dai ricercatori dell’Artico ci sarà. È un grande cambiamento che si dispiega nel corso di decenni, e anche per questo si fa fatica a percepirlo, oltre che ad accettarlo, ma fare finta di nulla equivale a subire passivamente impatti che – nei decenni – renderanno il nostro territorio sempre più inospitale.


